CRISCUOLO (Crescione, Crisconio), Giovan Filippo
La prima precisa definizione della personalità e soprattutto del catalogo del C. si deve a Cesare D'Engenio (1624) che lo definisce "illustre pittor gaetano discepolo d'Andrea da Salerno, il qual fiorì nel 1570 in circa". La notizia di una nascita a Gaeta è probabilmente conseguenza del fatto che proprio in questa città si trova il suo più consistente ciclo di pitture, mentre invece il C. si firma sempre come napoletano, a cominciare dal ciclo gaetano, che è datato 1531.
Se il nutrito catalogo del pittore che ci viene fornito dal D'Engenio è sostanzialmente esatto (almeno per quanto riguarda le opere ancora superstiti, e quindi verificabili) ed esatta è anche la "discendenza" artistica da Andrea da Salerno, certo troppo avanzata è la data 1570 quale punto di riferimento per la sua maturità stilistica (il C. è pittore già pienamente affermato nel 1531, tanto da rendere abbastanza improbabile la data di nascita, 1509, riportata da qualche scrittore).
Il Vasari ricorda un "Giovan Filippo Crescione pittor napoletano" scolaro di Marco Cardisco, ancora vivo all'epoca della seconda edizione (1568) della sua opera ed assai attivo: "in compagnia di Lionardo Castellani suo cognato fece molte pitture e tuttavia fanno: dei quali per esser vivi et in continuo essercizio, non accade far menzione alcuna". È questione ancora controversa se il Vasari volesse alludere, con questa scarna citazione, al C. nella cui produzione, però, non compare traccia alcuna (se non in casi molto particolari) di un'altra personalità di pittore, quel Leonardo Castellano, appunto, che, a detta del Vasari, doveva essergli, oltre che cognato, anche socio.
Nell'antica storiografia napoletana la figura di Giovan Filippo Crescione (quando non è ignorata, come nel D'Engenio) è generalmente tenuta distinta da quella del C., ma la tenuità della traccia vasariana non ci permette di stabilire se ci troviamo di fronte ad un equivoco dello storico aretino, e quindi se la figura del Crescione debba venir riassorbita in quella del ben più noto C., oppure se si tratta veramente di due personalità distinte. A favore di questa ipotesi gioca la pittura del C. che non solo non presenta, come si è già detto, stabili tracce di collaborazioni, ma che non può nemmeno collocarsi, per ragioni di stile ed anche per ragioni di età, nella sfera di uno scolaro del calabrese Marco Cardisco, che del C. era più o meno coetaneo. A meno di non considerare il Vasari, ad onta del suo soggiorno partenopeo, oltremodo disinformato delle vicende della pittura napoletana a lui contemporanea. La notizia sulla nascita gaetana data dal D'Engenio è ripresa dal maggior storico settecentesco dell'arte napoletana, Bernardo De Dominici, che al C. dedica una biografia (1743 pagine piene di pure dicerie, è il giudizio liquidatorio che ne darà poco dopo Onofrio Giannone), piena certo di aspetti romanzeschi e di luoghi comuni letterari, ma da cui occorrerà estrarre una serie di spunti importanti.
Nella biografia dedominiciana, infatti, pur sorvolando sul topos, comunissimo nella storiografia artistica, della irrefrenabile vocazione del giovane verso la pittura, tanto forte da averla vinta, alla fine, sull'ostilità del padre, deciso ad avviare il figlio verso professioni più redditizie, c'è, legata a queste romanzesche vicende, una notizia del massimo interesse: scontratosi con l'ostinazione paterna, il C. fuggì a Roma a vedere le opere di Raffaello e si pose alla scuola di uno dei suoi più autorevoli seguaci, Perin del Vaga.
