GIOVAN PIETRO (Giampietro) d'Avenza (da Lucca)
Nacque verso la fine del XIV o al principio del XV secolo ad Avenza, presso Carrara; è citato nei documenti anche come Giovan Pietro da Lucca. Il cognome Vitali, con cui è indicato da alcuni studiosi moderni, è frutto di un'errata lettura del patronimico nel testamento, "Iohannes Pierus quondam Pieri Vitalis de Massa", che può essere interpretato tanto come "di Piero di Vitale", quanto come "di Piero Vitale", meglio che come "di Pietro Vitali".
G. fu allievo di Vittorino da Feltre, alla cui scuola apprese il latino e il greco; F. Prendilacqua lo ricorda nella biografia del maestro con accenti lusinghieri: "summi ingenii, quo nemo rectius aut nostram aut Atticam tenuit elegantiam, diligentissimus latinitatis" (p. 95). Fu pure tra i discepoli di Guarino Veronese. Il Sabbadini lo identifica nello "Iampetrus", menzionato tra gli allievi del Veronese nella monodia in memoria di Manuele Crisolora composta dall'umanista triestino Raffaele Zovenzoni, anch'egli allievo di Guarino. Con maggiore certezza è lui il "Johannes Petrus Lucensis" ricordato tra i seguaci di Guarino nella Laudatio funebre composta da Ludovico Carbone; lo stesso Guarino compose un epitaffio nella sua morte (l'indicazione accanto al nome, "Zampetrus", della patria d'origine, Lucca, rende l'identità sicura), nel quale lo ricorda per la conoscenza delle due lingue classiche.
Nel 1445 G. era a Verona, dove si trattenne fino al 1450 o forse fino al giugno 1451. Di un insegnamento nelle scuole pubbliche di Brescia, dove sarebbe stato suo allievo Bartolomeo Uranio, dà notizia G. Liruti, ma non è confermato da alcuna fonte. Ben documentata è invece tale attività a Venezia negli anni tra il 1451 e il 1456.
Il 7 luglio 1446 il Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia aveva deliberato l'assunzione di un maestro per istruire in grammatica e retorica i giovinetti che servivano nelle riunioni e nelle votazioni e l'altro personale della Cancelleria veneziana che lo desiderasse. Il 13 dic. 1450 fu nominato G., che successe a Filippo di Federighino da Rimini. A causa di un'infermità (la salute malferma lo afflisse per tutta la vita), G. non poté tuttavia prendere servizio subito: fu sostituito per un semestre da Francesco Diana e cominciò le lezioni solo nel settembre 1451. Rimase in carica fino al 1456, con lo stipendio di 100 ducati d'oro.
Allievi di G. furono i rampolli dell'aristocrazia veneziana, che cominciavano con il servizio nella Cancelleria il loro cursus nelle magistrature della Repubblica; oltre a Benedetto Brugnoli, che gli successe nella carica, G. fu maestro anche di Lodovico Donà, futuro vescovo di Bergamo, e di Leonardo Montagna. Fu legato inoltre a Leonardo Giustinian, Lorenzo Zane, Francesco Barbaro, Giovanni Querini, che lo ricordò nell'orazione funebre per il Brugnoli.
Mentre insegnava a Venezia, il Consiglio degli anziani di Lucca, il 29 nov. 1453, offrì a G. la cattedra cittadina di grammatica, retorica e poetica. La remunerazione era uguale a quella percepita a Venezia, oltre alle lezioni private degli scolari, ma G. respinse la proposta. Nel luglio 1456 fu però costretto ad allontanarsi precipitosamente da Venezia, dove imperversava la pestilenza, e, dopo avere scartato l'ipotesi di sistemarsi a Padova, Treviso o Verona, accettò l'incarico di lettore di oratoria e di lettere greche che il Comune di Lucca gli aveva offerto di nuovo il 22 giugno 1456, con l'aggiunta al precedente stipendio di 7 ducati d'oro larghi come sussidio per l'abitazione. Cominciò le lezioni con larghissimo seguito, tanto che il 28 genn. 1457 il Consiglio cittadino gli concesse un supplemento di 25 scudi per pagarsi un ripetitore, nella persona di Giovanni Bartolomeo Carminati da Brescia, già suo allievo (il che parrebbe confermare la notizia del soggiorno nella città). Tanto successo fu di breve durata: G., di salute sempre malferma (nonostante i soggiorni a Bagni di Lucca, dove si recò interrompendo l'insegnamento tra il marzo e l'agosto), contrasse la peste e si spense il 3 ott. 1457.
