PERI, Giovan Domenico
PERI, Giovan Domenico. – Nacque ad Arcidosso, presso Siena, nel 1564 da una famiglia di contadini; il padre si chiamava Bartolomeo, della madre, Margherita, si ignora il cognome.
In gioventù fu destinato ai lavori agricoli, ma parallelamente intraprese un percorso di formazione letteraria da autodidatta. Le sue prime prove poetiche furono di intonazione popolare, declinate in forma di ottave, strambotti, rispetti e brevi rappresentazioni rusticali, produzione che gli consentì di raggiungere buona fama di improvvisatore.
Ricoprì cariche pubbliche nella cittadina natia: il 7 febbraio 1598 fu eletto vicario del Comune, divenne priore il 1° agosto 1599 e il 25 aprile 1600 fu eletto rettore dello spedale di S. Lazzaro, carica, quest’ultima, che ricoprì fino al maggio del 1606; il 28 luglio del 1604 fu eletto camerlengo del Comune. Tra il 1598 e il 1599 soggiornò a Firenze mentre, intorno al 1600, terminò la stesura della sua prima vera opera letteraria, Il Caos ovvero la guerra elementale, un poema sacro in ottave diviso in cinque canti dedicato a Iacopo Corsi, noto musicista fiorentino, e trasmesso da tre manoscritti (Firenze, Biblioteca nazionale, Palatino 350 e Magl. VII.946; Lucca, Biblioteca statale, Mss., 1032).
Si tratta di un poema sulla creazione divina del mondo che Peri elabora riscrivendo e ampliando il racconto biblico e facendo affidamento su pochi modelli di riferimento: sicuramente la Sepmaine, ou création du monde di Guillaume de Salluste Du Bartas, edita a Parigi nel 1578 e tradotta in volgare da Ferrante Guisone (1593), non il Mondo creato tassiano, edito per la prima volta postumo a Viterbo nel 1607. Va dunque rilevata l’originalità dell’opzione tematica percorsa da Peri, che trama le ottave sulla creazione di numerose descrizioni naturalistiche, come quella delle perle, della porpora e del corallo, di digressioni sull’origine della pioggia, del ghiaccio e della neve, o di panoramiche sul caos degli elementi che si agitano nel vuoto.
Prosecuzione ideale del Caos è un altro poema d’ispirazione biblica, il Mondo desolato, che Peri compose tra il 1600 e il 1619, ma che fu pubblicato soltanto nel 1637 con dedica a Mario Sforza conte di Santa Fiora.
Il poema, composto da nove canti in ottave, descrive il Giudizio universale: l’apparizione sulla Terra dell’Anticristo, l’ira divina, la fine del mondo, la resurrezione dei morti, il giudizio al quale viene sottoposta l’umanità nell’adunanza presieduta dal Creatore, la separazione di reprobi e giusti in due schiere, gli inni di lode della corte celeste. Per la tessitura dei versi Peri sfrutta molti topoi epico-romanzeschi derivati dalla Liberata tassiana, come il concilio infernale, le profezie, le personificazioni e le scene di battaglia, e si serve di numerosi prelievi danteschi. Il legame con la Commedia si fa ancora più stringente nelle Visioni di santa Caterina di Siena, un breve poemetto rimasto manoscritto (cinque canti per un totale di 290 ottave), costruito sulla base della Legenda maior di Raimondo di Capua.
A Firenze, ospite di Corsi, Peri poté entrare in contatto con i letterati e i musicisti legati alla Camerata de’ Bardi, soprattutto Ottavio Rinuccini e Iacopo Peri, assistendo ad alcune rappresentazioni musicali. Nel 1607 Peri sposò una donna di ignota estrazione di nome Artemisia, dalla quale ebbe numerosi figli: Antilia, Daria, Tirsi, Pietro e Drusilla. Nel 1610 fece un secondo viaggio a Firenze, dove beneficiò della protezione di Giovan Battista Strozzi il Giovane, il quale, in occasione di un soggiorno fiesolano, gli suggerì il tema per un poema eroico sulla fondazione di Firenze, la Fiesole distrutta, e lo introdusse nella cerchia di Cosimo II, al quale Peri lesse alcune ottave del suo poema.
