ALBANI, Giovan Francesco
Nacque a Roma il 26 febbr. 1720 da Cado, fratello dei cardinali Annibale e Alessandro, e da Teresa Borromei. Assai giovane, l'influenza degli zii gli valse l'elevazione al cardinalato: il cardinale Annibale, protettore della Polonia, riuscì infatti ad ottenere dal re Augusto III la richiesta di assegnazione del cappello cardinalizio al nipote, che venne così investito, il 15 maggio del 1747, del titolo di S. Cesareo, malgrado l'ostilità di Benedetto XIV alla contemporanea presenza nel collegio cardinalizio di tre membri della stessa famiglia. Suddiacono nel novembre dello stesso anno 1747, diacono l'anno dopo, quindi prete (1759) e vescovo (1760), l'A. passò successivamente dal titolo di S. Cesareo a quelli di S. Clemente e, come cardinale vescovo, di Sabina (1760), Porto e S. Rufina (1773), Ostia e Velletri (1775). Alla morte dello zio (1751), l'A. gli successe come protettore della Polonia. Al conclave del 1758, alleato ai cardinali francesi e ai veneziani D. Dolfin e C. Rezzonico, ebbe una certa parte nel favorire l'elezione di quest'ultimo, poi Clemente XIII, al soglio pontificio. Dopo l'espulsione dei gesuiti da Napoli (1768), venne chiamato a far parte di una congregazione speciale istituita da Clemente XIII, e si pronunziò in favore dell'abolizione della Compagnia. Ma al conclave del 1769 era divenuto uno dei più autorevoli tra i cardinali "zelanti", e insieme con lo zio Alessandro e con C. Rezzonico, nipote del defunto pontefice, avversò strenua-mente la candidatura del Ganganelli, essendo protagonista, per questo, di un incidente con il cardinale de Bernis, che sosteneva il futuro Clemente XIV. Eletto il nuovo papa, l'A. manifestò il proprio disappunto rifiutandosi di prestar servizio al soglio pontificio, e si trovò più di una volta in contrasto con le posizioni assunte dal pontefice, soprattutto a proposito della questione dei gesuiti, che l'A. appoggiò e difese.
Al successivo conclave del 1774-75 l'A. era ormai il capo del partito degli "zelanti", alleato al Rezzonico e al Marefoschi nell'avversare l'intervento delle potenze europee nella vita della Chiesa e quindi nel propugnare un atteggiamento più fermo da parte del papato. Appoggiò attivamente l'elezione del Braschi, sforzandosi, insieme con lo zio Alessandro, di renderne accetta la candidatura a Vienna.
Negli anni successivi si adoperò per il ristabilimento della Compagnia di Gesù. Nel 1789, col segretario di stato cardinal Zelada e con i cardinali Antonelli, Gerdil e Campanelli, fece parte della congregazione speciale, istituita da Pio VI, che esaminò e condannò le "puntazioni di Ems" e il sinodo di Pistoia.
Scoppiata la Rivoluzione in Francia, l'A. tenne di fronte ad essa, e all'invasione francese, un atteggiamento di intransigente avversione. Nel febbraio del 1797, poco prima della pace di Tolentino, egli dirigeva ancora, con l'Antonelli, i cardinali partigiani della difesa armata ad oltranza dello Stato pontificio, la qual cosa gli valse l'ostilità dei Francesi e quella personale del Bonaparte. Nel luglio del 1797 un dispaccio del Delacroix, in previsione della morte del papa, invitava il Bonaparte a dare l'esclusiva all'A.; e il Bonaparte stesso, scrivendo poco dopo al fratello Giuseppe, ambasciatore a Roma, si dichiarava pronto a marciare sulla città per impedire un'eventuale elezione dell'A., ritenuto responsabile, anche in quanto membro della Congregazione di stato, della morte del Basseville. Dopo l'uccisione del Duphot, minacciato di arresto con tutta la sua famiglia dal generale Berthier, l'A. fuggì da Roma all'inizio di febbraio del '98, nascondendosi per qualche mese nell'abbazia di Casamari e recandosi quindi, nel luglio, a Napoli, mentre i Francesi entrati a Roma ne devastavano e saccheggiavano la villa e ne confiscavano i beni.
Rimasto per qualche tempo a Napoli, l'A. accolse l'invito del Maury di recarsi a Venezia. A lui spettò, dopo la morte del papa, la scelta del luogo in cui si sarebbe svolto il conclave: il 13 nov. 1798, una bolla di Pio VI, in previsione del difficile momento che la sua morte avrebbe aperto per la Chiesa, aveva affidato difatti al più anziano dei cardinali la scelta del luogo, in territorio governato da un principe cattolico, nel quale il collegio dei cardinali avrebbe' dovuto scegliere il suo successore. Benché poco dopo la morte di Pio VI le truppe napoletane e quelle austriache fossero entrate nella capitale, liberandola dai Francesi, l'A., che era decano del Sacro Collegio dal 1775, scelse Venezia, e pose il conclave sotto la protezione dell'imperatore Francesco Il. Legittimista, avverso fieramente alla Rivoluzione, influenzato dal cardinale Maury, nel rivolgersi a Luigi XVIII per notificarglì l'avvenuta morte di Pio VI, l'A. usò il titolo di "Re Cristianissimo", dando così in pratica al pretendente quel riconoscimento ufficiale che Pio VI gli aveva sempre negato.
Ma, iniziatosi il conclave, l'A., vecchio e costretto da una malattia a rimanere nella sua cella per quasi tutta la durata di esso, non poté influire eccessivamente sulle sue sorti, se non, come mediatore, nella fase conclusiva. Dimostrò tuttavia un'estrema condiscendenza, poi rimproveratagli dal Consalvi, nei riguardi del cardinale austriaco Hertzan, al quale permise, in pieno conclave, di inviare un corriere al ministro Thugut per ottenerne l'esclusiva al cardinale Bellisomi. Eletto Pio VII, l'A. accolse dalla sua voce l'accettazione dell'avvenuta elezione. Il nuovo papa lo nominò subito dopo legato a latere, insieme ai cardinali Roverella e Della Somaglia, incaricandolo di precederlo nel viaggio verso Roma e di ricevere da Ferdinando IV di Napoli il governo dello Stato pontificio. Malgrado l'età avanzata, l'A. prese parte alle discussioni per il concordato con la Francia e successivamente per quello con la Repubblica italiana (1800-02), sui quali dette parere favorevole.
L'A. fu anche protettore dell'Ordine di S. Gerolamo e della Congregazione del beato Pietro da Pisa (1761), nonché del regno di Scozia (1763), e prefetto della S. Congregazione dei cerimoniali.
Morì a Roma il 15 sett. 1803. Il suo corpo venne traslato nella basilica di S. Maria Maggiore, della quale egli era stato arciprete.
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