SACCENTI, Giovan Santi
SACCENTI, Giovan Santi. – Nacque da Benedetto di Domenico e da Francesca di Cosimo Guidotti nel 1687 a Cerreto Guidi, borgo medievale della Val d’Elsa nel contado di Firenze, già feudo dei conti Guidi e sede di una cinquecentesca villa medicea.
Studiò a Firenze presso le scuole dei gesuiti e quindi nello Studio pisano, dove conseguì la laurea in legge. Rientrato a Cerreto, sposò nel 1714 la compaesana Costanza di Bartolomeo Braccini, dalla quale ebbe sette figli: cinque maschi e due femmine.
Esercitò presso varie podesterie e vicariati (le circoscrizioni giurisdizionali periferiche del Granducato di Toscana) l’ufficio di ‘cavaliere di corte’, ovvero di notaio degli atti giudiziali: un ruolo di ufficiale subalterno tradizionalmente ricoperto da notai oriundi del contado che svolgevano le proprie funzioni al servizio dei podestà e vicari locali, entrando a far parte, accanto ai giudici e agli sbirri, delle loro ‘famiglie’. Duravano in carica, in ciascuna sede, da uno a tre anni, andando così a formare un ceto itinerante di amministratori della giustizia. La carica ricoperta li collocava, all’interno delle comunità, nella cerchia ristretta dei personaggi eminenti, ma al prestigio sociale attribuito alla figura del ‘sere’ non corrispondeva un adeguato riconoscimento economico. Dal podestà o vicario di cui erano alle dipendenze ricevevano infatti, oltre che vitto e alloggio, un modesto stipendio, integrabile però con i proventi derivanti dall’applicazione delle tariffe stabilite per l’iscrizione dei diversi atti giudiziari. I loro guadagni dipendevano dunque dal grado di litigiosità dei sudditi e anche dagli illeciti messi in atto nella riscossione delle tariffe o nel recupero dei tributi dovuti al principe. Tali scorrette pratiche professionali, pure assai diffuse, non appartennero tuttavia a Saccenti, la cui dirittura morale si riflette tra l’altro nella scelta di occuparsi solo di cause civili, ripugnandogli l’idea di poter trarre guadagni dai reati criminali, per quanto molto più lucrosi.
Risulta difficile ricostruire la serie esatta dei suoi frequenti spostamenti di sede, e altrettanto incerta ne è la cronologia. Soccorrono in parte (oltre a qualche sporadica traccia archivistica) le notizie affidate alle Rime, dalle quali si apprende che il suo primo incarico fu presso la podesteria di Greve; prestò poi servizio in quelle di Montespertoli, Montevarchi, Certaldo e Barberino; quindi presso il vicariato della Terra del Sole (nella Romagna toscana) e la podesteria di Volterra, ma tenne ‘banco’ anche a Prato, Campi Bisenzio, Pontassieve, Colle Val d’Elsa e Arezzo.
Della numerosa famiglia tre dei figli maschi furono avviati al sacerdozio presso il seminario di San Miniato, sotto la cui Curia vescovile ricadeva il territorio di Cerreto, divenendo due di loro (Benedetto Francesco e Anton Nicola) parroci di campagna e il terzo (Quirico Giovanni) ‘prete di casa’. Le figlie furono entrambe maritate: la prima, Maddalena Vittoria, a Gaetano Pasqualetti, la seconda, Francesca Violante, a Giovanni Francesco Poggi, avo del giurista Enrico, che fu ministro nel governo provvisorio della Toscana e senatore del Regno.
Nel 1740, mentre si trovava alle dipendenze del podestà di Campi Bisenzio, fu estratto alla carica di gonfaloniere. Altro titolo onorifico di cui si fregiò fu quello di familiare del cardinale Francesco de’ Medici. Fu inoltre membro dell’Accademia dei Sepolti di Volterra.
Parallelamente alla carriera professionale, si dedicò a un’ampia attività poetica, ascrivibile al genere bernesco e composta in buona parte da sonetti e capitoli in terza rima, di cui non curò mai la pubblicazione.