Durante il periodo fiorentino Galileo Galilei si interessò alle composizioni poetiche di Peri, il «poeta contadino», come si evince da una lettera di Giovanni Ciampoli allo scienziato toscano del 24 luglio 1610 (Lazzareschi, 1909, p. 38). Pochi mesi più tardi, tornato ad Arcidosso in occasione del passaggio nel paese di Cosimo II (26 ottobre 1612), Peri stese una descrizione delle celebrazioni e delle feste che seguirono la parata, edita con il titolo di Breve descrizione delle poetiche invenzioni rappresentate alla regale presenza de’ Serenissimi di Toscana in Arcidosso… (Siena 1612).
A questo arco di anni risale la stesura di alcuni drammi sacri, rimasti inediti e dedicati a esponenti della famiglia Medici (Lazzareschi, 1911, pp. 10-12, 94-132): l’Adamo cacciato dal Paradiso, in cinque atti e un prologo, imitazione del coevo Adamo (1613) di Giovan Battista Andreini; da un’altra sacra rappresentazione di Andreini, La Maddalena (1617), deriva la Maddalena convertita, che rispetto al modello presenta uno svolgimento scenico più lineare e un dettato più asciutto ed essenziale; infine va registrata La guerra angelica, una «tragicommedia celeste» che risente sensibilmente dell’esempio dell’Angeleida (1590) di Erasmo di Valvasone, sia per lo sviluppo degli episodi e del coro finale sia per la scelta delle personificazioni allegoriche. L’attività di autore teatrale comprende anche la realizzazione di due drammi pastorali plasmati sul modello dell’Aminta tassiana e del Pastor fido di Battista Guarini: Il Sireno, «favola pastorale» inedita (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII.273) in cinque atti e Il Siringo, «favola cacciatoria», pubblicata a Siena nel 1636, nei quali si riflettono le sperimentazioni teatrali interne alla Congrega senese dei Rozzi.
Nel 1619 la Fiesole distrutta vide la luce in una pregevole stampa fiorentina adornata da un ritratto di Peri inciso da Jacopo Callot.
Suddiviso in venti canti, il poema applica la consueta trama dell’assedio alle vicende di Fiesole, distrutta nel 90 a.C. dall’esercito romano guidato da Marco Porcio Catone. Come avverte la nota dello Stampatore a’ lettori, i modelli epici di Peri furono, sin dalla giovinezza, Ariosto e Tasso: «Compose più cose, e ciascuna oltre alle forze sue fanciullesche. Quando poi s’abbatté a veder l’Ariosto stupì e migliorò non poco il suo stile, poi tanto più quando gli fu donato il poema del Tasso». Dal Furioso Peri estrae numerose digressioni romanzesche come l’episodio dell’amore di Rosmondo per Mirtilla, esemplato su quello di Ruggero per Bradamante, dalla cui unione discenderà la stirpe medicea. Tra incanti, fughe e rapimenti tipici del genere cavalleresco si innesta il modello tassiano, che, come detto, contrassegna il tronco narrativo del poema, condizionando la fisionomia morale dei personaggi: il personaggio di Rosmondo risponde a quelli di Tancredi e Rinaldo, la guerriera Mirtilla e la fanciulla Armilla corrispondono rispettivamente alle figure di Clorinda e di Erminia. Anche le descrizioni e le immagini risentono fortemente del precedente tassiano, come è il caso del giardino di Cefille, tratteggiato scrupolosamente su quello di Armida. Entro questo solido canovaccio narrativo si notano molti prelievi dal Canzoniere di Petrarca e dall’Inferno dantesco, come accade per la descrizione del fosso che cinge la città di Fiesole (canto V, ott. 84), paragonato a quello che circonda la citta di Dite di Inferno, VIII, vv. 67-78.
