MONTI, Giovan Giacomo
MONTI, Giovan Giacomo (Giangiacomo). – Nacque a Bologna nel 1620 secondo l’opinione pressoché unanime della critica, sebbene alcuni biografi (Orlandi, 1763; Campori, 1855) posticipino di un anno la data.
Allo stato attuale degli studi, la ricostruzione del profilo biografico di Monti, pittore, scenografo e architetto, risulta quanto mai problematica per la sostanziale assenza di informazioni riguardanti il nucleo familiare di origine e il periodo di formazione, se si eccettua l’unico ancoraggio certo del discepolato giovanile presso il pittore quadraturista Agostino Mitelli.
Le origini della vicenda artistica di Monti sono da collegare alla collaborazione con Mitelli, che seguì a Firenze e a Modena (per unanime opinione storiografica da Crespi, 1769, in poi) ma soprattutto al lungo e proficuo sodalizio, iniziato nel 1651, col pittore Baldassare Bianchi, anch’egli allievo di Mitelli e suo genero. I due lavorarono al servizio degli Estensi fino al 1663; nell’ambito di tale attività, svolta presso i principali centri del Ducato, la distribuzione delle competenze – quadraturista Monti, figurista Bianchi, stando alle fonti più antiche – andrebbe riconsiderata assegnando anche a Bianchi un ruolo prevalentemente prospettico (Povoledo, 1960). Su committenza di Francesco I d’Este duca di Modena e Reggio, i due artisti lavorarono nel 1651, in collaborazione col pittore Giovanni Boulanger e su disegni di Mitelli, alla decorazione della galleria di Bacco nel palazzo ducale di Sassuolo e in tre cappelle della chiesa di S. Francesco a Modena (Matteucci - Benassati, 1980; Pirondini, 1982); l’intervento in tale chiesa – prospettive, ornati e angeli – si protrasse fino al 1652. Agli stessi anni vanno ascritte anche le quadrature eseguite nel palazzo Cassoli a Reggio Emilia, nel palazzo Correggio alle Quattro Castella e in altri centri del contado (la distrutta villa Pentatorre e il castello Malvasia di Panzano), oltre che nel palazzo ducale di Modena. In questi anni Monti ebbe modo di far valere le sue qualità anche negli allestimenti scenografici e nell’ideazione degli apparati effimeri per le celebrazioni famigliari degli Este. È del 1652 la realizzazione dell’apparato per il torneo celebrativo dell’arrivo a Modena degli arciduchi d’Austria e conti del Tirolo (Ferdinando Carlo, Sigismondo Francesco e Anna de’ Medici), nella piazza antistante il palazzo ducale: anche in questo caso una più sorvegliata interpretazione delle informazioni riportate da Crespi permette di ridimensionare il ruolo avuto da Monti e Bianchi, autori delle sole scenografie, riconsegnando ai più affermati architetti Bartolomeo Avanzini e Gaspare Vigarani l’ideazione del teatro (Povoledo, 1960). Più concreta appare invece l’attività dei due nel 1655, negli allestimenti teatrali per le nozze del principe Alfonso d’Este, e nel 1658, nella realizzazione del «mortorio» di Francesco I. Ma fu soprattutto nel 1660, in occasione della nascita del principe Francesco (figlio di Alfonso, divenuto duca Alfonso IV alla morte del padre Francesco), che i due soci – avvantaggiati dalla scomparsa di Avanzini e dalla partenza di Vigarani (Matteucci, 1969) – ebbero modo di allestire un imponente apparato teatrale che comprendeva un anfiteatro, due tribune e due carri-palcoscenico più varie scene e costumi, come documentato nella coeva relazione a stampa di Girolamo Graziani (Modena 1660).
L’ultimo episodio dell’attività modenese di Monti e Bianchi, che si concluse a seguito dell’esonero per motivi economici da parte della reggente Laura Martinozzi (Lenzi, 1985), fu verosimilmente nel 1663 quando furono realizzati gli apparati mortuari nell’anniversario della morte di Alfonso IV (1662). È documentato allo stesso anno l’importante intervento di ristrutturazione e decorazione (il cui capitolato d’appalto è stato pubblicato da Riccomini, 1972) operato da Monti nella chiesa modenese di S. Agostino: rimangono tuttora gli affreschi raffiguranti santi estensi nella soffittatura a riquadri della volta del presbiterio.
Nel biennio 1663-1665 la società Monti - Bianchi risulta attiva a Mantova al servizio del duca Carlo II Gonzaga, per la committenza del quale le fonti segnalano alcune realizzazioni non pervenute: gli interventi di restauro nella villa di Marmirolo e nel teatro ducale e la costruzione di macchine sepolcrali in S. Barbara. Lenzi, sulla base della documentazione d’archivio, riporta la notizia che un «Gio. Giacomo architetto » risultava residente nel 1665 in un’ala di costruzione recente della villa di Marmirolo, dato che attesterebbe una certa familiarità e introduzione a corte dell’artista, visto anche il conferimento a Monti dell’attestato di «benservito e curialità » da parte della reggente Isabella Clara, per i meriti acquisiti dal bolognese nei lavori di ingegneria.
Con la morte di Carlo II, avvenuta nel 1665, e con il ritorno di Monti a Bologna, si interruppe il sodalizio con Bianchi; fu a questo punto che l’attività di Monti, fino ad allora improntata a un certo eclettismo, virò decisamente verso l’architettura, con un atteggiamento fortemente debitore nei confronti delle sue precedenti esperienze di scenografo in un’estetica informata alla spettacolarità e allo sperimentalismo progettuale (Ceccarelli, 2003).
