CASTELLINI (Pozzi, da Pozzo, da Pontremoli), Giovan Luca
Nacque a Pontremoli (Massa Carrara) intorno all’anno 1445.
Alcuni storici, come il Muratori, gli attribuiscono il cognome di Castellini; altri, come il Tiraboschi e il Pastor, quello di da Pozzo o Pozzi. Egli si sottoscrisse sempre Ioannes Lucas o Ioannes Lucas de Pontremulo e così fu sempre chiamato. Il Dallari lo trovò denominato Io. Lucam Castellinium in una postilla sincrona del Libro segreto di diritto cesareo dell’Archivio arcivescovile di Bologna e Gio. Luca Castellini in un documento dell’Archivio Estense; mentre il Borsetti aveva trovato Io. Lucas Puteo nei Rotuli dei lettori dello Studio ferrarese: ed è certo che si tratta della medesima persona. Secondo il Gerini, Pozzo sarebbe il nome del villaggio nel Pontremolese del quale era originaria la famiglia.
Studiò leggi a Bologna e, ancora studente, ebbe nel 1474-75 una delle così dette letture d’università e precisamente quella di Digesto nuovo o Inforziato. Fu anche precettore in casa di Carlo Antonio Fantuzzi e nel 1478 era rettore dell’arte della lana. Nello stesso anno, il 23 giugno, ottenne la laurea in diritto civile e canonico. Trasferitosi a Ferrara, il 4 genn. 1479 prese possesso dell’ufficio di giudice delle appellazioni e nel 1480 fu fatto consigliere di giustizia. Divenne poi lettore di diritto canonico nello Studio e cominciò a leggere il 5 nov. 1481 in concorrenza con G. M. Riminaldi. Tenne la cattedra fino al 1508 acquistando fama di eccellente professore. Nel 1483 e nel 1485 fu vicario del podestà.
Il duca Ercole I affidò al C. delicate missioni diplomatiche, sebbene egli protestasse di essere più adatto “a seguire uno processo et a lezere una letione” che agli affari politici. Nel 1487 lo mandò in Romagna per la definizione dei confini dei Comuni di Conselice, Massalombarda ed Imola. Nel 1491 lo mandò a Roma per ottenere da Innocenzo VIII, oltre ad alcune grazie minori, che il card. Ippolito fosse dispensato dall’obbligo di pagare, sulle entrate del vescovado di Strigonia, un’annua pensione al cardinale di Contì e che l’abbazia di Pomposa venisse riformata. Quest’ultimo punto era il più difficile: il C. ebbe in proposito varie udienze dal papa, riuscì ad avere l’appoggio del cardinale Ascanio Sforza, ma quando lasciò Roma, verso la fine di dicembre, la cosa non era ancora definita. Poco dopo fu fatto consigliere segreto. Nel 1496 il C. che, non sì sa quando, era stato ordinato in sacris, era anche vicario generale del vescovo di Comacchio.
Nel marzo 1499 accompagnò a Venezia il duca, che vi andava per il suo famoso lodo tra Veneziani e Fiorentini a proposito di Pisa, e parlò più volte davanti al doge e al Collegio. Il lodo, com’è noto, scontentò tutti e il Sanuto dice che proprio il C., che ne era stato l’estensore, aveva “consigliato tal iniqua sentenza”. Dalla fine d’aprile al giugno 1500 fu a Milano come inviato speciale col compito di rassicurare il cardinale di Rouen della devozione del duca al re di Francia, di presentargli dei doni e di difendere il marchese di Mantova, i signori di Carpi, Correggio e Mirandola e Giovanni Bentivoglio dall’accusa d’aver favorito Lodovico il Moro. A tale scopo visitò anche il Ligny e G. G. Trivulzio. I Pio, i Pico, i da Correggio e il Bentivoglio poterono poi, pagando grosse somme di denaro, tornare in grazia del re. Nel luglio il C. accompagnò a Mantova il duca, che vi andava per il battesimo del primogenito di sua figlia Isabella. Nel dicembre 1501 fece parte della grande comitiva mandata a Roma per condurre a Ferrara Lucrezia Borgia, sposa del principe Alfonso.
Ben informato della situazione, giacché aveva, come esperto giurista, seguito assiduamente da Ferrara tutte le trattative intercorse tra il papa e il duca, egli che, a quanto pare, fu anche il redattore del contratto nuziale, era in grado forse più di chiunque altro di tenere il duca al corrente dell’andamento delle cose. Infatti M. Bellonci, per la sua biografia di Lucrezia, si è valsa soprattutto delle lettere del C. per descrivere le cerimonie romane e il lento viaggio della principessa e della sua straordinaria comitiva, che impiegò un mese, dal 6 gennaio ai primi di febbraio 1502, per andare da Roma a Ferrara.
Pochi giorni dopo il duca scrisse ad Alessandro VI chiedendo per il C. il cappello cardinalizio. Della cosa, nei mesi seguenti, si interessarono Alfonso e Lucrezia, il card. Ippolito e fors’anche Cesare Borgia, al quale il C. – tramite Lucrezia – aveva prestato 1.500 scudi senza interesse. Ma non se ne fece nulla.
