SANGA, Giovan Battista
– Nacque il 15 luglio 1496 da Francesco da Chioggia, curiale di Paolo II.
Della sua giovinezza si sa solo che ricevette un’ottima educazione umanistica a Roma. Entrò al servizio del cardinale Giulio de’ Medici il 2 dicembre 1517 e il 4 febbraio 1518 fu assunto nella Cancelleria apostolica. La fonte di queste date è il diario di Girolamo Aleandro, amico di Sanga e futuro cardinale, che fu inviato in Francia da Leone X e rientrò in Italia nell’autunno del 1517. In quegli anni, Sanga gravitava nel circolo curiale del cardinale Bernardo Dovizi (Bibbiena), ma delle sue attività fino alla morte del primo papa Medici sappiamo solo quel che scrive Paolo Giovio in una lettera a Gian Matteo Giberti del 18 marzo 1522, commentando le medaglie satiriche coniate contro i filomedicei: «Al Sanga non mando la sua, manderolla poi, dico la medaglia» (Giovio, 1956-1958, ad datam).
Non risulta altrimenti che Sanga fosse stato oggetto di dileggio dopo la morte di Leone X, ma certamente con l’elezione di Clemente VII e la nomina di Giberti a datario, il suo ruolo divenne improvvisamente molto più visibile. Il 15 maggio 1524 si registrano le prime lettere di negozi firmate dal protonotario Sanga e indirizzate al marchese di Pescara e al viceré di Napoli (Lettere di principi..., 1581, II, cc. 43r-44v). Fra le varie missive di questo periodo, una a Baldassarre Castiglione del 22 febbraio 1525 (Biblioteca apostolica Vaticana, Capponiani, 239, cc. 23v-26r), due giorni prima della battaglia di Pavia, mostra l’eloquenza diplomatica di Sanga, non meno della successiva del 9 marzo 1525 (Lettere di principi..., 1581, II, c. 75v; Capponiani, 239, cc. 26r-27r) con «la nuova della maravigliosa vittoria in Lombardia» che costringeva il papa a fare un’inversione di rotta completa.
Sanga criticò i ‘romanzi’ della politica francese in vivaci scambi con Lodovico Canossa, ambasciatore francese a Venezia e antico servitore dei Medici. Nel luglio del 1526 fu inviato in missione in Francia e in agosto andò in Inghilterra, tornando «a mani vuote» secondo l’inviato fiorentino Roberto Acciaiuoli. Nel frattempo, una minaccia ben più violenta si abbatteva su Roma, con il sacco dei Colonna (20 settembre 1526), frutto dell’ingenua credulità di Clemente VII alle false promesse degli imperiali e a dispetto degli avvertimenti dei filofrancesi.
Il rientro di Sanga a Roma è registrato da Aleandro sotto la data 17 ottobre 1526. Nei mesi successivi, assisté impotente al rapido deteriorarsi della situazione con disperati appelli a Castiglione, nunzio presso Carlo V, fino al sacco del maggio del 1527. Non riuscì a rifugiarsi in Castel Sant’Angelo con il papa e i cardinali, ma con le sue donne, presumibilmente la madre e la nonna, trovò fortunosamente riparo in palazzo Colonna, presidiato da Isabella d’Este. Riferì le sue disavventure a Uberto Gambara in una lettera scritta dal porto di Genova il 27 giugno (Archivio segreto Vaticano, Fondo Pio, 53, cc. 121r-127v, cit. parzialmente in Pastor, 1926, pp. 726 s.). Il 26 luglio scrisse da Venezia a Giberti, che era ostaggio dei lanzi, auspicando «qualche vendetta delle rovine nostre» (Fondo Pio, 53, cc. 119r-121v). Fece tappa a Verona, diocesi di Giberti, e poi tornò con prudenza a Roma. Dopo la fuga del papa a Orvieto riprese i suoi uffici curiali e nel febbraio del 1528 scrisse diverse volte a Paolo Crescenzio, un agente papale che seguiva passo passo le truppe francesi di Odet de Foix, visconte di Lautrec, inviate con il pretesto di liberare l’Italia dall’invasione imperiale. In seguito al collasso della spedizione francese in agosto, da Viterbo Sanga si rivolse al legato in Francia, il cardinale Giovanni Salviati, cercando di salvare il salvabile.
Il suo ruolo di persuasore e dissuasore diplomatico e letterario si può osservare anche nella lettera inviata a Pietro Aretino alla fine del 1528, secondo cui il papa «ha però caro che il rancore vostro contra di lui si rimanga pentito» (Lettere scritte a Pietro Aretino, 2003, I, pp. 42 s.). Gli effetti sul ‘Flagello dei Principi’ non si fecero attendere, se all’inizio del 1529, quando si sparse la falsa voce della morte del pontefice, Pietro Aretino scrisse un polemico «manifesto a tutta gente» accusando Giberti di avere «fatto, per far opra bona, / dal Sanga velenar mastro Chemente» (Scritti di Pietro Aretino..., 1987, pp. 138 s.).
