FRANCESCHI, Giovan Francesco de
Figlio di Giovan Pietro e Catetta (o Caterinetta) Sauli, appartenente a una famiglia della nobiltà "nuova" genovese ascritta all'"albergo" De Franchi, nacque intorno al 1550-55; doveva avere almeno i quarant'anni, prescritti dalla legge, quando, nel 1595, venne "imbussolato" nell'urna del seminario per l'estrazione alle supreme magistrature repubblicane dei serenissimi Collegi.
Marito di Giulia Tagliacarne, figlia di Francesco, influente uomo di legge, uno dei principali esponenti della parte "nuova" durante la guerra civile del 1575-76, giurista egli stesso e legato per via di parentela alle potenti casate "popolari" (o "nuove") dei Sauli e dei Durazzo, il F. fu ascritto nel 1576 al Consiglio dei quattrocento, al Minor Consiglio prima del 1581, prescelto tra i Trenta elettori negli anni 1581, 1586, 1588, 1597 e 1602.
Dal maggio 1604 il F. ricoprì per un anno la carica di commissario di Sarzana, una delle più importanti e delicate fra quelle di giusdicente del Dominio genovese di terraferma, resa in quegli anni particolarmente difficile dalle recrudescenze dell'annoso fenomeno del banditismo.
Di fatto, giunto a Sarzana l'11 maggio 1604, il F. si trovò subito impegnato in una complessa causa criminale relativa al bandito Leone Leoni, appartenente a una illustre famiglia locale, accusato fra l'altro di aver rapito lo zio Francesco in territorio ai confini tra la Repubblica di Genova e il Principato di Massa. La cattura del Leoni, il 14 maggio nella chiesa di S. Domenico, diede poi luogo (nonostante che il reo venisse in un secondo tempo riconsegnato alla Chiesa) a una disputa giurisdizionale tra il F. e il vescovo di Sarzana che coinvolse anche la romana congregazione dei Vescovi e dei regolari.
Costretto durante tutto l'arco della sua commissaria a far fronte a fatti di sangue (particolare clamore suscitarono in quel tempo le imprese del bandito Battista Maragliano, sospettato dell'assassinio del nobile genovese Ansaldo De Mari) ed episodi di violenza paesana che (come per i "rumori" di Ortonovo dell'11 nov. 1604) rischiavano di comportare complicazioni "con il confinante Stato di Massa", il F. espresse, in una lettera ai Collegi del 23 nov. 1604, in maniera analitica, le difficoltà del suo incarico, privo come era il commissario di un valido apparato poliziesco e militare e ostacolato più che non coadiuvato dalla presenza di una guarnigione di mercenari "thodeschi".
Nominato successivamente ambasciatore della Repubblica presso il re di Spagna, il F. si trovò a svolgere la sua missione diplomatica in una fase decisamente difficile dei rapporti fra Genova e il suo potente alleato. Con l'istruzione del 26 ag. 1605, difatti, il F., insieme con l'ambasciatore straordinario Gerolamo Sauli, ricevette dal Senato l'incarico di condurre a buon termine la difficile controversia relativa ai diritti feudali rivendicati dalla Spagna, in quanto detentrice del Ducato di Milano, su alcuni territori dell'Appennino ligure di Levante, controversia che minacciava di ledere gli interessi e la sovranità stessa della Repubblica genovese.
Con lettera del 26 sett. 1605 il Senato ragguagliava poi il F. su un insieme di altre controversie pendenti con la corte di Madrid che andavano dalle questioni di precedenza nei confronti degli altri ambasciatori italiani alla difesa delle prerogative giurisdizionali del console genovese a Cagliari (messe in forse da una sentenza della Real Udienza di Sardegna del 1602), all'annoso e delicatissimo problema del Finale.
Giunto in Spagna il 6 ottobre, il 26 novembre (ancor prima di aver presentato le credenziali al re, cosa che avverrà solo il successivo 16 novembre) il F. ricevette informazione da Genova di un ulteriore screzio nella relazioni tra la Repubblica e il re cattolico, provocato dal rifiuto del podestà di Savona di acconsentire allo sbarco di truppe spagnole in quel porto.
