SACCHETTI, Giovan Francesco
– Nacque a Roma il 15 ottobre 1595 da Giovanni Battista e Francesca Altoviti. Fu battezzato nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini il 18 ottobre ed ebbe come padrino il cardinale Ottavio Paravicini, discepolo di Cesare Baronio e legato al circolo oratoriano, che, non potendo presenziare, inviò al sacro fonte il suo auditore Giovan Battista Fenzonio.
Si aprì per lui precocemente la carriera militare e allo scoppio della guerra dei Trent’anni partecipò al conflitto in Boemia con le truppe imperiali. Nell’ottobre 1623 Carlo Barberini stilò una Instruttione per rivedere la soldatesca della Sede Apostolica ne i forti della Valtellina, nominandolo «commissario generale de i ruoli» con uno stipendio di 200 scudi mensili e sottolineando come il papa e i suoi nipoti riponessero incondizionata fiducia nella sua persona e nelle sue capacità. L’istruzione disegna il ruolo che Sacchetti avrebbe dovuto svolgere per tentare una riforma delle milizie pontificie: doveva partire da Roma in incognito e mantenere nascoste le finalità dei suoi spostamenti, occuparsi delle deficienze strutturali dell’esercito pontificio, dei problemi finanziari, del controllo di abusi e sprechi e «assicurarsi che ’l denaro s’impieghi in buona parte e che s’habbia buon conto di tutto quel che fin hora è stato pagato alla soldatesca che presidia i forti depositati » (cit. in Fosi, 1997, p. 227). Mantenne la carica dal 1626 al 1628; le sue funzioni non erano però solo militari, ma si estendevano anche al controllo dell’ortodossia, dovendo «intendere se nella valle, e contado di Bormio vi sono heretici occulti o palesi» (cit. in Brunelli, 2003, p. 191). Insieme con Torquato Conti, svolse un decisivo ruolo di mediazione con il marchese Niccolò Guidi di Bagno per controllare gli abusi dei militari e limitare il disagio delle popolazioni che si erano lamentate inviando memoriali al papa. A Milano, dove si recò durante la sua missione in Valtellina, seppe guadagnarsi la stima del governatore Gómez Suárez de Figueroa, duca di Feria, e questo suo rapporto contribuì a migliorare le relazioni fra il fratello Giulio, allora nunzio a Madrid, e il conte-duca di Olivares.
Nel 1626, a Monza, conobbe Giulio Raimondo Mazzarino, capitano di un reggimento di Francesco Colonna. Sacchetti lo aveva condotto con sé in Valtellina e poi a Ferrara, dove il cardinal legato gli aveva affidato alcune missioni. Le sue lettere a Carlo Barberini informavano dettagliatamente circa i progressi della sua azione, mostrando anche la delusione per i fallimenti delle operazioni in Valtellina, causate da Francia e Spagna e dall’incerta politica del papa. Il carteggio con altri esponenti della famiglia del papa, in particolare con Carlo Barberini, e con il fratello Marcello, dal 1623 depositario generale e tesoriere segreto del papa, rappresenta una fonte di straordinaria importanza non solo per documentare i problemi dell’esercito pontificio e i tentativi di riformarlo, ma anche le vicende belliche e i rapporti fra Roma e le potenze europee. Le lettere inviate ai familiari, insieme con le numerose raccomandazioni per chi aveva militato sotto il suo comando e cercava poi una collocazione o un beneficio dalla corte romana, non risparmiavano, sebbene in maniera composta, critiche alla politica di Urbano VIII.
Alla fine di marzo del 1627 fu congedato il corpo dei soldati pontifici in Valtellina e, dopo un breve soggiorno a Roma, Sacchetti ricevette dal papa, nell’aprile del 1628, l’incarico di nunzio straordinario, unico laico che avrebbe affiancato le missioni di Giovanni Battista Pallotta, inviato all’imperatore, di Cesare Monti in Spagna e di Alessandro Scappi in Svizzera. Sacchetti, al quale era affidata una difficile missione di pace fra i principi dell’Italia settentrionale fra i quali si era già guadagnato fama di accorto mediatore, volle con sé, come segretario, Giulio Mazzarino. Si trattava di circoscrivere le operazioni militari e proteggere soprattutto i confini dello Stato pontificio, difendendo la linea politica di Urbano VIII, la sua neutralità di «padre comune», ritenuta ambigua da parte di Francia, Spagna e dai principi italiani e, soprattutto, finalizzata a soddisfare gli interessi familiari, mentre si avvicinava il ritorno del Ducato di Urbino sotto il dominio diretto della S. Sede.
Le lettere ai familiari mostrano le continue difficoltà di questa straordinaria – e inusuale, per un laico – missione diplomatica. Il 6 febbraio 1629 scriveva ai fratelli Giulio e Marcello «siamo vicinissimi a vedere gran turbolenze in Italia, e non scopro ancora che pensiero si facci il Papa, e come voglia regolarsi per assecurar se non altro le cose sue, mentre egli si trova diffidentissimo de Spagnoli, e de Imperiali, et a mio credere è per dar poco gusto a Francesi e loro collegati» (cit. in Fosi, 1997, p. 229). Preoccupato per la mancata designazione del suo successore a capo dell’esercito pontificio, invitava i fratelli a invigilare sulle scelte politiche del papa, dopo avere criticato la sua incertezza e la incapace azione militare di Carlo Barberini. Prima di lasciare Casale cercò di agevolare la carriera militare del fratello Alessandro, che già aveva militato in Fiandra e al servizio dell’imperatore, dove per altro «per lui non c’è da far fondamento» (p. 230), come scriveva da Roma il fratello Matteo.
