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GIOVANNA I d'Angiò, regina di Napoli

di Romolo CAGGESE - Enciclopedia Italiana (1933)
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GIOVANNA I d'Angiò, regina di Napoli

Romolo CAGGESE

Figlia di Carlo duca di Calabria (morto il 9 novembre 1328) e di Maria di Valois, nacque nel 1326, quando al padre, unico figlio superstite di Roberto d'Angiò, era stata offerta la signoria di Firenze e pareva si schiudesse un luminoso avvenire. Morto il duca di Calabria e premortogli l'unico maschio nato dal matrimonio con la Valois, Martino (21 aprile 1325), G. divenne l'erede della corona angioina. Re Roberto la proclamò solennemente principessa ereditaria il 4 novembre 1330 (la minore sorella di lei, Maria, le sarebbe succeduta solo nel caso che ella fosse morta senza eredi maschi) e pensò di darla in moglie ad Andrea, secondogenito del re Caroberto d'Ungheria, e non al primogenito, per impedire che la corona di Sicilia e quella d'Ungheria fossero un giorno riunite. Il papa Giovanni XXII concesse, il 16 giugno 1332, la necessaria dispensa, e a fine settembre 1333, nella reggia di Castelnuovo a Napoli, i due promessi - al cospetto di una grande folla d'illustri personaggi - si scambiarono il bacio rituale. G. aveva sette anni circa e sei ne aveva Andrea. Dal '33 al '42 Andrea fu educato in Castelnuovo e si adattò all'idea di diventare marito di G.; ma all'occhio di re Roberto non poté sfuggire che nessuna vera simpatia legava i due giovani. Il matrimonio, secondo quanto si può dedurre da un documento robertiano del 14 agosto 1342, pare sia stato consumato poco dopo la morte del re, avvenuta il 19 gennaio '43. Il testamento di Roberto stabiliva che un consiglio di reggenza avrebbe amministrato lo stato fino al 25° anno della regina; ma, in realtà, dal giorno stesso della morte del re incominciò quella crisi funesta che - fatta eccezione del breve regno di Ladislao - sarebbe finita solo con la fine della dinastia.

lnfatti, Carlo di Durazzo nel marzo 1343, ad ispirazione della madre Agnese di Périgord, vedova del duca Giovanni di Durazzo, fratello di Roberto, rapì Maria, quindicenne appena, e la sposò solo il 21 aprile di quell'anno. Pareva ad Agnese che il trono fosse, così, più vicino. Il gesto audace spinse la vedova del principe di Taranto, Filippo, altro fratello di Roberto, la non meno abile e poco scrupolosa Caterina de Courtenay (da anni amica riamata di Niccolò Acciaiuoli), a tramare una tela di intrighi a corte, servendosi di Filippa la Catanese di cui parla il Boccaccio, governante ed intima di G., e di quanti odiavano Andrea, il suo temperamento, il suo seguito variopinto che tanto poca fiducia ispirò al Petrarca.

Intanto Clemente VI, invocando il diritto feudale, mandò a Napoli, a far da governatore e tutore, fino alla maggiore età della regina, il cardinale Amerigo de Châlus (23 gennaio 1344); ma il 28 agosto dello stesso anno - giorno in cui avvenne nella chiesa di S. Chiara la solenne incoronazione di G. - il cardinale fu richiamato e la regina incominciò a governare da sola non volendo mai, nonostante gli sforzi del re d'Ungheria, Luigi, fratello di Andrea, che il marito fosse cinto della corona regia. Il papa però non poté resistere alle pressioni di Luigi d'Ungheria, e il 30 gennaio 1345 fece sapere a G. che l'incoronazione di Andrea non poteva essere più oltre differita. La regina si piegò alla volontà del papa, e decise che la cerimonia si sarebbe svolta nel prossimo settembre.

Invece, il 18 settembre, nel castello reale di Aversa, una congiura, di cui facevano parte la Filippa, Carlo e Bertrando d'Artois, Corrado di Catanzaro, Roberto de Cabannis, gran siniscalco del regno, Raimondo di Catania e qualche altro (non senza l'intesa della casa tarantina), riuscì a spegnere Andrea. Strangolato, fu gettato dalle mura del castello nel sottostante giardino, mentre - come dice Domenico di Gravina - G. era a letto fingendo di dormire. Andrea era stato tratto fuori con un pretesto, seminudo, proprio dalla camera nuziale.