Preminente rimase tuttavia il ruolo segretariale di Sanga insieme con Iacopo Salviati, per le cui mani in effetti passavano, secondo l’ambasciatore mantovano, «tutte le cose di momento» (Francesco Gonzaga a Federico Gonzaga, Roma, 13 maggio 1529, cit. in Rebecchini, 2010, p. 61). Sanga rimase coinvolto nei negozi al più alto livello fino a inizio agosto del 1532, quando fu colto da morte improvvisa. In una lettera di virulenta polemica contro Giberti, Aretino scrisse: «Il Sanga, ch’era il men tristo de tutti, fu avelenato dalla propria madre miracolosamente» (Procaccioli, 2016, p. 64) insieme all’amico Aurelio Vergerio. La romanzesca versione è confermata da altre fonti, secondo cui la madre di Sanga avrebbe tentato di eliminare un’amante del figlio con «una insalatuzza» (Virgili, 1881, p. 248).
L’attività di poeta è testimoniata dalla partecipazione ai Coryciana. Un giudice severo come Benedetto Varchi lo definisce giovane letteratissimo. Non a caso fu uno degli interlocutori del Dialogo contra i poeti (1526) di Francesco Berni, che si apre con il lamento di Sanga per esser stato «assassinato» da un «poeta traditore». L’alto profilo intellettuale e politico di Sanga fu celebrato da Giovio nel Dialogus del 1527: «Sanga Romanus ab epistulis Giberti et consiliorum Pontificis Maximi ab illustri fide particeps, ut plane existimo, supra aetatem profecit: est enim in optima imitatione prudens, sedulus, aequabilis, venustus, ita ut credam eum eloquentiae laude Romanorum principem futurum» (2011, pp. 246 e 248). È citato da Ludovico Ariosto nel Furioso (XLVI, 12, 8) insieme con Marcantonio Flaminio e Berni, e lodato da Lilio Gregorio Giraldi e da Francesco Arsilli.
Fonti e Bibl.: Nella Biblioteca apostolica Vaticana il ms. Capponiano 239 contiene diverse lettere della segreteria di Clemente VII attribuibili a Sanga, così come anche il Fondo Pio 53 dell’Archivio segreto Vaticano, dove sono conservate le sue copiose istruzioni ai nunzi. Alcune poesie si trovano nei Vat. lat. 2754, 3353, 5383. Molte lettere sono pubblicate in De le lettere facete..., Venetia 1561, Lettere di XIII huomini illustri..., Venetia 1561, Lettere di principi..., II-III, Venetia 1581.
Si vedano, ad indices, Monumenta Vaticana historiam ecclesiasticam saeculi XVI illustrantia..., Friburgo 1861; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1902; A. Virgili, Francesco Berni, Firenze 1881; Journal autobiographique du Cardinal Jérôme Aléandre, a cura di H. Omont, in Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothèque nationale et autres bibliothèques, Paris 1896; C. Bullo, Di tre illustri prelati clodiensi segretari di pontefici, in Nuovo Archivio veneto, XX (1900), pp. 274-285; J. Fraikin, Nonciatures de Clément VII, I, Depuis la bataille de Pavie jusqu’au rappel d’Acciaiuoli (25 février 1525-juin 1527), Paris 1906; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, 1, Roma 1926; B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, Bari 1945; P. Giovio, Epistulae, Roma 1956-1958; Scritti di Pietro Aretino nel Codice Marciano It. XI 66 (=6730), a cura di D. Romei, Firenze 1987, pp. 138 s.; A. Corsaro, Il poeta e l’eretico, Firenze 1988; A. Reynolds, Renaissance Humanism at the court of Clement VII, New York-London 1997; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, Roma 2003; The pontificate of Clement VII, Aldershot 2005; G. Rebecchini, «Un altro Lorenzo». Ippolito de’ Medici tra Firenze e Roma (1511-1535), Venezia 2010; P. Giovio, Dialogo sugli uomini e le donne illustri del nostro tempo, a cura di F. Minonzio, Torino 2011; P. Procaccioli, Il fiele dopo il miele (e il pugnale), Aretino contra Giberti, in Le scritture dell’ira. Voci e modi dell’invettiva nella letteratura italiana, a cura di G. Crimi - C. Spila, Roma 2016, pp. 51-66; M. Simonetta, “Segretarii cavalcanti e ziferali”: da Paolo Giovio a Gian Battista Leoni, in Essere uomini di ‘lettere’. Segretari e politica culturale nel Cinquecento, a cura di A. Geremicca - H. Miesse, Firenze 2016, pp. 39-50.