GRADENIGO, Giovanni Agostino (al secolo Filippo)
Nacque a Venezia il 10 luglio 1725, dal ramo della famiglia patrizia di S. Giustina, secondogenito del matrimonio, celebrato nel gennaio 1719, tra Gerolamo (1698-1782) di Giacomo con Cecilia Molin di Filippo. Il padre ricoprì numerosi e importanti incarichi amministrativi e politici per la Serenissima ed ebbe, oltre al G., altri cinque figli: il primogenito Giacomo (1721-96), poi erede universale del G.; Tadio, morto a un anno di età; Giovanni Battista (1733-93); Marco (1736-90) e Teresa, data in sposa a Cristoforo Valier nel 1758.
Il G. fu iscritto al patriziato veneziano il 21 luglio 1725 con il nome di Filippo. Sin dall'infanzia manifestò una naturale predisposizione agli studi, sfortunatamente associata a una fragile tempra fisica. A 15 anni fu colpito da una grave forma di scoliosi - che ne alterò definitivamente la normale postura - e da un'asma bronchiale poi cronicizzata. Quindi, per volere della famiglia o libera scelta, intraprese la carriera ecclesiastica; il 19 marzo 1744 divenne monaco benedettino cassinese, con il nome di Giovanni Agostino, nel monastero di S. Giorgio Maggiore di Venezia. Qui completò con grande impegno la formazione ecclesiastica (nel 1748 fu approvato presbitero) e culturale (fu scelto quale lettore di filosofia, diritto canonico e teologia); per le indubbie qualità l'anno seguente divenne professore di morale e in seguito anche di filosofia. Ma disaccordi di contenuto etico-filosofico con l'allora abate di S. Giorgio lo portarono ad abbandonare la nativa Venezia per il monastero di S. Benedetto di Polirone, nel Mantovano, ove insegnò diritto canonico e fu custode della Libreria e dell'Archivio; questi incarichi gli permisero di ampliare ulteriormente le già vaste conoscenze storiche, approfondendo soprattutto la diplomatica. Ma il G. non si sottrasse ad attività più propriamente religiose, come la confessione e l'educazione di secolari e conversi e la sovrintendenza dell'infermeria del convento.
Divenuto abate di S. Giorgio Maggiore don Giorgio Tiera, suo maestro durante il noviziato, nel 1756 il G. fu richiamato a Venezia, con gli onori dovuti alla sua profonda e vasta cultura. Gli fu subito affidata la cura del prezioso archivio e dell'insigne libreria del monastero, alla cui catalogazione e conservazione si applicò con la perizia e la dedizione che gli erano innate.
Frutto di questi anni di studio furono numerosi e dotti saggi: Sopra un documento del 1404 intorno Giovanni Querini, arcidiacono di Torcello Venezia 1757; Calendario Polironiano del XII secolo, ibid. 1759; Due lettere di Dorasio accademico Agiato, nella prima delle quali si prova l'uso dei monasteri doppi in Venezia; nella seconda si dimostra che li conti che dominavano Padova nel XI secolo, erano della famiglia Candiana de' dogi di Venezia, ibid. 1760; Vita del venerabile servo di Dio don Giovanni Battista Nani, patrizio veneziano e monaco benedettino casinese di S. Giorgio Maggiore, ibid. 1761. Protagonista nel dibattito erudito del tempo, fraterno amico di storici e letterati veneti ed esteri che sovente gli chiedevano pareri e consigli, il G. si dedicò pure con grande impegno allo studio delle Sacre Scritture ("chiamar soveva la sagra Bibbia il libro suo prediletto": Vianelli, p. 357). Nel 1762 fu promotore e fondatore dell'Accademia di storia ecclesiastica detta dei Concordi, cui furono chiamati a partecipare i più autorevoli studiosi di vari ordini religiosi, convocata mensilmente presso la libreria del convento di S. Francesco della Vigna: "Per impresa aveva le celesti sfere co' varii pianetti, che, secondo il sistema Ptolemaico, vi si aggiravano intorno, col motto: Musice volvuntur" (Battagia, p. 86). Ma l'attività dell'Accademia fu di breve durata, poiché il G., che ne era segretario, mente e animatore, fu nominato vescovo di Chioggia: restano un Catalogo de' fondatori dell'Accademia di storia ecclesiastica in Venezia distribuito per ordine alfabetico de' loro cognomi (Venezia 1762, con sottoscrizione del presidente, il cassinese Giovanni Morosini, e del G., segretario) e la dissertazione del G. Sugli Evangelii e sulle altre opere apocrife che portano il nome di Cristo e degli apostoli (ibid. 1774).