Inseguita dalla paura, e, forse, dal rimorso di non aver fatto nulla per scongiurare la tragedia, ella corse a Napoli, si chiuse in Castelnuovo e non si fece vedere se non dopo che, la notte di Natale (1345) ebbe dato alla luce un figlio, Carlo Martello, a cui il papa molto volentieri fece da padrino. Impossibile, comunque, che il re d'Ungheria e la corte avignonese dimenticassero la tragedia di Aversa; e la regina per placare il papa e il re ungherese e la stessa pubblica opinione napoletana, abbandonò alla giustizia Filippa, sua figlia Sancia, Roberto de Cabannis e qualche altro complice minore, e credette di potersi dare all'amore di Roberto di Taranto liberamente. Bella, ardente, generosa, e senza freni morali, G. non diede molto peso all'incarico che il papa aveva affidato in quei mesi (novembre 1346) al cardinale Bertrando de Deux di fare una rigorosa inchiesta, anche contro la regina; e, intanto, stancatasi improvvisamente di Roberto di Taranto, s'innamorò del fratello di lui, Luigi o Ludovico, proprio quando scompariva una delle figure di più alto rilievo e più adombrata di sospetti della tragedia del 18 settembre, Caterina de Courtenay (morta il 20 settembre 1346). Da parte sua, Nicolò Acciaiuoli fece tutto il possibile per favorire il matrimonio tra G. e Luigi di Taranto, e riuscì ad ottenere che esso fosse celebrato con estrema sollecitudine, senza neppure l'esplicito consenso del papa, il 22 agosto '47. Ciò fece precipitare gli avvenimenti: Carlo di Durazzo, in odio alla casa tarantina, volle il fidanzamento di Carlo Martello, figlio di G., che aveva 20 mesi, con una sua figlioletta di pari età; e Luigi d'Ungheria invase il regno. La regina, spaventata, s'imbarcò per la Provenza il 15 gennaio 1348, e si difese davanti al collegio dei cardinali tanto abilmente che la sua innocenza fu proclamata con la necessaria solennità. A Napoli il re d'Ungheria faceva decapitare Carlo di Durazzo, sottoponeva non pochi baroni a crudeli tormenti e deportava in Ungheria alcuni principi reali. Naturalmente la nobiltà si ribellò (giugno '48); e G., venduta, per 80.000 fiorini d'oro la città di Avignone al papa, ritornava nel regno quando ne usciva Luigi d'Ungheria. Arrivò a Napoli, festante, il 17 agosto '48, e pareva che la pace dovesse finalmente risplendere. Ma, pochi mesi dopo la morte del fanciullino Carlo Martello, ecc. nel '50 un'altra invasione ungherese, un nuovo processo contro G., ad Avignone, e una nuova assoluzione, ragionevole quanto opportuna. La pace definitiva fu firmata il 14 gennaio 1352. I principi angioini prigionieri in Ungheria ritornarono a Napoli, ma si diedero subito a un giuoco pericoloso: non riconoscere, e quindi offendere ogni giorno, l'autorità di G. e di Luigi. Nuove tragedie e nuovi disordini, ai quali contribuì potentemente la morte, in ancor giovine età, di Luigi di Taranto (26 maggio 1362), dopo lunghi e insanabili dissidî con la regina, il cui amore pareva dovesse durare eternamente. Ella era stata, un giorno, costretta a dichiarare pazzo il marito, in una singolarissima lettera al papa (1348). L'unica figlia nata dalla loro unione, Francesca, era morta nel 1352. In terze nozze G. sposò Giacomo III di Maiorca, credendo di averne amore e difesa (14 dicembre '62), e invece, poco dopo, il principe consorte se ne partì per la riconquista degli aviti dominî, si fece vedere ancora una volta, nel '66, e poi se ne andò per non ritornare mai più a Napoli. Morì ai primi del 1375. Durante gli anni di sì strano matrimonio, G. vide scomparire l'Acciaiuoli l'8 novembre '65, e la desolata sorella Maria il 20 maggio 1366, e assistette al flagello della peste e alle minacciose visioni di S. Brigida, venuta a Napoli dal nord d'Europa (1372). Il 25 marzo 1375 quarte nozze della regina inquieta: il nuovo marito era un uomo d'arme, ritenuto capace di difendere il regno, Ottone di Brunswick; ma la sperata difesa non fu possibile. Tre anni dopo, con l'inizio dello scisma d'occidente, si iniziò anche la rovina di G. In realtà, contro l'elezione dell'arcivescovo di Bari, il napoletano Bartolomeo Prignano, che prese il nome di Urbano VI (17 aprile 1378), un gruppo di cardinali dissidenti eleggeva proprio a Fondi e alla presenza di Ottone di Brunswick, il cardinale Roberto di Ginevra (29 settembre '78) che si chiamò Clemente VII. Di qui la scomunica di G. (21 aprile '80); di qui la marcia di Carlo di Durazzo (III), d'accordo col papa Urbano VI e col re d'Ungheria, contro il regno; di qui la scelta che, atterrita dagli avvenimenti, G. fece di un erede al trono nella persona di Luigi d'Angiò, fratello del re di Francia, Carlo V (29 giugno 1380). Tutto fu inutile; pochi mesi dopo Urbano VI incoronava Carlo di Durazzo (2 giugno 1382); Luigi d'Angiò non si poté muovere dalla Francia per la morte del fratello, e Ottone di Brunswick non poté difendere come avrebbe voluto la moglie e la regina contro le truppe di Carlo di Durazzo. Il 16 luglio '81, Carlo era a Napoli. G. veniva chiusa in Castelnuovo fino al 2 settembre, e poi tradotta al castello di Muro della Lucania: Ottone era imprigionato ad Altamura. Che fare di una regina prigioniera? Per consiglio del re d'Ungheria, re Carlo la fece morire, (soffocata o strangolata) il 22 maggio 1382, dandole sepoltura in S. Chiara accanto alla tomba del padre. Il 12 settembre moriva Luigi d'Ungheria, e così i personaggi del dramma che era durato 37 anni, scomparivano dalla scena del mondo. La Sicilia aveva intanto, fin dal 1371, ottenuto non solo la pacificazione con Napoli ma il riconoscimento della tanto agognata e tanto difesa indipendenza, poiché G. aveva riconosciuto Federico III legittimo re dell'isola, rinunziando al titolo che essa aveva tenuto fino allora di regina di Sicilia e alla prosecuzione della politica tradizionale angioina dal 1282 in poi; così con l'adesione del papa Gregorio XI (27 agosto 1372), aveva definitivamente chiusa la questione siciciliana (31 marzo 1373). Il baronaggio era in tumulto, la miseria della plebe era incredibile, non più a lungo sostenibile l'organismo statale che era stato fondato da Carlo I e in seguito fortificato da Carlo II e da Roberto.

Bibl.: v. giovanna ii d'angiò.

Vedi anche
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