SAGREDO, Giovan Francesco
– Nacque a Venezia il 19 giugno 1571, quarto di sei fratelli, da Nicolò Sagredo, figlio di Bernardo del ramo di S. Sofia della famiglia, e da Cecilia, figlia di Paolo Tiepolo.
La famiglia Sagredo, che si attribuiva un’antichità risalente al V secolo, aspirava al dogato, ma dovette attendere fino al 1675 per fregiarsi di tale onore. Il nonno di Sagredo, Bernardo, fu procuratore di S. Marco, mentre suo padre, che morì nel 1615, fu nominato provveditore di Palmanova nel 1600, provveditore di Cipro nel 1605, procuratore di S. Marco nel 1611 e riformatore dello Studio di Padova nel 1613. La famiglia visse principalmente a palazzo Sagredo, nei pressi dell’Arsenale veneziano e della chiesa di famiglia di S. Francesco della Vigna, ma possedeva anche ampi possessi fondiari nella Terraferma e altrove, tra cui un palazzo in Marocco e foreste di faggi con miniere di ferro nei dintorni di Cadore.
Non sappiamo nulla dell’educazione di Sagredo. Suo fratello maggiore, Bernardo, avrebbe dovuto farsi carico delle aspirazioni politiche della famiglia, ma morì nel 1603 a 37 anni. Il secondo figlio, Paolo, scomparve nel 1611, mentre di Stefano, il terzo figlio, non rimangono che poche tracce. Solamente il più giovane dei sei, Zaccaria (1572-1647), ottenne prestigio politico, sebbene sia ricordato più per essere fuggito dalla battaglia di Valeggio nel 1630. Il figlio di Zaccaria, Niccolò (1606-1676), fu l’unico doge della famiglia e vi fu nominato l’anno precedente alla sua morte. Giovan Francesco non si sposò e non ebbe figli.
Quasi tutto ciò che conosciamo di Sagredo si basa su quello che rimane delle lettere che egli scrisse a Galileo Galilei. Ne sopravvivono un centinaio, mentre quelle scritte da Galilei, così come ogni traccia dell’archivio e della libreria privati di Sagredo, sono andati perduti. Alla fine del Cinquecento Sagredo studiò privatamente con Galilei, il quale era giunto all’Università di Padova nel 1592. Ne offrì prova nella Difesa di Galilei (Venezia 1607), dove dimostrò di avere ricevuto dallo scienziato delle lezioni e due compassi geometrici e militari circa dieci anni prima, intorno al 1597. Presumibilmente, come altri studenti privati di Galilei, anche Sagredo ricevette un’istruzione non solo in ingegneria militare, ma anche in astronomia e forse astrologia. Galilei, infatti, scrisse l’oroscopo di Sagredo nel 1602, nel quale lo descrisse come «blandum, laetum, hilarem, beneficum, pacificum, sociabilem, pronum ad voluptates, Dei amatorem, laborum impatientem» (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss. Gal. 81, c. 15r).
La più antica traccia archivistica di Sagredo di cui disponiamo risale a pochi anni dopo che egli raggiunse la maturità politica nel 1596: nel 1599 si scusò con Galilei per non aver saputo influenzare positivamente la richiesta di un aumento di salario del matematico facendo leva sulle sue connessioni familiari con Zaccaria Contarini, uno dei rettori universitari. Già nel 1600 il nome di Sagredo era noto a Tycho Brahe, il quale in una lettera a Gian Vincenzo Pinelli fece riferimento a Sagredo ritenendolo un buon contatto per avere accesso alle due copie del catalogo stellare di Tycho che erano state offerte al doge e al Senato. Un’altra lettera, non pervenuta, ma a cui fa riferimento il destinatario William Gilbert, mostrerebbe l’interesse di Sagredo per il recente lavoro di Gilbert intitolato De Magnete (London 1600). In questa lettera, Sagredo viene descritto come un «great Magneticall man» (W. Barlow, Magnetical advertisements concerning the nature and property of the loadstone, London 1616, pp. 87 s.) e difatti Sagredo condivideva l’interesse per i magneti con Galilei e Paolo Sarpi.