Tra l’altro era stato proposto per la porpora anche il celebre canonista ferrarese Felino Sandeo, vescovo di Lucca; era già cardinale il vescovo dì Modena G. B. Ferrari; e nessuno a Roma gradiva che il card. d’Este avesse nel Collegio tre cardinali suoi. Senza dire che il C. non aveva mai avuto alcuna importante dignità ecclesiastica ed anzi era ancora semplice chierico. Nel giugno morì il card. Ferrari e il duca presentò il C. per la successione nel vescovado di Modena: sarebbe stato un primo passo verso il cardinalato. Ma il papa elesse un fratello del defunto cardinale. Alla fine dell’anno, in dicembre, il C. si recò di persona a Roma; ma dovette persuadersi che, almeno per allora, il papa non aveva alcuna intenzione di promuoverlo.
Nel marzo 1503 il duca ottenne che fosse nominato coadiutore con diritto di successione del vecchissimo vescovo di Reggio, Bonfrancesco Arlotti. Nel dicembre dello stesso anno il C. fu mandato, con un’ambasceria straordinaria cui partecipavano anche Antonio Costabili, Camillo Strozzi e Francesco Rangoni, ad ossequiare il nuovo papa Giulio II.
Gli ambasciatori fecero la loro fastosa entrata in Roma il 7 dicembre e il 14 furono ricevuti dal Papa in udienza solenne, presenti tutti i cardinali e gli ambasciatori residenti in Roma. Prestarono a nome del duca l’obbedienza al pontefice e il C. recitò l’orazione ufficiale. Partiti gli altri, il C. restò a Roma; fu ricevuto più volte dal papa e trattò diversi affari: chiese qualche incarico per Niccolò Maria d’Este, vescovo d’Adria, e il papa promise che gli avrebbe dato il governo di Cesena o d’altro luogo; sostenne le buone ragioni di Ercole da Varano sullo Stato di Camerino; chiese la conferma di un indulto concesso al duca da Innocenzo VIII e confermato da Alessandro VI. Tornò a Ferrara nel giugno 1504; ma alla fine dell’anno fece un nuovo breve viaggio a Roma.
Morto il duca Ercole (25 genn. 1505), il successore, Alfonso I, conservò il C. tra i suoi principali consiglieri. Nell’aprile 1507, in seguito all’arresto, da parte dei Veneziani, di un corriere ferrarese alla corte imperiale, il duca si recò a Venezia a giustificare la propria politica e volle essere accompagnato dal Castellini. Nell’agosto, morto il vescovo d’Adria, Niccolò Maria d’Este, Alfonso cercò inutilmente di far avere quel vescovado al Castellini. Il 7 genn. 1508 morì l’Arlotti e il C. gli succedette: fece il suo solenne ingresso a Reggio il 23 aprile e subito si adoperò per pacificare le fazioni cittadine e restaurare il palazzo vescovile. Ma alla fine dell’anno Giulio II lo chiamò a Roma: si disse che voleva farlo cardinale; lo nominò invece auditore di Rota. A proposito di questa nomina corse un motto di spirito di Latino Iuvenale, riferito dal Castiglione nel Cortegiano. Da Roma il C. rimase in assidua corrispondenza col card. d’Este, mentre i rapporti tra il papa il duca Alfonso s’andavano deteriorando. A lui si rivolse per consiglio Ludovico Ariosto, mandato a Roma dal cardinale nell’agosto iSio. Quando il papa, iniziata ormai la guerra veneto-pontificia contro Ferrara, si recò a Bologna, il C. lo seguì. Morì in quella città l’11 ott. 1510 e fu sepolto nella chiesa di S. Martino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Arch. Estense, Carteggi di referendari, b. 4; Ambasciatori, Roma, bb. 10, 12, 14, 18, 20; Milano, b. 19; Reg. delle gabelle di Ferrara, 1485, c. 1 14r; Mandati, 1486, c. 48r; 1491, c. 128v; 1494. C. 91r; Rogiti dei notai ferraresi, Obizzo Remi., c. 14v; Giurisd. sovrana, Cart. dei vescovi di Reggio, b. 269; Bollette dei salar., 1488, 1494; M. Sanuto, Diarii, II-VIII, Venezia 1879-1882, ad Ind.; B. Castiglione, Il Corteg., a cura di V. Cian, Firenze 1929, p. 265; B. Zambotti, Diario ferrarese, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 7, a c. di G. Pardi, ad Indicem; I Rotuli dei lettori... dello Studio di Bologna, a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, p. 95; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, I, Ferrara 1735, p. 77; L. A. Muratori, Antichità Estensi, II, Modena 1740, p. 287; G. Tiraboschi, Mem. storiche modenesi, IV, Modena 1794, p. 103; E. Gerini, Mem. stor. d’illustri scritt. di Lunig., Massa 1829, p. 242; U. Dallari, D’un vesc. di Reggio, in Atti e mem. della Dep. di st. patria per le ant. prov. modenesi, s. 4, IX (1899), pp. 253 ss.; G. Pardi, Lo Studio di Ferrara nei secc. XV e XVI, in Atti e mem. della Deput. ferrarese di stor. patria, XIV (1903), pp. 109, 267; G. Scaramella, Il lodo del duca di Ferrara tra Firenze e Venezia, in Nuovo Arch. ven., n.s., V (1903), pp. 22-26; G. Bertoni, L’“Orlando Furioso” e la Rinascenza a Ferrara, Modena 1919, p. 323; M. Catalano, Vita di L. Ariosto, Ginevra 1931, ad Indicem; M. Bellonci, Lucrezia Borgia, Milano 1939, ad Indicem; A. Mercati, Reggio Emilia nel servizio diplom. della S. Sede, in Atti e mem. della Dep. di st. patria per le ant. prov. modenesi, s. 8, I (1948), p. 66; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1959, ad Indicem.