Il 23 sett. 1762 il Senato, dopo la morte del vescovo di Chioggia, Vincenzo Bragadin, elesse a larga maggioranza a succedergli il G., esercitando per la prima volta un privilegio concesso a Venezia da Benedetto XIV; la scelta fu approvata con soddisfazione anche da Clemente XIII, il veneziano Carlo Rezzonico, il quale, dopo avergli consegnato le insegne il 22 novembre, volle personalmente consacrarlo a Roma il 30, giorno di S. Andrea.
Il 6 genn. 1763 il G. prese possesso della diocesi clugiense e il 17 febbraio fu ricevuto in Collegio, dove sedendo alla destra del doge promise di eseguire le "pastorali sue incombenze" ma pure di prestare la "dovuta obbedienza alle Pubbliche leggi". Solo il 24 febbraio fece il solenne ingresso nella cattedrale di Chioggia, alla presenza del capitolo dei canonici e dei diocesani che, in segno di devozione, rispetto e omaggio, gli tributarono un sussidio annuo di 200 ducati d'argento. Il legame spirituale con la nuova sede fu subito intenso e proficuo. Il G. si prodigò per la istituzione del seminario vescovile, alla cui realizzazione monsignor Antonio Grassi (1614-1715) aveva destinato, con lascito testamentario, la cospicua somma di 12.000 ducati, che gli eredi non avevano mai corrisposto. Nel 1763, con una convenzione, egli riuscì a far assegnare non solo quanto già disposto ma ulteriori 6000 ducati a compenso del ritardo; a seguito delle istanze presentate, il consenso del Senato arrivò il 2 genn. 1768, sebbene la legge veneziana sulla manomorta del 20 sett. 1767 avesse dato modo agli eredi Grassi di chiedere l'annullamento del testamento. Ulteriori controversie legate alla facoltà di eleggere i docenti di abaco e di grammatica, nonché alla scelta della sede più adeguata, fecero sì che il G. non poté assistere alla tanto sospirata erezione del seminario, istituito dal successore Giovanni Morosini (vescovo dal 1770 al 1773) nell'ex convento dei domenicani. Con lo stesso fervore il G. si dedicò alla rinascita culturale della città, favorendo l'attività di una neoistituita Accademia di belle lettere che ospitò per anni nel palazzo vescovile, prendendo personalmente parte alle adunanze, con interventi di carattere storico, letterario e teologico. Alcune sue dotte dissertazioni ebbero l'onore delle stampe (Serie de' podestà di Chioggia, Venezia 1767; Dissertazione de' santi fratelli martiri Felice e Fortunato protettori di Chioggia. Colle annotazioni di d. Sante della Valentina, ibid. 1808). Altre rimasero inedite, come le Notizie storiche della chiesa di S. Martin Vescovo, le Notizie storiche della chiesa e del convento de' francescani osservanti (sempre a Chioggia), o in semplice fase di elaborazione come le Antichità de' secoli bassi o in Chioggia trovate, o a essa spettanti, la Biblioteca degli scrittori chioggiotti e la Serie de' vescovi di Chioggia; opere tutte basate su documenti d'archivio che il G. andava con pazienza e competenza raccogliendo. Il Vianelli (p. 364) menziona inoltre un'altra opera a stampa: Notizie istoriche della chiesa e monastero di S. Giovanni Battista de' Camaldolesi in Cal Maggiore fuori di Chioggia.
Attento anche agli aspetti amministrativi ed economici del mandato, egli recuperò il beneficio di S. Marco di Lame, congiunto in perpetuo al capitolo clugiense da Clemente XIII con bolla del 12 maggio 1765, i cui proventi furono equamente distribuiti per le spese delle lezioni di sacra scrittura, per il penitenziere e per le quotidiane distribuzioni ai poveri. L'onore dell'erezione del baldacchino vescovile nella cattedrale, nelle tre chiese della diocesi e nelle altre che sovente egli amò visitare, pratica ormai desueta per ragioni di costi, gli fu riconosciuto dal Senato con "parte" del 10 maggio 1764, su parere favorevole dei consultori in iure della Serenissima.