Una delle speranze che risultavano dal lavoro di Gilbert era che una mappatura onnicomprensiva della declinazione magnetica globale potesse essere utilizzata per risolvere il problema del calcolo della longitudine. Galilei ideò uno strumento per misurare l’inclinazione magnetica, che Sagredo portò con sé nei suoi viaggi in Siria, sebbene con risultati insoddisfacenti. Sagredo partecipò alla discussione sul magnetismo anche con un importante contributo materiale: aveva infatti in gestione le miniere di famiglia nei pressi di Borca di Cadore, dalle quali si estraeva un minerale di ferro magnetico. Galilei apprese come armare questi magneti e il più potente – conosciuto come Rodomonte – fu offerto in vendita al gran duca Ferdinando de’ Medici e all’imperatore Rodolfo II.
Nell’agosto del 1606 Sagredo fu nominato tesoriere di Palmanova, una fortezza costruita dieci anni prima, che rischiava di finire travolta nelle ultime fasi della lunga guerra tra Impero e Ottomani. Invece, nell’aprile del 1606 la fortezza era stata raggiunta da un’altra crisi, la questione dell’Interdetto, e Sagredo si trovò proprio in uno dei centri di informazione della disputa. Durante tale crisi ebbe un ruolo attivo intercettando lettere e avvisi, attuando pratiche di manipolazione testuale che sarebbero poi diventate per lui sempre più importanti.
L’Interdetto fu revocato nell’aprile del 1607, Sagredo fece ritorno a Venezia in maggio e in novembre fu eletto console in Siria. Da marzo a luglio del 1608 si concentrò su quello che fu il suo maggior contributo alla politica veneziana dopo l’Interdetto, lanciando un pungente, polemico e appassionante attacco epistolare contro i gesuiti, il cui Ordine era stato espulso dal doge Leonardo Donà all’inizio della crisi dell’Interdetto.
Il suo obiettivo iniziale era l’erudito polemista Antonio Possevino S.J., il quale era ricorso a diversi pseudonimi nel corso della crisi dell’Interdetto per lanciare attacchi a colpi di pamphlet contro Venezia. Sagredo, scrivendo sotto la falsa identità di una inesistente Cecilia Contarini, paranoica e anziana vedova benestante, inviò una raffica di lettere al rettore del collegio gesuitico di Ferrara (Possevino era stato trasferito altrove e fu rimpiazzato da Antonio Barisone, il quale inconsapevolmente rispose a Sagredo). Con il pretesto di volere proteggere Cecilia Contarini, Sagredo propose al suo interlocutore che lui/lei scrivesse sotto il falso nome di Angelica Colombo, mentre Barisone avrebbe dovuto firmarsi Rocco Berlinzone. Le apparentemente ingenue lettere di Sagredo chiedevano consiglio su come aggirare al meglio le leggi veneziane che proibivano a Cecilia Contarini di lasciare in eredità i suoi ingenti capitali ai gesuiti. L’epistolario circolò tra gli antigesuiti sia a Venezia sia all’estero: Paolo Sarpi, infatti, lo menzionò nel maggio del 1608 ad Antonio Foscarini, l’ambasciatore veneziano in Francia. In luglio l’inganno fu crudelmente rivelato a Barisone, che ricevette un doppio colpo: l’annuncio della morte di Contarini e la promessa di pagamento di 5000 ducati dietro ricevuta di documentazione autentica che ne attestasse l’arrivo in paradiso. Lo scambio di lettere fu celebrato pubblicamente: alla vigilia della partenza di Sagredo per la Siria, nel principio di agosto, fu organizzata una festa in suo onore a palazzo Barozzi. Ottavio Menini recitò il propemptikon, che conteneva espliciti riferimenti all’imbroglio. Qualche giorno dopo Sarpi inviò una copia del componimento a Jérôme Groslot de l’Isle a Parigi, riferendosi a Sagredo come l’autore della «solenne burla» (P. Sarpi, Lettere ai protestanti, a cura di M.D. Busnelli, I, Bari 1931, pp. 25, 27). Una copia del poema di Menini nelle mani del segretario di Sagredo si conserva tra i documenti di Galilei; Menini lo pubblicò (senza fare il nome di Sagredo e intitolandolo Ad Hilaritatem) nei suoi Carmina (Venezia 1613).
