CAMENI, Giovan Francesco
Nacque a Perugia da Lorenzo e da certa Candia o Candida, di cui si ignora il casato, verso la fine del sec. XV. Da alcune composizioni latine sappiamo dell'esistenza di due fratelli del C., Girolamo e Tommaso, che dovettero intraprendere la carriera delle armi, mentre il C. si avviò probabilmente assai presto alla professione delle lettere, frequentando nella città natale le lezioni di Francesco Palladio.
Negli anni intorno al 1514 ottenne una cattedra di oratoria nello Studio cittadino, dove insegnava nel 1520, quando, forse spinto dallo scarso stipendio percepito, si rivolgeva a Francesco Pitta, vicedelegato pontificio a Perugia, richiedendo una più conveniente sistemazione. Nel 1534 risulta esonerato dagli obblighi di insegnamento presso lo Studio perugino, dove appare sostituito da Matteo Spinelli. Forse la ragione dell'esonero fu una malattia del C.: in effetti in parecchie poesie egli ricorda una lunga e pericolosa infermità dalla quale guarì grazie a un intervento chirurgico. Nel 1539 fu comunque reintegrato all'insegnamento e lettore nello Studio perugino appare ancora dai pubblici registri nel 1540 e nel 1541. Contemporaneamente il C. si distingueva operando nell'ambito di quel partito cittadino favorevole a una politica di lealtà verso il pontefice. Paolo III nel 1537 lo aveva creato cavaliere aurato; quando, nel 1539, la città rientrò nella sfera d'influenza papale dopo le vicende della guerra del sale, lo stesso Paolo III ricompensò la fedeltà del C. nominandolo membro della nuova magistratura cittadina detta della libertà ecclesiastica.
Al riparo da ristrettezze economiche e confortato dagli affetti familiari (appare sposato già nel 1520 e dal matrimonio ebbe almeno una figlia, Teodora), stimato insegnante di oratoria e protetto da una situazione politica che garantiva un lungo periodo di pace dopo le agitazioni antipontificie del 1539, il C. visse tranquillamente i suoi giorni fino al 1557 o al 1558, quando lo dà sicuramente per scomparso un'orazione di Cristoforo Sassi (De laudibus Perusiae, Perugia 1558).
Il C. ha lasciato una raccolta di liriche latine intitolata Miradoniae libri duo continentes eglogas, epithalamium, elogias, epicoedia, epitolas, heroicum de raptu Phlenis, epigrammata, distica..., Venetiis 1520.
La raccolta è dedicata al perugino Alfano Alfani e costituisce, nel complesso, un'offerta lirica giovanile pubblicata quando l'autore fu assunto per la prima volta presso il ginnasio cittadino (una vignetta xilografica nel frontespizio riproduce infatti il C. mentre insegna circondato dagli allievi). Si tratta di poesie che toccano quasi tutti i generi della grande poesia umanistica: spunti bucolici e intenti celebrativi, meditazioni sulla morte, notizie autobiografiche, temi mitologici si alternano indiscriminatamente; ma è poi vero che a questa sequenza di motivi imposti dalla cultura dell'umanesimo latino corrisponde assai raramente un approfondimento lirico da parte dell'autore, che sembra attratto dalla funzione decorativa che possono ancora assolvere simili esercitazioni.
Quanto occasionale e dilettantesca appare la raccolta dei carmina, tanto più meditata è la seconda opera del C., della quale abbiamo, a stampa, la prima parte che contiene tuttora il progetto dell'intera iniziativa. Si tratta dei Dialogorum libri quatuor in quorum primo qui Theophanes inscribitur de Deo, Trinitate praecipue agitur, mox de praedestinatione, fato et quibusdam sacris;il secondo libro avrebbe dovuto trattare delle leggi, il terzo di filosofia e di medicina, il quarto di grammatica, retorica, agricoltura, cosmografia e arte militare. Di questi quattro libri, soltanto il primo appare stampato in un'edizione senza note tipografiche, ma sicuramente perugina e successiva al 1537, apparendovi l'autore dietro il titolo di cavaliere aurato. È una tipica enciclopedia del sapere umanistico; non è dato conoscere le cause che interruppero la pubblicazione e forse la stessa stesura dell'opera: probabilmente fu l'ampiezza del progetto a ostacolarne la realizzazione. Comunque è significativo che fu portata a termine proprio la parte più strettamente pertinente a questioni religiose: il che sottolinea quelli che dovettero essere i reali interessi dello scrittore e la sua funzione politica nell'ambito della restaurata autorità pontificia della città umbra. I tre rimanenti dialoghi battevano, del resto, un solco percorso da eruditi ben altrimenti dotati del C. perché questi potesse tentare di riproporre il genere con una probabilità di rinnovabile interesse.
Parimenti pubblicata senza note tipografiche, ma anche questa volta sicuramente perugina, è la stampa della Buccolica, raccolta di egloghe di cui la prima rievoca in termini elogiativi il primo ingresso di Paolo III a Perugia avvenuto nel 1535 e le altre si riferiscono a personaggi perugini o comunque legati alla vita cittadina per incarichi assolti in nome del pontefice (Alfano Alfani, il cardinale Marino Grimani, Bernardino della Barba, governatore di Perugia fino al 1540). Anche quest'opera, dunque, che vuole essere una nuova prova della cultura umanistica del C., si inserisce di fatto nel concreto circuito degli interessi politici che facevano perno sulla magistratura della libertà ecclesiastica.
Bibl.: F. S. Quadrio, Della storia e ragione di ogni poesia, II, 1741, p. 453; G. B. Vermiglioli, Biografie d. scritt. perugini e notizie delle opere loro, I, 2, Perugia 1829, pp. 257 55.