Può risalire già al 1659 l’inizio del rapporto di Monti con il marchese Girolamo Albergati, dilettante di architettura e suo committente per la realizzazione della sua residenza suburbana a Zola Predosa (Bologna). Malgrado l’assenza di documentazione, la critica più recente sembra orientata con decisione ad attribuire a Monti la paternità totale del progetto dell’edificio (Matteucci, 1995; Ceccarelli, 2003), affidatogli dopo che Albergati aveva respinto quelli richiesti precedentemente a Francesco Martini, Agostino Barelli, Girolamo Rainaldi e Camillo Saccioli.
Il salone centrale della villa, le cui proporzioni maestose risultano coniugate con equilibrio con l’organizzazione spaziale degli spazi adiacenti, costituisce il capolavoro riconosciuto dell’artista; il vano, alto più di 30 m e con una camera di luce quadrangolare sulla sommità, rappresenta la felice trasposizione architettonica della cultura pittorica quadraturistica, quella dello sfondato prospettico, che Monti aveva praticato e assimilato negli anni precedenti.
Un’analoga ricerca di monumentalità scenografica, seppure su scala ridotta, si può riconoscere nel linguaggio barocco adottato da Monti nella realizzazione dello scalone di palazzo Marescotti Brazzetti a Bologna, avvenuta tra il 1669 e il 1670 (Matteucci, 1973), mentre il ruolo da lui avuto nella costruzione del portico di S. Luca, che da Porta Saragozza sale al santuario, condusse l’intervento urbanistico – non ben chiarito nell’entità – verso un indirizzo stilistico più consono a esigenze devozionali di sapore controriformato (Id., 1969). Nel 1671 Monti fu eletto tribuno della plebe nella sua città, dal 1673 fu attivo nel coro di S. Petronio, dove realizzò le scalinate del presbiterio, disegnò le casse degli organi e completò il ciborio iniziato dal Vignola (Riccomini, 1972, pubblica i documenti del 1675 relativi ai pagamenti di tali opere).
Alla fine degli anni Settanta è da situare il suo intervento nella costruzione e nella decorazione della biblioteca del convento di S. Michele in Bosco (Matteucci - Benassati, 1980), mentre dal 1684 fino alla morte fu impegnato nel rifacimento della chiesa del Corpus Domini a Bologna dove, secondo la critica, seppe affrancarsi dal monumentalismo scenografico degli anni precedenti in favore di una cifra stilistica improntata a una maggiore grazia e moderazione (Matteucci, 1969). Matteucci trae da un manoscritto settecentesco l’informazione che un fratello di Monti, Ferdinando, fu amministratore del monastero del Corpus Domini a Bologna fino al 1685, anno in cui gli subentrò Giovanni Giacomo, e che una sorella dei due era monaca presso lo stesso convento. Nello stesso anno è segnalata la presenza di Monti a Roma per non meglio precisate ragioni familiari.
Morì il 15 ottobre 1692 e fu sepolto nella tomba di famiglia della stessa chiesa del Corpus Domini.
Fonti e Bibl.: P.A. Orlandi, Abecedario pittorico, Napoli 1763, p. 245; L. Crespi, Felsina pittrice, Roma 1769, pp. 66-68; F. Milizia, Memorie degli architetti antichi e moderni, Parma 1781, II, p. 268; A. Bolognini Amorini, Vite dei pittori ed artefici bolognesi (1841-43), V, Bologna 1979, pp. 303, 311, 321, 345-348; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi: catalogo storico (Modena 1855), Bologna 1969, pp. 76 s. e passim; E. Povoledo, in Enciclopedia dello spettacolo, VII, Firenze-Roma 1960, coll. 792-794; A.M. Matteucci, Carlo Francesco Dotti e l’architettura bolognese del Settecento, Bologna 1969, pp. 12-16, 51 s. e passim; E. Feinblatt, A note on Bianchi - M., in The Burlington Magazine, CXIV (1972), 826-837, pp. 17-22; E. Riccomini, Ordine e vaghezza. Scultura in Emilia in età barocca, Bologna 1972, pp. 119-123, 127-130 e passim; A.M. Matteucci, Contributo alla storia dell’architettura tardo-barocca bolognese, in Atti e memorie. Deputazione di storia patria per le Province di Romagna, n.s., XXIV (1973), pp. 225-252; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna 1977, pp. 44 s., 77 s., 281 s.; A.M. Matteucci - G. Benassati, in L’arte del Settecento emiliano. Architettura, scenografia, pittura di paesaggio (catal.), Bologna 1980, pp. 49 s., 274 s. e passim; Ducale Palazzo di Sassuolo, a cura di M. Pirondini, Genova 1982, pp. 58-63 e passim; D. Lenzi, Dal Seghizzi al M. al Bibiena. Architetti e scenografi bolognesi a Mantova sotto gli ultimi Gonzaga, in Il Seicento nell’arte e nella cultura con riferimenti a Mantova. Atti del Convegno, Mantova… 1983, Cinisello Balsamo 1985, pp. 164-173; D. Benati, La pittura nella prima metà del Seicento in Emilia e in Romagna, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, I, p. 269; Dizionario dei Bolognesi, a cura di G. Bernabei, Bologna 1990, II, p. 366; A.M. Matteucci Armandi, Villa Albergati. Originalità dell’architettura barocca emiliana, in Le magnifiche stanze. Paesaggio, architettura, decorazione e vita nella villa palazzo degli Albergati a Zola, Bergamo 1995, pp. 55-91; F. Ceccarelli, Le legazioni pontificie: Bologna, Ferrara, Romagna e Marche, in Storia dell’architettura italiana. Il Seicento, Milano 2003, II, pp. 336, 347-349, 353, 360; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexicon, XXV, p. 94.