Per un pittore meridionale che si formava negli anni '20 del Cinquecento e nella cerchia (quasi certamente) di un pittore così profondamente imbevuto di raffaellismo quale era Andrea Sabatini da Salerno, questa era una strada quasi obbligata e certo l'interesse maggiore doveva andare verso la più moderna tra le realizzazioni raffaellesche: le logge vaticane. Secondo il De Dominici (1743), è la testimonianza del fratello stesso, il notaio-pittore Giovan Angelo Crisconio, a renderci sicuri della formazione di Giovan Filippo alla scuola del Sabatini e non a quella di Giovan Bernardo Lama, a cui rimanderebbe, sempre a detta del De Dominici, la testimonianza seicentesca di Massimo Stanzione.
È abbastanza improbabile che nella Napoli del Seicento, e nel giro degli addetti ai lavori, si ponesse il C. alla scuola di un pittore, come il Lama, più giovane di almeno un quarto di secolo. Pur tenendo conto che in quegli anni anche uno scrittore in genere molto bene informato, e certamente in possesso di notizie di prima mano, come il D'Engenio (1624), tendeva a ritardare, oltre il verosimile, l'attività del Criscuolo.
Del resto, nella Napoli del terzo decennio del Cinquecento, nessun altro pittore se non Andrea Sabatini poteva indirizzare il giovane C. verso quel raffaellismo eccentrico (il raffaellismo dei grandi pittori spagnoli attivi in Italia fino a pochi anni prima, Alonso Berruguete e Pedro Machuca) di cui tanti riflessi si trovano sia nelle opere del pittore salernitano sia in quelle del discepolo, a partire dalla più antica delle sue opere documentate, il vasto ciclo, appunto, della chiesa della Annunziata di Gaeta.
Il ciclo rivela però una cultura complessa e diramata, che va oltre il dato di eccentrico raffaellismo, ed anche oscillazioni qualitative che possono far pensare alla presenza di collaboratori. Se nella scena che il maestro sceglie per apporre la sua firma (la Moltiplicazione dei pani e dei pesci) il richiamo al Raffaello delle logge appare di subita evidenza, così come nella scena che più le si avvicina (La disputa di Gesù nel tempio ma con in più un chiaro aggancio con la focosa maniera di un Machuca), in altre appare un'attenzione profonda alle esperienze della pittura toscana di primo Cinquecento (Granacci, Mariotto Albertinelli) con improvvise sterzate in direzione della cultura dei cosiddetti "eccentrici" dell'Italia centromeridionale (Girolamo Genga, Cola dell'Amatrice). Siamo dunque ben al di là del dato (che pure è presente) romano-lombardo caro al suo maestro Andrea da Salerno sintomi, allora, di aggiornamenti culturali all'ombra di probabili frequentazioni romane, durante il terzo decennio del secolo.
Contemporaneo al ciclo dell'Annunziata è lo scomposto polittico di Ausonia, che mostra, nelle figure squadrate come arcaici idoli lignei, in chiaro contrasto col "caratterismo" delle fisionomie, quello stesso complesso legame di culture diverse presente nelle pitture dell'Annunziata.
A Gaeta il C. dovette sostare a lungo, impegnato in commissioni di grosso prestigio e in posizione, a quanto pare, di quasi assoluto monopolio, se a lui si deve l'esecuzione di altri due polittici: uno, grandioso, in due registri, con al centro la Dormitio Virginis e la Annunciazione, l'altro (firmato e datato 1536) che incornicia una Madonna bizantina.
Il gusto per i grandi polittici a più scomparti (un gusto alquanto spagnolo) è tratto caratteristico della produzione del C.: così dovevano essere i due polittici perduti ricordati dal D'Engenio (1624) e dai successivi scrittori nelle chiese di Donna Regina, e di Regina Coeli a Napoli, e quello, anch'esso ora scomposto, nella parrocchiale di Novi Velia (Salerno) datato 1540. Un polittico, quest'ultimo, che rappresenta una cerniera importante nell'attività del C.: è questo il momento più "classico", nella produzione del pittore, come dimostrano la placida tornitura delle forme, lo sforzo di un recupero della serenità raffaellesca (e della Madonna del pesce di Raffaello è copia il gruppo divino al centro del polittico). Anche se si tratta di un classicismo un po' ingenuo, quasi rusticano, che ammanta di nobile e sacrale solennità floride, malinconiche contadinelle. Assai simili alle sante-contadine di Novi Velia sono le due Sante martiri di un altro polittico scomposto, ora conservato nella sacrestia del duomo di Ravello: ancora, dunque, nel Salernitano. Dove compare, però, in certe figure (come la Maddalena assunta in cielo) un fare più "corsivo", un dipingere a pennellate più rapide e fluide, che sarà caratteristico della fase matura e tarda del Criscuolo.