G. lasciò la sua biblioteca (per un valore di 50 ducati) al Carminati, che gli subentrò anche nella cattedra cittadina, e destinò il suo patrimonio per le doti delle fanciulle povere della città e del contado, lascito ancora in vita all'inizio del XIX secolo. Il 7 ottobre gli furono tributati solenni onori funebri nella cattedrale di S. Martino: Giovanni di Leopardo da Vecchiano di Pisa, suo discepolo, pronunciò l'orazione funebre (conservata dal ms. 906 della Bibl. Riccardiana di Firenze, insieme con una lettera del Carminati al cancelliere di Venezia Luigi Diedo, nella quale annuncia la scomparsa del maestro, e con lettere di G. del periodo lucchese); il cadavere, imbalsamato e coronato di alloro, fu inumato sotto il portico della chiesa e nella facciata sotto l'atrio fu murato un medaglione marmoreo, opera attribuita allo scultore lucchese Matteo Civitali, con la sua effigie e l'iscrizione "Ioannes Petrus Lucensis doctus Graece et Latine ingenio miti proboque". Di una medaglia in piombo con il suo volto, forse opera del Pisanello, posseduta a Padova nel 1559 dal figlio di un allievo tedesco di G. dà notizia Weiss. Oltre a quello del Guarino, un altro epitaffio in memoria di G., pure elogiativo della conoscenza delle due lingue classiche, si legge nel Progymnasmaton libellus di Gherardo Diceo (Lucca, S. Sucha, 1523, c. b3rv) e un altro di Antonio Beccadelli nel ms. della Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat. 1610, c. 55r. Nello stesso codice (c. 113v) è inoltre un epitaffio composto da G. in memoria di Francesco Barbaro, morto nel gennaio 1454.
G. ebbe dunque fama presso i contemporanei soprattutto come eccellente conoscitore delle lettere greche e latine. Così lo ricorda Lorenzo Valla nell'Antidotum IV in Pogium, dove riporta un ampio brano di una lettera scrittagli da G. da Venezia negli ultimi mesi del 1452, nella quale, elogiando le Elegantiae del Valla, G. mostra di aderire al metodo filologico propugnato dall'umanista romano e di prendere posizione in suo favore, a fianco degli ambienti intellettuali veneti, nella polemica con Poggio Bracciolini. Identico il giudizio di Biondo Flavio nell'Italia illustrata (Verona, B. de Bonini, 1482, c. 79r). Alle sue qualità di retore fa invece riferimento Michele Alberto da Carrara nell'orazione per l'ingresso del vescovo Lodovico Donà in Bergamo. Nella lettera del Carminati a Luigi Diedo si legge che egli si distinse anche nello studio della matematica e che coltivò la poesia, oltre alla musica in età giovanile: tale pluralità di interessi, evidentemente, rifletteva l'ideale enciclopedico alla base della pedagogia vittoriniana, che G. continuò nella sua carriera d'insegnante. Varietà di letture, pur nell'ambito di un orientamento sostanzialmente didattico, testimonia un elenco di 43 libri inviatigli il 12 giugno 1445 a Verona da Vittorino da Feltre, conservato nell'Archivio Gonzaga (Arch. di Stato di Mantova). Dopo la morte, nel 1446, di Vittorino, nel 1449 gli esecutori testamentari ne richiesero la restituzione, o il versamento di una somma equivalente al valore, per pagare i creditori; ma i libri non furono restituiti e solo nel testamento G. dispose che fossero pagati 20 ducati in risarcimento. Pur nella genericità con cui sono indicate le opere, si ricava che prevalgono gli autori greci, opere grammaticali e retoriche (Eschine; Isocrate; Aristotele, Topica e Logica; Cicerone, De oratore; Quintiliano; Prisciano), lessici, storie (Erodoto; Tucidide; Sallustio); ma sono presenti anche opere filosofico-morali (Aristotele, Etica; Cicerone, De natura deorum, De amicitia, De officiis, Cato maior), poetiche (Esiodo, Teogonia; Euripide; Teocrito; Aristofane; Terenzio) e la Geografia di Tolomeo.