La sua poesia si svolge tutta all’interno di una dimensione localistica e sfrutta le risorse della pratica estemporanea, specie sul versante della produzione di sonetti, dettati il più delle volte dall’occasione banale, e spesso indulgenti all’equivoco e alla lepidezza volgari. Una cifra originale si affaccia invece nei capitoli percorsi dal leitmotiv della frustrazione professionale del ‘sere’, che disegnano il ritratto di un onesto servitore periferico del governo, alle prese con la precarietà (certo letterariamente amplificata) della propria condizione. Questo particolare punto di osservazione apre squarci sulla realtà sociale dei territori lontani dalla dominante, come avviene per esempio nei vivaci capitoli dedicati all’esperienza vissuta nella Terra del Sole. Oltre alla Commedia dantesca, nella memoria del poeta è ben presente la lezione di Benedetto Menzini, all’epoca autore di culto tra i letterati fiorentini. Nei capitoli sono infatti frequenti i richiami alle sue Satire, e forse l’idea di comporre un’Arte poetica in terza rima (volta, però, in chiave giocosa, la sola a lui congeniale, e rimasta incompiuta) gli fu suggerita da quella menziniana.
Il Vezzoso, poemetto eroicomico in ottava rima del quale compose solo quattro canti, costituisce invece la propaggine di un gusto letterario ancora vivo nel Granducato tra Sei e Settecento, e che da ultimo aveva prodotto La presa di San Miniato di Ippolito Neri. Il poemetto di Saccenti narrava il conflitto tra Strognano e Azio, antichi castelli del territorio di Cerreto e, come da tradizione, era intessuto di riferimenti alla realtà paesana e ai personaggi del luogo.
Morì il 22 gennaio 1749 a Cerreto nella stessa casa dove ebbe i natali, come ricorda una lapide commemorativa apposta sulla facciata nel 1881.
Non si hanno notizie circa la trasmissione delle carte del poeta, la cui produzione giunse a stampa solo dopo la sua morte. Quattro capitoli ternari comparvero nel 1755 sul Magazzino toscano d’instruzione e di piacere, periodico livornese impresso dai torchi di Antonio Santini e compagni, i cui promotori, in stretti rapporti con gli ambienti letterari fiorentini, costituivano la locale colonia della Società Colombaria. L’auspicio da loro espresso in questa occasione, di vedere finalmente raccolte e pubblicate le rime di Saccenti, si realizzò qualche anno dopo, nel 1761, quando vide la luce, ancora a Livorno, ma sotto falso luogo di Rovereto e senza indicazione del tipografo, la Raccolta delle rime piacevoli di Giovan Santi Saccenti da Cerreto, in due tomi. Vi erano pubblicati, complessivamente, 40 capitoli e 61 sonetti, nonché Il Vezzoso. Una seconda edizione in due tomi, «corretta ed accresciuta di altre rime» (soprattutto di sonetti), anch’essa livornese benché recasse come luogo di stampa Cerreto Guidi, e sulla quale furono esemplate tutte le successive, comparve nel 1781 sotto il titolo Le rime di Giovan Santi Saccenti da Cerreto Guidi Accademico Sepolto. I testi, ai quali viene ad aggiungersi l’incompiuta Arte poetica in terzine, sono qui per la prima volta corredati delle note di U. P. D. C. (Un Prete Di Cerreto), ovvero il figlio dell’autore, Anton Nicola, parroco di Camugliano. Una terza edizione, probabilmente la prima fiorentina, ma che reca ancora come luogo di stampa Cerreto Guidi, si ebbe nel 1789, e sempre a Firenze le Rime comparvero di nuovo a stampa nel 1808, 1825, 1830 e 1845. Costituisce un episodio isolato di fortuna novecentesca la riproposizione, nel 1980, del Vezzoso e ventotto sonetti.
