RODIO, Giovan Battista
– Nacque nel 1779 a Catanzaro da Vitaliano e da Anna Majorano.
A diciassette anni, dopo aver frequentato il collegio di quella città, si trasferì a Napoli e, sostenuti gli esami di diritto, si laureò in legge. Si stabilì a Simeri dove sposò Maria Petroni. Durante i moti del 1799 tradì la causa giacobina e si convertì alla fede realista: nel mese di marzo si unì alle truppe sanfediste e in qualità di segretario affiancò Francesco Ruffo, fratello del cardinale, nominato ispettore dell’armata sanfedista.
Caduta la Repubblica Napoletana, nel mese di agosto del 1799 Ferdinando IV gli ordinò di marciare, al comando delle truppe che aveva organizzato a massa, verso lo Stato pontificio e conquistare Roma. Durante la spedizione, mentre era al seguito di Ruffo per portarsi in Abruzzo e da lì occupare lo Stato pontificio, si scontrò con Gaetano Mammone, altro noto capomassa, famoso per i suoi eccessi di crudeltà e violenza: questi lo ostacolò nel transito lungo il confine, ritenendo il territorio di Sora di sua esclusiva giurisdizione, e pretese un ordine regio per liberare il campo. Rodio, sconfitto dalle truppe francesi al comando del generale Pierre Dominique Garnier, si fermò a Marino, un piccolo Comune sui Colli Albani nell’area dei Castelli Romani, ed entrò nella capitale solo un mese dopo. Durante la ritirata, mentre si trovava ai confini del Regno, procedette all’arresto di Mammone che aveva saccheggiato i magazzini militari e impedito il passaggio delle truppe al servizio del re. Liberò così il circondario di Sora dalla tirannia del truce capomassa, senza però mancare di far sentire il peso della sua crudeltà, giustiziando i cittadini che avevano trucidato il governatore regio.
Dopo il fallito tentativo di occupazione nel Lazio e di invasione in Toscana, Rodio, diversamente da altri capimassa, fu assolto per le violenze compiute. Ferdinando IV, stimandolo il più moderato tra gli insorgenti, gli assegnò il grado di tenente colonnello, lo gratificò del titolo marchesale, lo nominò cavaliere dell’Ordine costantiniano e lo inviò a Teramo nel 1801 come preside.
Da Teramo, nel mese di novembre 1801, informava John Francis Edward Acton dei tentativi insurrezionali promossi dai patrioti e dagli esuli italiani che, delusi dalla Pace di Firenze, essendo stati sciolti i corpi di volontari e i battaglioni di ufficiali cisalpini, vagheggiavano di realizzare sotto la guida dei fratelli Francesco e Vincenzo Pignatelli l’indipendenza italiana. In quelle circostanze Rodio rivelò che i congiurati confidavano di allearsi con i vecchi e delusi capimasse, come per esempio Sciabolone (Giuseppe Costantini) e Mammone, evaso dalle carceri regie, per garantirsi la loro protezione. In seguito ricusò la carica offertagli a Catanzaro giustificando i vincoli di parentela e fu destinato a Cosenza.
Nel 1802 fu chiamato in Puglia, dove non risparmiò metodi feroci e brutali per mantenere l’ordine pubblico, contenere i gravi disordini locali e sottomettere la popolazione. Dal 1804 fu commissario del re presso il generale Laurent de Gouvion-Saint-Cyr con l’incarico di vigilare sulle truppe francesi che, secondo gli accordi della Pace di Firenze del 1801, erano stanziate nelle regioni adriatiche. Quando nel 1805 divenne luogotenente reale rifiutò l’assistenza delle corti di giustizia locali e agì con le sue milizie contro le bande di facinorosi.
Nel mese di gennaio del 1806 Troiano Marulli duca d’Ascoli gli comunicò la promozione al grado di brigadiere del Real esercito. Maria Carolina, che confidava nuovamente nella partecipazione delle masse per difendere il Regno, lo coinvolse nel suo piano di guerra articolato nel ritirare le truppe regie dalle frontiere e respingere quanto più possibile le forze d’invasione, per ostacolarne il passaggio nelle gole dell’Abruzzo e accerchiare il resto dell’armata che, superato il Garigliano, sarebbe stato preso alle spalle dagli insorgenti alle Forche Caudine nella provincia di Lucera. Rodio non fu in grado di sollevare la popolazione contro i francesi: nonostante il terrore seminato in Puglia con fucilazioni, incendi e violenze non riuscì nell’impresa e tornò a Napoli. Rimandato nella parte orientale della Basilicata per riunirsi al corpo dell’esercito napoletano in Calabria, compì altri atti scellerati a Matera e Altamura. Catturato a Pisticci nel marzo 1806, fu accusato dal generale Andrea Massena di brigantaggio.
Assistito da due legali, uno dei quali era il famoso avvocato Domenico Sansone, fu ascoltato dalla commissione militare che lo giudicò e lo dichiarò non colpevole. Sciolta la commissione, il generale Massena ne formò subito un’altra, composta soprattutto da militari francesi, che lo sottopose a nuovo processo e lo condannò a morte per fucilazione. L’esecuzione ebbe luogo a Napoli il 27 aprile 1806.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Ministero della Polizia Generale, Prima Numerazione (1792-1819), Dispacci, bb. 39, f. 22; 42, f. 95; 48, f. 243; 53, f. 383; 62, f. 601; 66, f. 692; 67, f. 708; 69, f. 760; 73, f. 466; 88, f. 476; 123, f. 387; 129, f. 129; 130, f. 65; F. Pignatelli Strongoli, in Monitore napoletano, n. 11 (4 aprile 1806); n. 12 (8 aprile 1806).
F. Galli, Memorie storiche sulla presa di Roma che possono servire di continuazione alla Collezione di tutti i fatti d’arme, Roma 1800, passim; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, Parigi 1837, IV, p. 225, V, pp. 282 s., 331, VI, pp. 10 s.; A. Sansone, Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie. Nuovi documenti, Palermo 1901, pp. LXXI, CLXXI, CCXXXIV, 129, 166 s., 198, 234 s.; B. Croce, La fine di Mammone, in Archivio storico per le province napoletane, XXXV (1905), 4, pp. 469 nota, 472-475; J. Rambaud, Il processo del marchese Rodio (1806), Napoli 1908; L. Coppa Zuccari, L’invasione francese negli Abruzzi (1798-1810), II, L’Aquila 1928, pp. 748 ss.; G. Cingari, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799, Firenze 1957, pp. 104 nota, 209, 360 s.; A.M. Rao - P. Villani, Napoli 1799-1815. Dalla Repubblica alla monarchia amministrativa, Napoli 1994, pp. 143 e nota, 163, 250; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Napoli 1998, pp. 403-414; C. De Nicola, Diario napoletano 1798-1825, I-III, Napoli 1999, I, p. 461, II, pp. 149, 158, 181 s., 227 s., 236, 240, 245 s.; A. Cogliano, La fine di Gaetano Mammone. Un delitto di stato, in Archivio storico per le province napoletane, CXXII (2004), pp. 328 s.