Sofferente di gotta e a lungo impegnato nel problema (non privo di implicazioni politico-cerimoniali di un certo rilievo) di trovar casa nella capitale spagnola, il F. riuscì già nei primi mesi della sua ambasceria a ottenere sufficienti rassicurazioni da parte spagnola circa le pretese giuridico-territoriali del governatore di Milano riguardo ai feudi appenninici, pretese che, tuttavia, continueranno a pesare minacciosamente sui rapporti ispano-genovesi alimentando dissapori e ansietà reciproche.
Mentre ancora si trascinavano diverse, minori ma non meno potenzialmente insidiose, vertenze politico-giurisdizionali tra Genova e Madrid, il F. si trovò costretto a far fronte alla complessa, gravissima situazione causata dal decreto di sospensione dei pagamenti ai creditori della Corona (i "trattanti") notificato il 6 nov. 1607 (la terza bancarotta spagnola).
In questo frangente il F., egli stesso interessato, sia pure per una somma relativamente modesta (450.000 maravedis al 1595), alla "negotiatione" con la corte di Spagna, si adoperò soprattutto, prevenendo le sollecitazioni della Repubblica, a mantenere l'unità dei "trattanti" genovesi nei confronti della controparte. Contrario, anche per timore che i plutocrati residenti in Spagna potessero sacrificare con tale tipo di accordo gli interessi dei minori investitori cittadini, alla conversione del credito degli assentisti in juros pluriennali, il F., benché fin dal 12 dic. 1607 riconoscesse l'impossibilità di ottenere una revoca del decreto, tentò più volte fino al febbraio del 1608 di strappare ulteriori concessioni e condizioni diverse da quelle che verranno poi sottoscritte nel "medio general" fra il re e i "trattanti" firmato il 14 maggio del 1608.
Una precisa attenzione del F. ai problemi economici della città di Genova è testimoniata, inoltre, dal suo perorare, in una lettera del 15 marzo 1608, in favore dei buoni rapporti fra la Repubblica e le città anseatiche (specie Danzica), divenute in quegli anni le principali fornitrici di grano per il mercato genovese. Parallelamente il F., in un dispaccio dell'11 maggio 1608, manifestò il suo favore anche per i progetti di riarmo navale della Repubblica.
Questioni di precedenza cerimoniale, controversie giurisdizionali, rinfocolarsi della questione dell'uso dei porti genovesi da parte delle armate spagnole continuarono ad alimentare la latente tensione tra Genova e la Spagna, impegnando le risorse diplomatiche del F. fino alla primavera del 1609. Ricevuto dopo molte insistenze, il 22 aprile, il permesso di ritornare in patria, il 5 luglio 1609 il F. poteva finalmente lasciare la Spagna al termine di quasi quattro anni di incarico.
Già da tempo ammalato, concluse il suo cursus honorum con la nomina a governatore di Savona per l'anno 1612-13. Non è nota la data della sua morte
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto. Lettere ministri Spagna, nn. 2423-2424; Literarum, n. 1979 (22); Instructiones et Relationes, n. 2707; Instruzioni a ministri - Spagna, anni 1529-1659, n. 2712, 10/3; Sala Senarega, nn. 589, 591; Manuali del Senato, anni 1581, 1586, 1588, 1597, 1602, 1603, 1604, 1611, 1612; Genova, Arch. stor. del Comune, Mss. Brignole Sale, 105. D.7; Mss. Pallavicini, 338; Ibid., Biblioteca civica Berio, m.r. VIII, 2.28: A.M. Buonarroti, Alberi genealogici di diverse famiglie nobili, I, p. 422; m.r. X. r. 168: A. Della Cella, Famiglie di Genova antiche e moderne…, p. 273; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, Spagna, I, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, ad Indicem.