Tra il 1620 e il 1621 Peri tornò a Firenze presso lo Strozzi, dove strinse legami più saldi con Ciampoli. Per la morte di Cosimo II, nel 1621, Peri compose un epicedio dal titolo Tempio mediceo (Siena 1621), un prosimetrum costituito da ventitré componimenti (sonetti e canzoni), nel quale immagina che la celebrazione delle esequie avvenga in un sereno scenario campestre, tra i boschi del monte Amiata. Grazie a Ciampoli intraprese un viaggio a Roma pochi anni dopo l’elezione al soglio pontificio di Urbano VIII. Al nuovo papa Peri volle dedicare La rotta navale, un poema eroico, pubblicato postumo a Siena nel 1642, che ripropone in tredici canti un tema caro all’epica volgare, la celebre vittoria di Lepanto contro i Turchi nel 1571, narrata recuperando diversi temi dal Furioso e dalla Vittoria navale (Roma 1633) di Ottavio Tronsarelli. A Roma Peri aderì all’Accademia degli Umoristi e visitò la tomba di Tasso nella chiesa di S. Onofrio.
Tornato ad Arcidosso, compose entro il 1623 una Cronaca del paese di Arcidosso, pubblicata postuma nel 1866 sulla base del manoscritto Firenze, Biblioteca nazionale, Misc. Palagi, II, I, 400, nella quale agisce, per stessa ammissione dell’autore, il modello della Cronica di Giovanni Villani (Lazzareschi, 1909, pp. 63 s.). Dedicò gli ultimi anni di vita alla composizione di testi poetici, tra cui una Gerusalemme distrutta, poema che aveva immaginato di dedicare a Ferdinando II de’ Medici, ma che non giunse alle stampe. Il 1° ottobre 1637 morì la moglie Artemisia, cui seguì, pochi mesi dopo, la morte del genero Volunio Fabbrucci.
Fece testamento il 4 maggio 1636 e morì il 2 aprile 1639 ad Arcidosso, dove fu sepolto nella chiesa di S. Andrea.
Tra le opere rimaste inedite si conta una tragedia, L’Alcinoo, che narra le peripezie del principe di Antiochia e della sorella Argia, promessa sposa ad Arbante, re di Alessandria, ma oggetto della passione illecita di Tesandro, re di Damasco: la vicenda tragica conduce all’omicidio di Tesandro e Argia da parte di Alcinoo e al suo inevitabile suicidio. Gli endecasillabi sciolti di Peri risultano ben costruiti, scorrevoli ed equilibrati, provando ancora una volta la sua versatilità poetica e una sicura abilità nella composizione di opere teatrali. Piuttosto ingente risulta anche la produzione di liriche e di satire inedite (Lazzareschi, 1911, pp. 14-16, 160-202): un ampio Canzoniere in due parti («rime amorose» e «rime diverse») suddiviso in sezioni tematiche, all’interno del quale si intrecciano le consuete trame petrarchistiche del discorso lirico tradizionale con modelli più caratterizzanti, come quello di Chiabrera nelle canzonette anacreontiche, di Ciampoli nelle rime di argomento sacro e morale, e soprattutto di Marino nei madrigali, negli epitalami e nella sezione delle rime boscherecce. Testimone dell’adesione a un genere che ebbe larga fortuna nella Toscana del Seicento, il Flagello del Mondo (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VII.274) accoglie nove satire intitolate «sferzate», nelle quali Peri colpisce con toni aggressivi i vizi universali, personificati nelle figure dei «principi tiranni» (sferzata I), dei «pazzi cortigiani» (sferzata III), degli «empi governatori» (sferzata IV), della «plebe contadinesca» (sferzata VIII) o delle «infami donne» (sferzata IX). Se per l’impiego del capitolo in terza rima Peri recupera la linea formale delle Satire ariostesche, per quanto concerne la scelta dei temi e delle modulazioni discorsive se ne allontana notevolmente, riprendendo piuttosto la cupa vena censoria delle satire di Giovenale.
Fonti e Bibl.: G.N. Eritreo (G.V. Rossi), Pinacotheca, Colonia 1645, p. 88; G. Contri, Biografia del poeta G.D. P. d’Arcidosso, Grosseto 1886; A. Belloni, Gli epigoni della Gerusalemme liberata, Padova 1893, pp. 175, 502 s.; E. Lazzareschi, Un contadino poeta. G.D. P. d’Arcidosso, Roma 1909; Id., Le opere di G.D. P., Lucca 1911; A.M. Crinò, Virtuose di canto e poeti a Roma e a Firenze nella prima metà del Seicento, in Studi secenteschi, I (1960), pp. 175-193.