GIOVANNI Afflacio
La sua identità è ancora oggetto di discussione: è indicato come discepolo di Costantino Africano e autore di opere mediche nell'importante manoscritto, ora perduto, contenente testi della scuola medica salernitana scoperto da A.W. Henschel nel 1837 (cfr. P.O. Kristeller, Iter Italicum, IV, p. 430b).
Tale manoscritto è l'unica fonte che menziona il medico G. con l'appellativo di Afflacio, derivante forse dall'arabo Yaḥya ibn ‛Aflah. Altre fonti tramandano invece notizie di un Giovanni discepolo di Costantino Africano senza alcun ulteriore appellativo. Si tratta delle dediche di alcune opere e traduzioni dall'arabo dello stesso Costantino Africano (Liber de medicamine oculorum, le cui nozioni Costantino trasse dagli scritti del medico arabo Ḥunayn ibn Isḥāq al-‛Ibādī; Liber febrium e Liber urinae, traduzioni dei trattati di Isaac Iudaeus; Megategni, traduzione di un rifacimento arabo da Galeno) e della testimonianza di Pietro Diacono nel De viris illustribus Casinensis coenobii: "Ioannes medicus, supradicti Constantini Africani discipulus et casinensis monachus, vir in fisica arte dissertissimus ac eruditissimus, post Constantini, magistri sui, transitum Aforismum edidit fisicis satis necessarium. Fuit autem sub supradictis imperatoribus. Obiit autem aput Neapolim, ubi et omnes libros Constantini, magistri sui, reliquit".
Dall'appartenenza alla scuola cassinese di Costantino Africano e dall'ulteriore testimonianza contenuta nella Chronica monasterii Casinensis, nella quale, in un inventario del tesoro dell'abbazia compiuto alla morte dell'abate Desiderio (1087), si fa riferimento a una "planeta Johannis medici", si è dedotto che il medico Giovanni, identificato con il G. del manoscritto scoperto da Henschel, visse nell'XI secolo, probabilmente fra il 1040-50 e il 1110-20, e che soggiornò presso l'abbazia di Montecassino.
Inoltre, da quando V. Rose ha studiato il manoscritto Lat. fol. 74 della Staatsbibliothek di Berlino, del XII secolo, nel quale un Giovanni, menzionato come Giovanni Saraceno, discepolo di Costantino Africano, dichiarava la propria origine araba, costui, G. e il Giovanni monaco benedettino sono stati ritenuti lo stesso personaggio. La medesima fonte riporta che Giovanni Saraceno, all'epoca di una spedizione pisana contro l'isola di Maiorca (allora in mano saracena), alla quale avrebbe partecipato in gioventù, avrebbe terminato la traduzione della Practica del Pantegni di Costantino Africano, basato sul lavoro di 'Alī ibn al-'Abbās al-Maǧūsī. Rose ritenne che l'avvenimento fosse da collocare nel primo quarto del XII secolo, quando la flotta pisana era alleata del conte catalano Berenguer, fra il 1113 e il 1115. Questa data è però troppo tarda rispetto alle date di riferimento della biografia di Giovanni Afflacio. La spedizione cui Giovanni Saraceno avrebbe preso parte dovrebbe quindi essere avvenuta in un periodo non posteriore al 1090. Di una operazione militare pisana avvenuta in questa data, tuttavia, non vi è alcuna traccia nelle fonti storiche.
Secondo la prefazione del Liber febrium di Costantino Africano, lo stesso Costantino istruì G. nell'arte medica, e sarebbe stato lo stesso G. ad aver chiesto al maestro di scrivere un libro sulle febbri. Ancora grazie a Costantino Africano e al lavoro di traduzione svolto insieme con lui, G. apprese il latino.
G. deve avere esercitato a lungo la professione di medico in Salerno. In favore di ciò sta il fatto che le sue opere sono registrate nel corpus degli scritti dei medici della scuola salernitana, ovvero nel codice scoperto da Henschel. Inoltre, in un documento dell'Archivio della Badia di Cava de' Tirreni si segnala che uno Iohannes, identificato con G., possedeva presso Salerno un appezzamento di terra ancora nel 1103. Si può considerare probabile che il trasferimento e il soggiorno a Salerno seguirono di qualche tempo la morte di Costantino Africano (avvenuta, con una certa approssimazione, tra il 1085 e il 1087), concludendosi, dopo 15-20 anni, successivamente al 1103.
Intorno al 1105 o poco più tardi G. si ritirò a Montecassino, ormai sessantenne. Per quanto tempo abbia lavorato nel monastero cassinese non si sa con certezza.
G. morì nel secondo o terzo decennio del XII secolo a Napoli, probabilmente presso il convento benedettino di S. Severino.
Nel suo periodo napoletano egli non fu solo un semplice monaco, dato che la sua biografia venne inserita nel De viris illustribus di Pietro Diacono, che lo indica come autore di un'opera di medicina pratica intitolata Aforismus fisicis satis necessarius, e come editore delle opere del suo maestro Costantino.
Alcuni altri studiosi, tra i quali il De Renzi, hanno tuttavia rifiutato l'identificazione di G. con il Giovanni monaco benedettino e con il Giovanni Saraceno e hanno ritenuto, con maggiore attinenza e attenzione alle fonti, che solo il Giovanni menzionato nella traduzione galenica possa essere identificato con Giovanni Saraceno. Questi, infatti, avendo terminato la traduzione del Pantegni di Costantino, conosceva di fatto l'arabo e non vi era, dunque, motivo per Costantino di fornire al suo discepolo una traduzione del libro di Isaac Israeli sulle febbri. Al contrario, qualora si identificasse solo il Giovanni cui è dedicato il libro sulle febbri di Isaac Israeli con Giovanni monaco benedettino e quest'ultimo con G., la traduzione risulterebbe essere il semplice mezzo col quale il maestro intendeva migliorare le conoscenze del suo allievo; infatti, non vi è alcuna fonte che menziona la conoscenza della lingua araba da parte di Giovanni Afflacio.