In questo momento di trapasso culturale si pone anche il polittico del museo di Capodimonte, firmato e datato 1545.
Se, per esempio, la figura del S. Giovanni evangelista partecipa ancora del placido raffaellismo del polittico di Novi Velia, nello scomparto centrale (con la Natività) e nelle mezze figure dei Ss. Pietro e Paolo del registro superiore urgono problemi nuovi, il riflesso, soprattutto, della cultura di uno dei maggiori scolari di Raffaello, trasferitosi al Sud dopo il sacco di Roma (1527), Polidoro Caldara da Caravaggio. Una cultura che negli anni '40 diviene largamente circolante nella pittura napoletana del tempo.
Il massimo avvicinamento alla maniera di Polidoro il C. lo realizza in una tavola (la Natività tra i ss. Paolo e Giovanni Battista) oggi nella collezione Harrach di Vienna (a cui è strettamente legata la Dormitio Virginis del Museo di Budapest) che può considerarsi ad un tempo una delle sue principali realizzazioni ed uno dei dipinti più coerentemente polidoreschi della Napoli pittorica del tempo.
L'inquieta maniera dei più eccentrici seguaci di Raffaello (segnatamente Polidoro e Perin del Vaga) è il referente principale della fase tarda del Criscuolo. Una maniera che traduce il patetico accigliato e a volte angoscioso dei modelli in una inquietudine più "sotto pelle", che anima di un sottile rovello le figure ancora solennemente ammantate di santi ed apostoli. È il caso delle tavolette con Scene dell'infanzia di Cristo e con Episodi post mortem del Salvatore nella sacrestia di S. Paolo Maggiore a Napoli e della Adorazione dei Magi in una collezione privata napoletana, resa nota da F. Bologna (1959).
Se il Giovan Filippo Crescione del Vasari è tutt'uno con il C., quest'ultimo era dunque ancora vivo ed operoso nel 1568. Una tale eventualità renderebbe plausibile una notizia del De Dominici (1743) che riportiamo per intero: "La sua morte mi persuado che accadesse circa il 1584 poiché vi son sue pitture operate dopo gli ottanta, come si può osservare dalla bella tavola, che conserva il virtuoso d. Paolo Pegnalverre dotto avvocato, e negoziante napoletano, nella quale è effigiato al vivo, ma in piccolo, S. Francesco da Paola, assai ben dipinto, e dietro vi è notato l'anno 1681 [dovrebbe trattarsi evidentemente di un lapsus del De Dominici per 1581] da Gio. Filippo già fatto vecchio avendosi per tradizione di antenati di chi questa pittura possiede, che poco tempo dopo venne a mancare il pittore".
Contraddizioni ed incongruenze a parte, una data di morte del C. attorno al 1584 (di un pittore cioè nato presumibilmente all'aprirsi del secolo) sarebbe anagraficamente del tutto possibile. Dal punto di vista della pittura non vi è però nelle opere del C. alcuna traccia dello svolgersi delle vicende della pittura napoletana della seconda metà del secolo. Restando, comunque siano andate le sue vicende anagrafiche, la produzione del C. una pittura ancorata alla cultura della prima metà del secolo. E se veramente visse tanto a lungo, c'è da dire che anche negli ultimi ipotetici anni restò sostanzialmente fedele alla sua maniera più tipica. Che è ipotesi, occorre aggiungere, allo stato attuale delle conoscenze sulla pittura napoletana del Cinquecento, per il momento difficilmente verificabile.