Una volta giunto ad Aleppo, Sagredo proseguì nelle sue segrete polemiche antigesuitiche. Il 30 aprile 1609 inviò lettere sia a Sarpi sia a Galilei: con quest’ultimo si lamentava delle troppe distrazioni che gli impedivano di proseguire lo studio della filosofia naturale (sono pervenuti due fascicoli di documenti che descrivono i conflitti locali sui quali tentava di esercitare il proprio controllo), mentre la lettera indirizzata a Sarpi descrive in dettaglio i risultati geopolitici della sua concertata campagna epistolare. Secondo Sagredo il mondo stava gradualmente finendo preda dei gesuiti, soprattutto in India orientale e in Giappone. Tuttavia questa sua convinzione non gli impedì di inviare strumenti scientifici ai gesuiti di Goa nel tentativo di raccogliere dati sulla declinazione magnetica. Sembra però che tale progetto fallì, dato che i missionari risposero inviando solo sementi, invece che dati scientifici. È possibile che altre lettere scritte da gesuiti siano state distrutte o siano andate disperse in seguito: una collezione non più esistente fu infatti archiviata a Venezia come Lettere diverse scripte da Giesuiti e fratti di S. Francesco dalle Indie Orientali (precedentemente nel volume ora noto come Archivio di Stato di Venezia, Consultori in Iure, 453).
Un’allettante e ambigua affermazione fatta nel 1612 lascia intendere che Sagredo possa aver utilizzato un rudimentale telescopio astronomico in Siria in contemporanea con le rivoluzionarie osservazioni di Galilei del gennaio del 1610. Tuttavia le prove sono difficili da analizzare e forse la cosa fu intenzionale, dato che in altre occasioni, come quanto sostenuto da Sagredo riguardo l’invenzione del telescopio da parte di Galilei, le testimonianze retroattive di Sagredo si caratterizzano per la loro qualità fittizia. Non sappiamo di sicuro se Sagredo abbia utilizzato o meno un telescopio ad Aleppo, ma quel che è certo è che fu coinvolto in attività di spionaggio, tra cui il trafugamento e la copia di lettere di almeno due viaggiatori.
Uno fu Xwāje Ṣafar, un mercante armeno in viaggio verso Venezia per conto di Abbās I re di Persia, il quale portava con sé la corrispondenza dei carmelitani di Isfahan, che includeva anche informazioni militari sensibili inviate dal viceré dell’India a Filippo III di Spagna. Un altro fascicolo di documenti sottratti conteneva i negoziati tra Abbās e Filippo per la stesura di un trattato antiottomano, che avrebbe avuto esplicite ripercussioni sull’accesso veneziano alla seta persiana.
Il furto e la copia di quei documenti valsero a Sagredo un duro rimprovero da parte del Consiglio dei dieci e probabilmente causarono la fine della sua già non eccezionale carriera politica.
Sagredo fece ritorno a Venezia via Marsiglia, Genova e Milano, dove scrisse due Relazioni sulla Siria consegnate il 4 luglio 1611 e il 15 maggio 1612, nelle quali la sua principale preoccupazione era come invertire il tendenziale declino del commercio veneziano. Nel 1613 iniziò un servizio biennale come uno dei cinque savi alla Mercanzia. Tra i suoi scritti viene menzionato anche un resoconto sul carattere e la politica di Abbās e sulla Persia del suo tempo ma, ammesso che fu scritto, non è pervenuto.
