FABRI (Fabbri), Giovan Paolo (Paulo)
Nacque a Cividale del Friuli (prov. Udine) nel 1567: la data si deve al Bartoli e viene generalmente accettata. D'altronde il F. si dice quarantaseienne nella Canzone nella quale descrive parte de' suoi infortunij contenuta nelle Rime varie / la maggior parte lugubri, edite a Milano nel 1613, ricche di accenni autobiografici.
Alla Canzone si devono le notizie sulla sua vita precedente l'attività professionale: di famiglia povera, rimasto orfano in tenera età, fu allevato da "un severo zio". Trasferitosi a Venezia, si dedicò ad "essercizio industre" fino ad acquistare una certa cultura: fu quindi in grado di svolgere mansioni di scrivano di studio a Ravenna, dove soggiornò per due mesi. Giovanissimo ("giovenetta mostra / fei ne' teatri"), in questa città si fece attore in una compagnia di comici attiva per le rappresentazioni del carnevale e, grazie al suo "buon talento" e allo "spirito pronto", completò la stagione in città.
Forte del successo incontrato, non abbandonò più il palcoscenico: noto come Flaminio, il F. recitò la parte di innamorato con una certa risonanza. Lavorò infatti in grandi compagnie: era probabilmente tra gli Uniti, firmatari di una supplica a Vincenzo Gonzaga datata 3 apr. 1584 per recitare in Mantova (nell'elenco dei membri della compagnia risulta semplicemente un Flaminio). Compare nel 1593 come Gio. Paolo Fabri nell'elenco della stessa compagnia, che nell'ottobre recitò a Genova, e come "Giovan Paolo Fabri di Cividal del Friuli" nel 1614, ancora in tournée a Genova, come risulta da una concessione del Senato del 18 agosto: forse era con gli Uniti anche nell'anno precedente, il 1613, a recitare a Milano, dove pubblicò, secondo il Rasi, due sonetti.
Nel 1603 il F. fu in tournée con la compagnia dei Gelosi di Francesco ed Isabella Canali Andreini in Francia, forse a Parigi: il Baschet cita una quietanza del 31 dic. 1603 per 600 scudi ricevuti dai due Andreini, da Giovanni Polesini o Pellesini (Pedrolino) e dal F. "pour leur entrenement durant cinq mois".
Del periodo francese lo stesso F. recò testimonianza in uno dei suoi Capitoli alla carlona (Trento 1608), che è anche un omaggio ad Isabella ("Con le Comedie ho già servito a i Gigli / di Francia in compagnia di quella Donna / che non teme del tempo i duri artigli. / Quella che di virtù ferma colonna / Fu sempre, cui diede la Brenta a noi, / e cui gemma pregiata hor tien la Sonna"). Ad Isabella, e in particolare alla sua facondia, il F. dedicò altri versi in occasione della sua morte: "Quella che già così faconda espresse / detti sublimi ed ornamento altero / fu delle scene, d'appressarsi al vero lasciando l'ombra e di bearsi elesse / ...".
In diversi ma non precisabili momenti il F. figurò anche nella compagnia dei Fedeli, gestita da GiovanBattista Andreini: in una lettera del 26 ott. 1612 dell'Arlecchino Tristano Martinelli, citata dal Rasi, si esprime il desiderio di Maria de' Medici di avere quella compagnia al proprio servizio, e fra gli attori si cita il Fabri. I Fedeli furono poi a Parigi dal settembre 1613 al luglio 1614. È comunque alla sua attività in questa compagnia che si collega la stesura dei prologhi che il F. premise a tre opere di G. B. Andreini, Le due comedie in comedia, Venezia 1623 (in cui Fiaminio recita la parte del Pedante), Lelio bandito, tragicommedia boschereccia, Milano 1620, e La Turca, commedia boschereccia e marittima, Venezia 1620.