Dopo gli anni, tra Quattro e Cinquecento, delle vivaci sperimentazioni e delle grandi aperture verso l'Italia centrosettentrionale e verso l'Europa, la pittura del C. si sviluppa in un'epoca in cui la cultura artistica napoletana pare sintonizzarsi soprattutto con quanto accadeva a Roma e a Firenze e la storiografia artistica non ha mancato di sottintendere, già - si può dire - fin dai tempi del De Dominici (1743), che la produzione napoletana rappresentava una sorta di costola provinciale di una grande cultura egemone. Per cui, fatto salvo il raffaellismo "puro" di Andrea Sabatini da Salerno, il "genius loci" della pittura napoletana del primo Cinquecento, De Dominici non manca di notare, pur tra gli elogi di rito, come "quanto più i rivoli si scostano dal primo fonte" [in questo caso, Raffaello] "tanto più variano da quello", così dunque "Giovan Filippo traviando alquanto da quel primo fonte, si fece anch'egli la sua propria maniera" maniera che il biografo non riesce proprio a giudicare come "la più elegante e vistosa, per essere in alcune parti troppo ristretta di libertà, e perciò alcune volte un po' secca".
La "secchezza" della pittura del C., che il De Dominici addebitava, anche senza dirlo esplicitamente, ad una sorta d'imbarbarimento del modello raffaellesco, è dal Lanzi (1809) imputata a ragioni caratteriali: il C. "seguendo... il suo naturale riservato piuttosto e timido, si formò una maniera che pende al secco cosa che gli fa onore in un tempo nel quale si esorbitava ne' contorni, e sempre più deviavasi dalla precisione di Raffaello".
Tradotta in termini storiografici moderni, l'intuizione del Lanzi appare sostanzialmente esatta: il C. rimase sempre fedele alle sue radici raffaellesche, senza mai indulgere a gigantismi manieristici ed anche i suoi aggiornamenti in direzione del manierismo manterranno per base il versante raffaellesco, da Polidoro a Perin del Vaga.Mariangela. "Nacque... circa gli anni 1548 nella città di Napoli da Gio. Filippo Criscuolo, secondo l'opinione de' più, benché il cavalier Massimo Stanzioni ponga in dubbio, se da lui, o dal fratello Gio. Angelo ella nascesse" (De Dominici, 1743, p. 327).
Se questa pittrice sia poi realmente esistita e non si tratti, invece, di una invenzione del biografo non è possibile stabilire con esattezza. De Dominici continua la sua biografia elencando una serie di opere, oggi, per ragioni varie, non più rintracciabili: una verifica della personalità della figlia del C. non e quindi per il momento possibile. Ma qualche cauta ipotesi è possibile farla. Per una di queste opere, il Transito della Vergine, già nella demolita chiesa di S. Giuseppe Maggiore, il biografo dà una precisa, e verosimile, indicazione stilistica: in quel quadro "si scorge assai la maniera di Gio. Filippo suo padre". È infatti presumibile che, figlia d'arte, Mariangela abbia iniziato a dipingere sulla scia del padre, ed è quindi ragionevole ipotesi cercare tracce della sua attività in pitture che, senza essere attribuibili direttamente alla mano del C., ne riflettano tuttavia in modo sensibile la maniera.
L'unica opera che pare avere tali requisiti è una Annunciazione nella parrocchiale di Bucciano (Benevento), già segnalata come possibile opera sua (Abbate, 1982) per i suoi stretti rapporti con le tavolette del C. in S. Paolo Maggiore.
Giovan Battista Chiarini, commentatore (1856-60) delle Notizie... di Carlo Celano (1692), attribuiva (pp. 1279 s. nell'ediz. 1970) invece a Mariangela una Madonna col Bambinotra i ss. Francesco d'Assisi, Francesco di Paola, Domenico e Caterina, ancora oggi esistente in S. Maria la Nova, identificandola evidentemente, ma è difficile dire su quali basi, con una tavola genericamente indicata dal De Dominici (p. 328) come "B. Vergine, col Bambino e molti santi".
