Agnelli, Giovanni
Storia di un grande industriale italiano
Fondatore e guida della prima e più grande casa automobilistica italiana, la Fiat, Giovanni Agnelli seppe organizzarla secondo i più avanzati metodi di produzione dell'epoca. Riuscì sempre nel non facile compito di destreggiarsi fra l'interesse dell'imprenditore, quello delle maestranze e quello dello Stato, lasciando ai suoi successori un'industria forte e in espansione.
Nato nel 1866 a Villar Perosa, presso Torino, Giovanni Agnelli proveniva da una famiglia di facoltosi possidenti agricoli. Nel 1899 fu tra i fondatori della Fiat (Fabbrica italiana automobili Torino), di cui divenne in breve tempo il massimo dirigente. In questa veste, volle organizzare la casa automobilistica sulla base dei principi del taylorismo (il metodo elaborato dall'ingegnere americano F.W. Taylor per ottimizzare i tempi e gli spazi nel lavoro di fabbrica) e in tale prospettiva fece introdurre nel 1912 le prime catene di montaggio.
Affrontò le rivendicazioni sindacali secondo le direttive del governo di Giovanni Giolitti, accettando mediazioni e concessioni. Durante la spedizione militare in Libia la Fiat offrì allo Stato italiano forniture per l'esercito in una situazione di monopolio quasi assoluto. Tuttavia, mentre nel mondo industriale cresceva il fronte politico nazionalista, Agnelli preferì non esporsi apertamente, e ancora alla vigilia dell'intervento nella Prima guerra mondiale l'azienda non aveva rivendicato una posizione di primo piano nella preparazione bellica del paese. In realtà, già da tempo Agnelli aveva intrecciato uno stretto legame tra la Fiat e le istituzioni nazionali, indirizzando la produzione verso settori coperti dalla domanda dell'amministrazione pubblica. Questa linea consentì dunque un avvicinamento graduale alle posizioni interventiste, per giungere infine a un'intensa attività produttiva di carattere bellico a partire dalla metà del 1915.
Nel 1920, di fronte all'occupazione delle fabbriche, Agnelli sposò nuovamente la politica giolittiana, concedendo agli operai alcuni vantaggi economici. Superata l'emergenza riorganizzò il gruppo dirigente dell'azienda insieme a Vittorio Valletta, destinato a diventare uno dei protagonisti della storia della Fiat. Nel frattempo, tra il 1917 e il 1921, era stato realizzato a Torino un imponente stabilimento sul modello di quelli americani, il Lingotto, la cui struttura architettonica, con i cinque piani sui quali si svolgeva la lavorazione automobilistica, favoriva l'articolazione e l'integrazione razionale della produzione.
Di fronte all'avanzata politica del fascismo, fino alla formazione del governo Mussolini nel 1922, la posizione di Agnelli fu nuovamente contrassegnata da cautela, ma in seguito i rapporti tra la Fiat e il regime si strinsero. Nel marzo del 1923 Agnelli venne nominato senatore del Regno. A partire dal 1929, inoltre, il governo provvide a sottrarre la Fiat agli effetti più gravi della crisi economica mondiale, concedendo al gruppo torinese un monopolio protetto. Nel 1939, alla presenza di Mussolini, venne inaugurato il nuovo immenso stabilimento di Mirafiori, costruito su un'area di oltre un milione di metri quadrati. Ben presto, però, i rapporti tra Fiat e regime iniziarono a incrinarsi a causa del gravare delle pesanti imposte dovute alle ambizioni belliche del governo fascista.
Nel corso della Seconda guerra mondiale, i bombardamenti dell'autunno-inverno del 1942 provocarono gravi danni alla Fiat e segnarono la svolta finale nell'atteggiamento di Agnelli, il quale diede il proprio sostegno al colpo di Stato del 25 luglio 1943. Negli ultimi mesi di guerra concesse inoltre sovvenzioni al movimento partigiano e stabilì rapporti economici con gli anglo-americani. Dopo la fine della guerra Agnelli, colpito dalle epurazioni del Comitato di liberazione nazionale, riuscì a riabilitarsi facendo valere le proprie benemerenze antifasciste. Morì il 16 dicembre del 1945. Le redini della Fiat passarono a Valletta, per poi tornare nel 1966 nelle mani della famiglia con Gianni Agnelli, nipote del fondatore.