Le tracce lasciate dal breve ma intenso insegnamento lucchese emergono nella polemica che contrappose tra il settembre e il novembre 1465 un allievo di G., Buonaccorso Massari da Lucca, a un allievo di Cristoforo Landino, Lorenzo Guidetti. R. Cardini ha mostrato come le ragioni dello scontro, riguardante il problema dell'approccio ai classici, consistessero nella diversa impostazione delle due scuole, sostanzialmente grammaticale e retorica quella di G., portata a concentrarsi su questioni interpretative puntuali; orientata ad afferrare la lezione generale dello stile e l'insegnamento estetico quella di Landino, nella quale si coglie l'insofferenza, mutuata dagli ambienti neoplatonici fiorentini, per i fatti formali e linguistici su cui si incentrava il nuovo metodo filologico. Nel corso della polemica, il Massari inviò al Guidetti una Oratio in laudem eloquentiae, composta da G. ma pronunciata dall'allievo (è conservata a Roma, Biblioteca Corsiniana, ms. Fondo N. Rossi 230, che raccoglie scritti del Guidetti, alle cc. 57r-64r). Vi si legge un caldo elogio dell'eloquenza e del magistero dei classici, ai quali bisogna rivolgere ogni sforzo sulla strada della sapienza e della stessa verità divina, ma sempre conservando un atteggiamento concreto e pratico, un cordiale commercio tra gli uomini e nutrendo una totale dedizione allo studio: aspetti questi nei quali possiamo riconoscere l'ispirazione dell'umanesimo vittoriniano, su cui G. plasmò la sua personalità e l'attività di precettore.
Dell'attività di traduttore di G., chiaramente legata all'insegnamento, resta la versione latina dei Problemata di Plutarco, tramandata da diversi manoscritti (nel ms. della Biblioteca apost. Vaticana, Vat. Chigi I.V.178, esemplare di dedica all'arcivescovo di Spalato, già alunno del Valla, Lorenzo Zane, con una lettera accompagnatoria in fondo al codice datata 21 apr. 1453; nel Vat. Urb. lat. 226 con una lettera di Giovanni Calfurnio a Marco Aurelio Veneto). La versione, eseguita per esercizio e su richiesta dei discepoli, fu data alle stampe, con la lettera del Calfurnio, in due edizioni sine notis, forse l'una ferrarese, l'altra veneziana. Insieme con i Problemata di Alessandro di Afrodisia, nella traduzione di Giorgio Valla, e i Problemata di Aristotele, in quella di Teodoro Gaza, vide poi la luce in un in folio a Venezia, tip. Antonio da Strada, 1488-89; fu riedita, ancora a Venezia, nel 1519. La traduzione latina dell'Encomio di Elena di Isocrate è tramandata da diversi manoscritti e da due stampe: una, insieme con la Storia di Erodoto nella traduzione del Valla, senza note tipografiche (Hain, 9314; attribuita a C. de Pensis, Venezia circa 1500); l'altra da sola (Hain, 9315: Venezia, G. e G. de Gregoriis, 1494). Altre due orazioni di G. sono conservate nel cod. C 145 inf., cc. 89-96 della Bibl. Ambrosiana di Milano. La prima, indirizzata a Galeazzo Maria Sforza e databile a poco prima dell'arrivo a Venezia, contiene l'elogio di quel casato e la riconoscenza verso il principe, che si è degnato di visitare il letterato nella sua umile dimora. Nella seconda, di contenuto politico, G. esorta i Veneziani a non concedere gli aiuti militari richiesti dai Genovesi contro Carlo VIII, onde non mettere a repentaglio i buoni rapporti con il potente sovrano d'Oltralpe e danneggiare così gli interessi economici della Repubblica. Lettere e orazioni di G. e del Carminati sono, adespote, nel ms. Vat. Ottob. lat. 1510. L'epitaffio di G. per Francesco Barbaro, con uno del Beccadelli su G., è pubblicato in A. Beccadelli, Poesie latine inedite, a cura di A. Cinquini - R. Valentini, Aosta 1905, pp. 32 s.; G. avrebbe dato alle stampe anche un libro di regole grammaticali, De declinationibus, generibus et preteritis regulae incipiunt, senza note tipografiche, in 4° di carte 106 (Lucchesini, p. 279), ma non ne è traccia nelle bibliografie moderne.