La Venezia in cui Sagredo fece ritorno era ben diversa da quella che aveva lasciato: il suo amico più caro, Galilei, si era spostato altrove dopo diciotto anni nell’Università di Padova e i due non si sarebbero più incontrati. Durante l’assenza di Sagredo, Galilei fece le sorprendenti osservazioni descritte nel Sidereus Nuncius (Venezia 1610) e un turbinio di ulteriori scoperte astronomiche sarebbe arrivato di lì a poco da Firenze. Tra queste la più importante per Sagredo fu l’osservazione delle macchie solari, che generò un’accesa disputa tra Galilei e il gesuita tedesco Christoph Scheiner. Sagredo fu inevitabilmente coinvolto nello scontro e si presentò armato degli strumenti che aveva messo a punto durante l’Interdetto. Sebbene fosse molto interessato ai vantaggi legati alla comprensione e alla produzione di migliori lenti per telescopi, il suo maggiore contributo al dibattito sulle macchie solari non fu al livello osservativo, ma su quello che oggi definiremmo di gestione dell’informazione. Ponendosi come un canale nel flusso di informazioni tra Germania e Firenze, regolò, deviò e ritardò gli scambi a vantaggio di Galilei. L’antigesuitismo politico di Venezia fu così una risorsa nella produzione di conoscenza nell’ambito della filosofia naturale.
Le lettere di Sagredo a Galilei del periodo 1612-20 vertono su diversi argomenti: ottica (e produzione di lenti), termoscopia, cartografia, fusi orari, teoria delle maree, idrostatica e magnetismo, ma anche cani, pittura, letteratura, vino e le sue donne. All’interno della sconfinata corrispondenza di Galilei, questo si classifica come uno degli scambi più intimi, schietti e acuti. Gli altri amici di Sagredo a Venezia includevano Sarpi, Sebastiano Venier, Agostino da Mula e Gian Camillo Gloriosi. Nel giugno del 1619 inviò a Galilei un suo ritratto eseguito da Gerolamo e Leandro Bassano (ora nell’Ashmolean Museum, Oxford, WA1935.97). Il ritratto lo rappresenta con la sua commissione dogale di fronte poggiata su un kilìm ricevuto in dono da Abbās I in cambio dell’offerta di strumenti scientifici. Altri due ritratti, entrambi precedenti, sono stati identificati: uno si trova nel Zhytomyr Regional Museum in Ucraina e l’altro in una collezione privata in Germania (precedentemente si trovava nel palazzo Doria Pamphili a Roma, ma è stato venduto in un’asta da Dobiaschofsky, in Svizzera, a Berna, nel maggio del 2016). Il ritratto nell’Ashmolean era appeso nelle stanze di Galilei mentre questi scriveva sia il Dialogo del 1632 sia i Discorsi del 1638. Questi lavori acquisiscono molta della loro energia intellettuale dalla vivida curiosità con cui Galilei descrisse Sagredo, il quale nel Dialogo rammenta il tempo trascorso in Siria. Il ‘monumento’ di Galilei al suo amico ebbe successo: Sagredo è tutt’oggi noto più come l’interlocutore semifittizio di Galilei che come un’effettiva figura storica. L’opera di Galilei è ambientata in un palazzo di Sagredo, sebbene Sagredo lasciò il palazzo di famiglia nel 1611 per seguire suo padre nella Procuratia. Dal 1615 al 1618 visse a palazzo Donà a S. Stin e, dal 1618 al 1620, a Ca’ Foscari.
Morì il 5 marzo 1620 e la sua ultima confessione fu raccolta da Sarpi.
Fu seppellito vicino a suo padre nella cripta di famiglia a S. Francesco della Vigna. I suoi averi passarono al fratello Zaccaria, il quale si disfece dei suoi strumenti scientifici o li distrusse affinché non fossero di disturbo alla sua progenie, ma suo figlio Nicolò divenne comunque copernicano.