Parallelamente al suo impegno nella guerra del Monferrato, a Milano e all’assedio di Casale, dove lasciò Mazzarino «custode delle scritture», Sacchetti svolse un’intensa attività militare nelle legazioni pontificie. Nel 1628 fu nominato luogotenente generale nelle Marche, poi in Romagna e nel Ferrarese e nel 1630 fu scelto come maestro di campo a Bologna. Allo scoppio della guerra per la successione di Mantova, Urbano VIII, nel timore di un allargamento del conflitto, aveva affidato a Sacchetti l’incarico di potenziare la difesa dei confini della legazione di Ferrara con l’invio di nuove truppe e con il consolidamento delle fortificazioni. Sacchetti, in questa come in altre occasioni, agì in stretta collaborazione con i fratelli Giulio e Alessandro, anch’egli militare impegnato sia in Romagna sia a Ferrara. Rapporti di collaborazione e di amicizia furono solidamente intessuti con il vicelegato di Ferrara Fabio Chigi, con il quale rimase in contatto quando il prelato senese fu inviato come inquisitore a Malta.
Tornato a Roma, si dovette occupare della crisi del banco di famiglia, dopo la morte del fratello Marcello. La lontananza dalla carriera militare influenzò «la natura melanconica e ruminante» che sfogava nella caccia, praticata «con tanta vehemenza» e «strapazzatamente» nelle proprietà familiari. Nel 1629 con Giovanni Battista Spada, Cassiano Dal Pozzo, Orazio Magalotti, fece parte della congregazione di Sanità per arginare la diffusione della peste giunta dal Milanese fino ai confini pontifici.
Nel 1628 iniziarono le trattative per il matrimonio di Sacchetti con Beatrice Tassoni. Non mancarono le difficoltà, soprattutto per la reticenza del cardinale Giulio a «far parentado» fuori dei domini papali e a fregiarsi di un titolo nobiliare con l’acquisto di un feudo, come esigevano il duca Alfonso d’Este e il successore Cesare, per timore di dispiacere ai Barberini. Le trattative furono assai lunghe e contemporaneamente i fratelli cercavano una soluzione matrimoniale sia a Firenze sia a Roma, ma i tentativi fallirono e ripresero i contatti a Modena con il nuovo duca Francesco. La mediazione di Antonio e Francesco Barberini riuscì a far concludere positivamente le trattative condotte dal cardinale Giulio, da Jacopo Panziroli e dal cappuccino padre Giovanni Albinelli da Sestola. Il contratto matrimoniale fu redatto il 19 febbraio 1631 e le nozze furono solennemente celebrate dal cardinale Giulio a Ferrara nella chiesa di S. Domenico. Gli sposi abitarono a Roma nel palazzo di Campo de’ Fiori, dove risiedevano anche gli altri fratelli. Debole e malaticcia Beatrice morì il 15 maggio 1633. In seconde nozze, nel 1633, Sacchetti sposò Cassandra Ricci, figlia del senatore fiorentino Pierfrancesco e di Nannina Rucellai, riprendendo la tradizione di matrimoni fiorentini che caratterizzò sempre la strategia familiare.
Nel 1631 prese in affitto la tesoreria di Urbino per 13.000 scudi e nel 1632 Urbano VIII concesse a lui e al fratello Matteo di operare come esattori dell’Annona e come tesorieri segreti al posto di Marcello Sacchetti. Nel 1632 acquistò dalla famiglia Mareri per 25.000 scudi il feudo di Castel Rigatti con il titolo di marchesato e redasse i nuovi statuti.
Morì a Roma il 7 giugno 1637 e fu sepolto nella cappella di famiglia in S. Giovanni dei Fiorentini.
Fonti e Bibl.: Ampia documentazione è conservata nell’Archivio Sacchetti, ora in Archivio storico Capitolino, di cui si indicano qui solo alcuni registri: b. 6, pos. 42, c. 89; III, 1, Carteggio di entrate e uscite (1621-1648); Registro di lettere 7 ter: lettere del card. Giulio Sacchetti riguardanti il matrimonio di Giovan Francesco; b. 62 pos. 1; Lettere, vol. 3; Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Depositeria generale, voll. 1887-1905; Signaturarum Sanctissimi, vol. XX, c. 302r; Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 5626-5629: Congregazione di Sanità; 7867-7874: lettere di Sacchetti commissario generale dell’esercito pontificio a Carlo Barberini dal 1623 al 1627; 7875-7879: lettere di Sacchetti a Francesco Barberini dal 1623 al 1629; 6003: legazione ai principi d’Italia; Chig. A.III.55, cc. 284r-302r; G. Lutz, Kardinal Giovanni Francesco Guidi di Bagno. Politik und Religion im Zeitalter Richelieus und Urban VIII., Tübingen 1971, pp. XXV, 100-102, 329, 440; I. Fosi, All’ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma barocca, Roma 1997, ad ind., ora consultabile su www.academia.edu/31138811/ALLOMBRA_DEI_BARBERINI.pdf; La Valtellina, crocevia dell’Europa: politica e religione nell’età della Guerra dei Trent’anni, a cura di A. Borromeo, Milano 1998; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa (1560-1644), Roma 2003, ad ind.; La legazione di Ferrara del cardinale Giulio Sacchetti (1627-1631), a cura di I. Fosi con la collaborazione di A. Gardi, I-II, Città del Vaticano 2006, ad indicem.