Fonti e Bibl.: Flavio Biondo, Italia illustrata, Veronae 1482, c. 79r; L. Valla, Opera, Basilea 1540, pp. 332 s.; G. Guarini, Epistolario, a cura di R. Sabbadini, in Miscellanea di storia veneta, s. 3, XI (1916), pp. 599-601 (monodia dello Zovenzoni); XIV (1919), pp. 466 s.; L. Carbone, Laudatio funebris, in Prosatori latini del Quattrocento, a cura di E. Garin, Milano-Napoli 1952, p. 398; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1752, I, pp. 180, 326; II, p. 110; G. Liruti, Notizie della vita e opere scritte da' letterati del Friuli, I, Venezia 1760, pp. 449, 452; F. Prendilacqua, De vita Victorini Feltrensis dialogus, a cura di N. Dalle Laste, Patavii 1774, p. 95; G. Sardini, Esame sui principi della italiana e francese tipografia, III, Lucca 1796-98, p. 107; C. de' Rosmini, Idee dell'ottimo precettore nella vita e disciplina di Vittorino da Feltre e dei suoi discepoli, Bassano 1801, pp. 404-409; C. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, in Memorie e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca, IX, Lucca 1825, pp. 29-31; E. Gerini, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, II, Massa 1829, pp. 277-279; G. Sforza, Della vita e delle opere di G. d'A. grammatico del secolo XV, in Atti e memorie della Deput. di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, V (1870), pp. 393-411; A. Luzio, Cinque lettere di Vittorino da Feltre, in Archivio veneto, n. s., XXXVI (1888), p. 339; P. Barsanti, Il pubblico insegnamento a Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII, Lucca 1905, pp. 122-125, 175, 190, 241; A. Segarizzi, Cenni sulle scuole pubbliche a Venezia e sul primo maestro di esse, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere e arti, LXXV (1915-16), pp. 643 s.; E. Codignola, Pedagogisti ed educatori, Milano 1939, pp. 244 s.; G. Mercati, Ultimi contributi alla storia degli umanisti, II, Città del Vaticano 1939, pp. 69* s.; G. Arrighi, G. dell'A. maestro del XV secolo, in Giorn. stor. della Lunigiana, XI (1960), pp. 179-182; R. Weiss, La medaglia veneziana del Rinascimento e l'umanesimo, in Umanesimo europeo e umanesimo veneziano, a cura di V. Branca, Firenze 1963, pp. 40 s.; G.P. Marchi, Maestri e scolari alla processione del "Corpus Domini" dell'anno 1451, in Vita veronese, XIX (1966), p. 186; P.H. Labalme, Bernardo Giustinian. A Venetian of the Quattrocento, Roma 1969, pp. 96-100; B. Nardi, Saggi sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento, Padova 1971, pp. 31 s., 35; S.I. Camporeale, Lorenzo Valla: umanesimo e teologia, Firenze 1972, pp. 379, 381-383, 463 s.; R. Cardini, La critica del Landino, Firenze 1973, pp. 40 s., 56, 267, 269, 271, 281; Storia della cultura veneta, Vicenza 1980, III, 1, pp. 41, 126, 241 s.; III, 2, pp. 600 s.; M. Cortesi, Un allievo di Vittorino da Feltre: G. da Lucca, in Vittorino da Feltre e la sua scuola: umanesimo, pedagogia, arti, Firenze 1981, pp. 263-276; E. Menegazzo, Discepoli veneziani di G. da Lucca e Pietro da Montagnana si contendono un codice di Livio, ibid., pp. 277-283; P.F. Grendler, La scuola nel Rinascimento italiano, Bari 1991, pp. 142 s., 151 s.; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 207 s., 320, 421; II, pp. 81, 115, 483 s.; L. Hain, Repert. bibliographicum, nn. 9314, 9315; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, I, pp. 426 s.