Meglio si conosce l'attività scientifica di G. grazie al manoscritto scoperto da Henschel nel quale sono presenti tre trattati attribuiti a G.: Curae Iohannis Afflacii discipuli Constantini de febribus, e Liber urinarum magistri Iohannis Afflacii; anche nel Tractatus de aegritudinum curatione si trovano alcune parti attribuite a Giovanni Afflacio. Il Liber urinarum di G. corrisponde al Liber de urinis compendiosus sed multa bona complectens edito fra le opere di Costantino Africano.
Il secondo trattato, incentrato sulle febbri, è un affresco storico delle teorie piretologiche della scuola salernitana; in esso si riportano, interposti agli articoli di G., quelli di altri due medici, Petronio e Bartolomeo, e si presenta un confronto fra le opinioni dei tre maestri sulla causa, i segni e la cura delle febbri. La piretologia di G. ritorna anche nel De aegritudinum curatione. Questo trattato è diviso in due diverse sezioni: la prima, più breve, tratta delle malattie generali che affliggono l'intero organismo, fra cui sono annoverate principalmente le febbri; la seconda, più lunga, si occupa delle affezioni locali secondo la tradizionale scansione dalla testa ai piedi e riporta la patologia e la terapia di ben 173 malattie. La prima sezione è opera di un solo autore che, però, resta anonimo. La seconda parte, invece, risulta composta dalla giustapposizione, sempre nel medesimo ordine, dei lavori di sette differenti autori.
Anche questo trattato è stato considerato un lavoro di Costantino Africano, pur se alcuni capitoli presentano differenze rispetto alle edizioni costantiniane.
Nel codice scoperto da Henschel, inoltre, si indica G. come autore di un Liber aureus, contenente i trattati sulle urine, quello sulle febbri e il De aegritudinum curatione. Tutti gli scritti di G. contenuti nel codice sono stati a lungo attribuiti a Costantino Africano e sono stati pubblicati nella prima edizione delle sue opere complete (Constantini Africani… Opera, Basileae 1539). Il Liber aureus non è stato compreso da Pietro Diacono fra i lavori di Costantino; al contrario, un manoscritto oxoniense indica proprio un Giovanni figlio di Costantino come autore di questo libro. Un errore dei copisti potrebbe essere all'origine della confusione fra le opere dei due medici salernitani, dato che l'eredità scientifica di Costantino passò a G., grazie al quale l'opera costantiniana giunse alla notorietà. Inoltre, il fatto che il codice scoperto da Henschel, fra i più antichi compendi di medicina salernitana, riporti sotto il nome di G. l'intera materia del Liber aureus, conferma che l'attribuzione a Costantino è da addebitarsi ai curatori dell'edizione di Basilea.
La traduzione del capitolo dedicato alla passione amorosa dello Zād al-musāfir, del medico arabo Abū Ǧa‛far Aḥmed ibn Ibrāhīm ibn abī al-Ǧazzār, tradotto da Costantino Africano come Viaticum, il Liber de heros morbo o Liber heroice passionis, è stata di recente attribuita a G. sulla base di considerazioni stilistiche; il testo è stato edito in Wack, pp. 326-328.
Fonti e Bibl.: Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffmann, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXXIV, Hannoverae 1980, p. 456; Petrus Diaconus, De viris illustribus Casinensis coenobii, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CLXXIII, col. 1042; S. De Renzi, Collectio Salernitana, I, Napoli 1852, pp. 174-180; II, ibid. 1853, pp. 7, 16, 41-43, 45, 47 s., 51-56, 58-65, 81-386; III, ibid. 1854, p. 328; Id., Storia documentata della scuola medica di Salerno, Napoli 1857, pp. 229-235; V. Rose, Die Handschriften-Verzeichnisse der Königlichen Bibliothek zu Berlin, XII, Verzeichniss der lateinischen Handschriften, II, 3, Berlin 1905, pp. 1061-1064; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, I, London-New York 1923, pp. 748, 758; R. Creutz, Der cassinese Johannes Afflacius Saracenus, ein Arzt aus "Hochsalerno", in Studien und Mitteilungen zur Geschichte des Benedektinerordens, XLVIII (1930), pp. 301-324; Id., Additamenta zu Konstantinus Africanus und seinen Schülern Johannes und Atto, ibid., L (1932), pp. 424, 426-428; H. Lehmann, Die Arbeitsweise des Constantinus Africanus und des Johannes Afflacius im Verhältnis zueinander, in Archeion, XII (1939), pp. 272-281; F. Gabrielli, La cultura araba e la scuola medica salernitana, in Rivista di studi salernitani, I (1968), p. 18; V. von Falkenhausen, Costantino Africano, in Diz. biogr. degli Italiani, XXX, Roma 1984, pp. 320-324; H. Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, Roma 1986, ad indicem; P.O. Kristeller, Studi sulla scuola medica salernitana, Napoli 1986, pp. 33, 36 s.; M. Wack, The "Liber de heros morbo" of Johannes Afflacius and its implications for Medieval love conventions, in Speculum, LXII (1987), pp. 324-344; Constantine the African and 'Alī ibn al-'Abbās al-Maǧūsī. The "Pantegni" and related texts, a cura di Ch. Burnett - D. Jacquart, Leiden-New York-Köln 1994, ad indicem.
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