La tradizione indicava, inoltre, Mariangela come moglie del pittore Giovan Antonio d'Amato il Giovane, ma è anche questa una notizia per il momento impossibile da verificare.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le Vite... nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini-P. Barocchi, Testo, IV, Firenze 1976, pp. 526 s. C. D'Engenio, Napoli sacra, Napoli 1624, passim F. de Petri, Historia napol., Napoli 1634, pp. 70, 203 (ripubblicata da B. Croce in Napoli nobilissima. VIII[1899], p. 14 e da O. Morisani, in Letter. artistica a Napoli, Napoli 1958, pp. 83 s.) C. Tutini, De' pitt., scultori, archit., miniatori et ricamatori neapolitani... [sec. XVII], a cura diB. Croce, in Napoli nobilissima, VII (1898), p. 122 (anche in O. Morisani, Letteratura artistica…, Napoli 1958, pp. 120, 124 s.) C. Celano, Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli [1692], Napoli 1970, ad Ind. P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 217 (Giov. Filippo Crescione Napolitano) B. De Dominici, Vite de' pittori, scultori ed architetti napol., II, Napoli 1743, pp. 174 ss. (327-330 per Mariangela) O. Giannone, Giunte sulle "Vite de' pittori napoletani"[sec. XVIII], a cura di O. Morisani, Napoli 1941, pp. 70 ss. P. Napoli Signorelli, Vicende della cultura delle Due Sicilie V, Napoli 1786, p. 525 (527 per Mariangela) L. Lanzi, Storia pittor. della Italia [1809], a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 452 F. Marzullo, Guida del forestiero, Napoli 1823, p. 69 (per Mariangela) G. A. Galante, Guida sacra..., Napoli 1873, passim (cfr.F. Strazzullo, Postille alla Guida sacra…, Napoli 1962, ad Ind.) G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, V, Napoli 1891, p. 149 (Crescione e Crisconio) G. Ceci, Un convento di canonichesse. Regina Coeli, in Napoli nobilissima, VIII (1899), p. 25 A. De Rinaldis, Catalogo del Museo nazionale di Napoli, Napoli 1911, p. 382 R. Marrocco, L'Annunciazione di G. F. C., in Arte e storia, XXXI (1912), pp. 302 ss. A. Venturi, Storia d. arte ital., IX, 5, Milano 1932, pp. 731-734 Il Museo diocesano di Gaeta, Gaeta 1956, pp. 25 ss. F. Bologna, Roviale spagnolo e la pittura napol. d. Cinquecento, Napoli 1959, pp. 79 ss. B. Molajoli, Il Museo Principe Diego Aragona Pignatelli, Napoli 1960, p. 29 C. Maltese, Arte nel Frusinate dal sec. XII al sec. XIX (catal.), Frosinone 1961, p. 34 F. Calise, Dall'arte bizantina al barocco nell'istituto della SS. Annunziata di Gaeta, Gaeta 1962, ad Ind. G. Kalby, Un ignorato polittico di G. F. C., in Riv. di studi salernitani, I (1968), pp. 255-262 M. Rotili, L'arte del Cinquecento nel Regno di Napoli, Napoli 1972, pp. 134 ss. F. Abbate, La pittura napol. fino all'arrivo di G. Vasari, in Storia di Napoli, V, Napoli 1972, pp. 840 ss. G.Kalby, Classicismo e maniera nell'officina meridionale, Salerno 1975, pp. 59-63 (recensione di G. Previtali, in Prospettiva, 1976, 4, pp. 51-54) Arte a Gaeta (catalogo), Gaeta 1976, pp. 74-84 G. Previtali, La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame, Torino 1978, pp. 1620 e passim F.Abbate, Pittura e scultura tra Riforma e Controriforma, inserto in La Voce della Campania, 30 sett. 1979, p. 346 Id., Natale insieme (catal.), Caserta Vecchia1982, pp. n. numerate (per Mariangela) Id., Appunti su tre restauri napoletani, in Prospettiva, 1983-84, n.33-36 (anche per Mariangela) U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, pp. 110 s. (anche per Mariangela).