SERRA, Giovan Francesco
– Nacque a Genova il 20 maggio 1609 da Girolamo e da Veronica Spinola.
La famiglia, che sembra aver preso nome dalla Serra di Polcevera, ove possedeva un castello, apparteneva all’antica nobiltà della Repubblica; alla riforma costituzionale del 1528 fu ascritta all’albergo dei Lercari e legò saldamente le proprie sorti a quelle della Corona spagnola.
Nel 1616, alla scomparsa del genitore, politico avveduto e facoltoso banchiere, Giovan Francesco, per successione paterna marchese di Strevi, in Monferrato, passò insieme al fratello Giovan Battista sotto tutela del cugino Battista che era stato nipote prediletto del defunto e, in minore età, suo pupillo. Seguì a Madrid il tutore, impegnato in funzioni diplomatiche per il governo genovese, e vi trascorse l’adolescenza, mettendosi in luce nella corte di Filippo IV. Secondo una prassi diffusa, Battista Serra effettuò investimenti sul mercato feudale della monarchia anche per conto dei cugini. Acquistò, tra l’altro, nel 1617 rendite sulla città di Almendralejo, in Estremadura, preludenti l’assegnazione del titolo marchionale a Giovan Francesco nel 1641; in Calabria Citra nel 1622 il feudo di Cassano con il casale di Francavilla – su cui Giovan Francesco avrebbe ottenuto il titolo signorile nel 1628 e il figlio Giuseppe quello ducale nel 1678 – e successivamente la baronia di Civita.
Serra intraprese una brillante carriera militare durante la guerra dei Trent’anni, quando ai vertici degli eserciti spagnoli si dischiusero possibilità di ascesa per valenti uomini d’arme di diversa origine. Desideroso di provare le sue abilità, nel 1625 fu a capo di una compagnia di fanti reclutati a proprie spese e militò con gli spagnoli comandati da Carlo Doria duca di Tursi e da Alvaro de Bazán marchese di Santacroce in difesa di Genova, attaccata dai franco-sabaudi, mentre nel 1627 si impegnò in operazioni di leva militare nel Regno di Napoli per irrobustire l’esercito del Cattolico stanziato in Alsazia. Nella capitale partenopea sposò nel 1633 un’esponente dell’élite genovese trapiantata nel Mezzogiorno, Maria Giovanna Doria, figlia di Carlo duca di Tursi e di Placidia Spinola, con cui generò Giuseppe, Francesco, Giovan Battista, Giulio, Artemisia, detta Teresa, Placidia e Mariana.
«Fatto prima capitano che soldato» (Elogj..., 1785, p. 9), nel 1635 ottenne la carica di maestro di campo di un terzo di fanteria napoletana. Partecipò alla guerra civile scoppiata alla morte del duca Vittorio Amedeo di Savoia tra la vedova-reggente Cristina, sostenuta dalla Francia, e i cognati Tommaso e Maurizio, supportati dalla Spagna, distinguendosi nell’assedio di Vercelli e in scontri avvenuti tra Piemonte e Lombardia. Nel 1642 andò in Spagna per informare il re della situazione vigente in Italia settentrionale e, sebbene non portasse notizie rassicuranti, fu nominato generale d’artiglieria nello Stato di Milano e gentiluomo di camera di Filippo IV.
Dopo aver accompagnato il sovrano a controllare l’andamento della rivolta catalana, a metà degli anni Quaranta rientrò in Italia, ove s’era intanto concluso il conflitto divampato in Piemonte con grandi vantaggi per la Francia. Riprese le operazioni militari che si sarebbero protratte ben oltre i trattati di Vestfalia, perdurando lo scontro franco-spagnolo sul territorio della penisola, e incentivò la leva militare, senza esitare ad attingere al suo denaro. Contribuì tra l’altro alla conquista spagnola di Tortona, fondamentale nei collegamenti tra Genova e Milano, partecipò alle operazioni antifrancesi del 1646 in Monferrato e concorse tra il 1647 e il 1649 alla difesa di Cremona. Quando le operazioni militari si spostarono dalla Lombardia al Piemonte, assunse il grado di maestro di campo generale dell’esercito di Lombardia e nel 1652 realizzò un’impresa in precedenza tentata invano, sottraendo ai francesi la fortezza di Casale Monferrato, poi restituita da Filippo IV al duca di Mantova.
Fu l’ultima operazione condotta in Italia da Giovan Francesco, richiamato poi dal re, investito della carica di capitano generale e obbligato a coadiuvare don Giovanni d’Austria nella repressione della rivolta catalana. Si distinse in numerose azioni belliche e brillò nella liberazione di Gerona dall’assedio francese; solo quando ritenne esaurito il suo compito, chiese di rientrare a Milano, per esercitarvi la carica di governatore generale delle armi. Proprietario nella capitale lombarda di una lussuosa residenza, dotata di una splendida quadreria, il marchese si riproponeva di riprendere la vita pubblica nella città, ove aveva rivestito importanti cariche militari ed era stato membro del Consiglio segreto, e di incentivare ulteriormente le relazioni allacciate con l’élite urbana, ancor dopo la sua morte attestate dai matrimoni contratti dai figli nelle casate Trivulzio e Visconti. Filippo IV accolse la richiesta di Serra e, oltre la croce dell’Ordine di Santiago già posseduta, gli conferì il grandato, prima che partisse insieme a don Giovanni d’Austria, diretto nelle Fiandre come governatore.
Le galere spagnole su cui i due viaggiavano furono attaccate dai turchi presso Maiorca e un colpo di moschetto fu fatale al marchese che perì il 9 marzo 1656.
La morte di Serra ebbe grande risonanza nella corte madrilena e il re, memore dei servigi ricevuti, onorò la memoria del defunto concedendo al primogenito Giuseppe il titolo di gentiluomo e il comando di due compagnie di corazze perché intraprendesse la carriera militare; al cadetto Francesco una ricca commenda; alla figlia Artemisia alimenti per 2000 scudi; alla vedova una pensione e l’esenzione dal relevio. Giovan Francesco aveva fatto testamento il 18 dicembre 1652 e aveva disposto la restituzione di dote e antefato alla moglie, un legato di 10.000 ducati e un vitalizio annuo di 4000 per il secondogenito e per ciascuna delle figlie una dote matrimoniale di 10.000 ducati o una dote monastica conforme alla richiesta del luogo di professione. Aveva nominato erede universale il primogenito, che avrebbe spostato il fulcro degli interessi familiari a Napoli, ove avrebbe stabilmente dimorato ottenendo l’ascrizione al seggio di Portanuova.
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