La qualità stessa dei brani e il loro inserimento nell'edizione a stampa confermano il progetto culturale dei comici della seconda generazione dell'arte che, con la guida di Niccolò Barbieri e appunto di Giovan Battista Andreini, per il tramite della "sede istituzionale" del libro, affermano la dignità della propria professione e dei suoi materiali, in netta antitesi con gli "istrioni, mimi, pantomimi". Nei prologhi il F. sposa le tesi dell'Andreini, e pìù in generale dei professionisti colti, che propongono una drammaturgia letterariamente qualificata e perfettamente inserita nell'alveo della tradizione, in sintonia con quel secondo momento isolabile nella storia della commedia dell'arte, in cui questa è sempre meno caratterizzata dalla specificità tecnica fondata sull'abilità dell'attore, come nel secolo precedente, e sempre più dal mestiere (L. Mariti).
E infatti il F. difende uno spettacolo che è "honesto trattenìmento", nella fiaffermazione di un "castigando ridendo mores" di antica memoria, "a fine di corregger i nostri vizii e conseguentemente di giovarci", "per far ciascheduno nella sua condizione più avveduto nel viver di questo mondo" (prologo a Le due comedie in comedia).
Padre di quattro figli, ne vide morire tre durante i suoi vagabondaggi d'attore, tra Ferrara, Firenze e il Piceno: di un matrimonio pare non felice gli rimase soltanto il figlio Sigismondo. Echi commossi di tante disgrazie familiari si legjgono nelle Rime. Domenico Bruni, nelle Fatiche comiche, Paris 1623, ricorda il F. non soltanto per la sua valentia di attore, ma anche per le sue doti poetiche: e poeta elegante e di facile vena il F. si rivela nei citati Quattro capitoli alla carlona e in Due suppliche e due ringraziamenti alla bernesca che pubblicò nel 1608 a Trento, città in cui tenne, con la compagnia di cui faceva parte, una sfortunata tournée.
Infatti, in una delle Due suppliche il F. illustra con vivacità al barone di Thun, capitano di Trento, le sfortunate vicende dei comici: "Non abbiam colto alcuna sera tanto / Che bastasse per cena ad un romito. / Non va lenta così biscia a l'incanto. / Come i Trentini a la comedia ..."). Oltre ai Quattro sonetti spirituali editi a Perugia nel 1610, il F. lasciò altre composizioni poetiche, come i Sette sonetti, Firenze 1610, e quel sonetto in onore di Isabella Canali Andreini compreso nell'edizione veneziana del 1620 delle Lettere della grande attrice che, inserito fra gli analoghi componimenti celebrativi del Marino e del Tasso, presenta - come acutamente notato dal Tessari - "una situazione simbolica del felice status culturale allora raggiunto dalla 'gente sordida'" di teatro.
Le ultime notizie collocano il F., "già vecchio e probabilmente dalla sua professione ridotto a male" (Rasi), nella modesta compagnia di Giovan Maria Bachino, che nel 1620 recitava fra Cento, Modena, Finale e Carpi. Morì nel 1627 (Bartoli).
Fonti e Bibl.: F. Bartoli, Notizie istor. de' comici italiani..., Padova 1782, I, pp. 202 s.; A. Bartoli, Scenari ined. della commedia dell'arte, Firenze 1880, pp. CXXI s.; A. Baschet, Les comédiens italiens à la cour de France, Paris 1882, pp. 135-38; A. D'Ancona, Origini del teatro italiano, Torino 1891, II, p. 487; E. Bevilacqua, G. B. Andreini e la compagnia dei Fedeli, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXIII (1894), pp. 76 ss.; XXIV (1895), pp. 82 ss.; L. Rasi, I comici italiani..., Firenze 1897, I, pp. 99, 840-46; I. Sanesi, La commedia, Milano 1935, II, pp. 11, 17 ss., 27; L. Mariti, Commedia ridicolosa, Roma 1978, p. CXXVI; R. Tessari, La commedia dell'arte nel Seicento, Firenze 1980, p. 59; F. Taviani-M. Schino, Il segreto della commedia dell'arte, Firenze 1982, pp. 96, 102 s., 109, 342; S. Ferrone, Introd. a Commedie dell'arte, Milano 1985-86, I-II, passim.