Fonti e Bibl.: Lettere inedite si trovano in Archivio di Stato di Venezia, Senato 111; Secreta, Palma 7 (a Leonardo Donà, 22 aprile 1606); Venezia, Correr, Cod. Cic. 3014, n. 37, cc. 1-2 (a Giovanni Tiepolo, 27 agosto 1606); Venezia, Fondamenta nuove, Archivio Donà delle Rose, XXII, b (a Leonardo Donà, dicembre 1606); Milano, Biblioteca Ambrosiana, G-253 inf., c. 136 (al cardinale Federico Borromeo, 10 dicembre 1612). L’unica copia esistente dell’imbroglio epistolare di Sagredo è tuttora inedita e si trova a Venezia, Biblioteca Marciana, Cod. It., X, 220 (6409); fu inizialmente discussa in G. Cozzi, Paolo Sarpi tra Venezia e l’Europa, Torino 1979. I documenti esistenti di Sagredo scritti da Aleppo sono in Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, 180, Soria, f. 1, 516; Quarantia Criminal, Processi, b. 127, n. 183. Il rimprovero del Concilio dei dieci è in Archivio di Stato di Venezia, Consiglio dei Dieci, Parte secrete, reg. 15, f. 94. L’oroscopo di Sagredo calcolato da Galilei è a Firenze, Biblioteca nazionale, Mss. Gal. 81, cc. 11-15. La lettera di Tycho Brahe a Pinelli dove si fa menzione di Sagredo è in Tychonis Brahe dani opera omnia, a cura di J. Dreyer - H. Raeder, III, Amsterdam 1972, p. 228. Un riferimento occasionale a Sagredo in una fonte coeva si trova nell’Ode di Guido Casoni (Venezia 1601). Fondamentali gli studi biografici e le collezioni documentarie raccolte da Antonio Favaro: Documenti inediti per la storia dei manoscritti galileiani nella Biblioteca nazionale di Firenze, in Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche, 1885, n. 18, pp. 1-112, 154-230; G. S. e la vita scientifica in Venezia al principio del XVII secolo, in Nuovo archivio veneto, n.s., 1902, n. 4, II, pp. 313-442; Studi e ricerche per una iconografia galileiana, in Atti del reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 8, 1912-1913, n. 15, II, pp. 995-1051; Nuove ricerche per una iconografia galileiana, ibid., 1913-1914, t. 16, II, pp. 105-134; Nuove contribuzioni ad una iconografia galileiana, ibid., 1914-1915, t. 17, II, pp. 305-313; Nuovi materiali per una iconografia galileiana, ibid., 1915-1916, t. 18, II, pp. 55-64; G. S.,in Amici e corrispondenti di Galileo, a cura di P. Galluzzi, I, Firenze 1983, pp. 191-332; Ancora a proposito di G. S., in Scampoli galileiani, a cura di L. Rossetti - M.-L. Soppelsa, II, Trieste 1992, pp. 505-510; altrettanto importante la sua edizione delle lettere di Sagredo in Le Opere di Galileo Galilei, I-XX, Firenze 1890-1909, ad ind., alla quale è da aggiungerne una nell’Appendice, a cura di M. Camerota - P. Ruffo - M. Bucciantini, II, Firenze 2015, pp. 32-34. Le due Relazioni – entrambe edite in A. Favaro, G. S., in Amici e corrispondenti di Galileo, a cura di P. Galluzzi, I, Firenze 1983, pp. 191-332 –, furono pubblicate inizialmente in G. Berchet, Relazioni dei consoli veneti nella Siria, Torino 1866, pp. 130-156 (un’altra copia manoscritta contemporanea si trova a Syracuse (NY), Syracuse University Libraries, Leopold Von Ranke Manuscript Collection, 402, G). L’interesse di Sagredo per le attività minerarie è documentato in P. Alberi Auber, Una miniera, un forno per il ferro e due uomini di scienza fra le montagne: Nicola Cusano e G. S., in Archivio per l’Alto Adige, C (2006), pp. 1-100. Per l’identificazione dei ritratti di Sagredo si veda N. Wilding, Galileo’s idol: G. S. and the politics of knowledge, Chicago 2014. Per la presenza di Sarpi alla morte di Sagredo si veda B. Cecchetti, La republica di Venezia e la corte di Roma nei rapporti della religione, II, Venezia 1874, p. 448.