La pubblicazione delle Rime piacevoli ricevette una pessima accoglienza da parte di Giuseppe Baretti, che sulla Frusta letteraria definì l’autore «un berniescaccio bastardo» (Baretti, 15 gennaio 1764), tralignante affatto dall’esempio del maestro, perché privo della sua naturalezza e altrettanto privo del bell’ingegno (l’ésprit dei francesi e il wit degli inglesi) necessario a questo genere di poesia. Baretti vedeva in Saccenti un imitatore dello stile di un altro poeta faceto toscano a lui insopportabile, l’«insulsamente facile» (ibid.) Giambattista Fagiuoli. A chi invece, come il fiorentino Giuseppe Pelli Bencivenni (1784), non disdegnava l’ostentata toscanità dell’autore delle Rime piacevoli, Saccenti parve «spesse volte tanto facile quanto Giovanni Battista Fagiuoli ma più spiritoso, ed egualmente ameno, e divertente» (p. 2121v).
Opere. Magazzino toscano d’instruzione e di piacere, 1755, 2, pp. 282-286, 321-327, 369-374, 419-424; Raccolta delle rime piacevoli di Giovan Santi Saccenti da Cerreto. Non mai per avanti pubblicate, in Roveredo 1761; Le Rime di Giovan Santi Saccenti da Cerreto Guidi Accademico Sepolto. Edizione seconda Accresciuta, e Corretta. Con le Note di U. P. D. C., in Cerreto Guidi 1781; Le Rime di Giovan Santi Saccenti da Cerreto Guidi Accademico Sepolto. Con le Note di U. P. D. C. Edizione terza corretta ed accresciuta di altre rime finora inedite, in Cerreto Guidi 1789; Le Rime di Giovan Santi Saccenti da Cerreto Guidi Accademico Sepolto con le note di U. P. D. C. Prima edizione fiorentina corretta ed accresciuta di altre rime finora inedite, Firenze 1808; Rime di Giovan Santi Saccenti da Cerreto Guidi Accademico Sepolto con le note di U. P. D. C. Edizione corretta ed accresciuta di altre Rime finora inedite, Firenze 1825; Rime di Giovan Santi Saccenti da Cerreto Guidi Accademico Sepolto con le note di U. P. D. C. Edizione corretta ed accresciuta di altre rime dei più celebri autori, Firenze 1830; Rime di Giovan Santi Saccenti da Cerreto Guidi Accademico Sepolto con le note di U. P. D. C., Firenze 1845; Il Vezzoso e ventotto sonetti, illustrazioni di A. Possenti, Pisa 1980.
Fonti e Bibl.: G. Baretti, La Frusta letteraria, n. VIII, 15 gennaio 1764; G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, s. 2, vol. XII, p. 2121v (12 gennaio 1784), edite on-line: http://pelli.bncf.firenze.sbn.it/ it/progetto.html (16 maggio 2017); P. Sanguinetti, Un poète bernesque au XVIIIe siècle, S. Giovanni Valdarno 1892; E. Bertana, Il Parini tra i poeti giocosi del Settecento, in Giornale storico della letteratura italiana, suppl. 1, 1898, pp. 1-81, passim; P. Minucci Del Rosso, Notaro e poeta (G.S. S.), in La Rassegna Nazionale, XXI (1899), pp. 452-473; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 661, 663, 759; G. Barberi Squarotti, voce S., G.S. in Grande Dizionario Enciclopedico, XVI, Torino 1971; E. Fasano Guarini, Lo Stato mediceo di Cosimo I, Firenze 1973; G.S. Saccenti, Il “Sere”. Monografia sul poeta bernesco G.S. S. da Cerreto Guidi, Roma 1973; G. Micheli - G. Pezzatini, G.S. S. uomo, poeta e notaio nella Toscana Granducale, Stabbia di Cerreto Guidi 1987; G. Nicoletti, Firenze e il Granducato di Toscana, in Letteratura italiana. Storia e geografia, II, 2, L’età moderna, Torino 1988, pp. 745-821; E. Gremigni, Periodici e almanacchi livornesi. Secoli XVII-XVIII, Livorno 1996.