Tuttavia il G. non fu legato agli aspetti esteriori della carica: un profondo legame spirituale e di amor tenerissimo lo unì alla città, al clero, al popolo. Nel 1765 rifiutò fermamente l'elezione, voluta dallo stesso Clemente XIII, alla cattedra arcivescovile di Corfù (ove fu inviato il carmelitano Paolo Da Ponte), ma il 19 sett. 1768 (tre anni dopo la morte di Lorenzo da Ponte) fu chiamato al vescovado di Ceneda (l'attuale Vittorio Veneto), nel Trevigiano. Malgrado le accorate missive al pontefice ("se veggio le lacrime sugli occhi de' miei Diocesani nel tempo stesso che si rallegrano del mio avvanzamento, conosco ad essi dolorosa la perdita, in me risento amaro il distacco": Vianelli, p. 365) e ancora in una lettera al doge del 30 settembre ("Io non dissimulerò a Vostra Serenità, che nel dovermi rassegnare alle repplicate insinuazioni del Sommo Pontefice provo un gran rammarico per esser costretto distaccarmi da una Diocesi, ch'io amo teneramente, e dove sono amato non meno": ibid., p. 371) il G. dovette lasciare Chioggia e trasferirsi temporaneamente a Ceneda già per il concistoro del settembre 1768.
Al gregge clugiense, laico ed ecclesiastico, lasciò una toccante Lettera pastorale pubblicata nella raccolta Ioh. Augustini Gradonico monaci OrdinisS. Benedicti Cong.nis Casinensis, episcopi Clugiensis nunc Cenetensis, epistalae pastorales et sermones familiares ad clerum et populum Clugiensem. Accedunt quaestiones dogmatico-morales super decalogum propositae et definitae in congregationibus casuum conscientiae coram ipso habitis etc. (Venezia 1770).
Ma, anche in seguito al decreto senatoriale del 14 dic. 1768 che tolse ai vescovi cenedesi il dominio temporale sulla città e sul territorio, che il G. invano tentò di far annullare, egli fece il suo effettivo ingresso nel duomo della diocesi solo il 25 marzo 1770, giorno dell'Annunciazione, dopo il riconoscimento solenne del nuovo incarico da parte del doge e del Pien Collegio (18 genn. 1770); anche nella prima pastorale non riuscì a nascondere il dolore per il precedente distacco. Il clima rarefatto della pedemontana aggravò subito i suoi attacchi d'asma, ma il G. non si sottrasse ai compiti della carica vescovile; fu amato non solo per la chiara fama che lo circondava ma per la santità che traspariva in ogni suo agire, sentitamente descritta dal Doglioni nel suo elogio funebre presso l'Accademia degli Anistamici di Belluno.
Anche a Ceneda il G. si dedicò agli studi umanistici (pubblicando le Rime di monsignor Gabriele Fiamma, Treviso 1771, cui aggiunse la vita dell'autore, e partecipando nello stesso anno alle edizioni mantovane delle opere di Merlino Coccaio, Teofilo Folengo), ad accrescere la sua già nutrita biblioteca, ricca di opere rare e incunaboli, la collezione di monete italiane e veneziane (con la "serie più completa dei coni di Aquileia": Pomian, p. 753), sigilli e bolle papali, medaglie celebrative, reperti archeologici (molti ne aveva già donati al monastero di S. Giorgio Maggiore e a collezionisti veneziani tra cui Giacomo Nani, del ramo di S. Trovaso, beneficiario nel 1768 della stele delle due sorelle Spende ed Euposia, oggi conservata a Berlino), vasi ("ne donò nove, riprodotti dal Grevembroch, al monastero di San Giorgio Maggiore": Collezioni di antichità a Venezia…, p. 133). Ebbe l'onore di vedersi dedicata in vita una medaglia d'argento, coniata a Bologna nel 1771 per celebrare i suoi studi sulle Sacre Scritture, "nel cui diritto vi sta una Bibbia con questo motto: Et. Comedi. Illud. Et. Factum. Est. In. Ore. Meo. Sicut. Mel. Dulce. Ex. C. III. E nel rovescio si legge: Ioh. Augustinus Gradonico. Ep. Cenetensis" (Bernardi, p. 345). Alle monete antiche dedicò l'approfondito Indice delle monete d'Italia raccolte e illustrate da fu monsignor Gianagostino Gradenigo vescovo di Ceneda, che si conservano presso sua eccellenza il signor senatore Jacopo di lui fratello, al presente provveditore generale della Dalmazia e dell'Albania, pubblicato postumo da Guid'Antonio Zanetti nel volume II della Nuova raccolta delle monete e delle zecche d'Italia (Bologna 1779).
Il G. morì a Ceneda alle tre della notte del 16 marzo 1774. Il corpo, imbalsamato, ricevette le esequie solenni il 21 marzo e, ricordato "con orazione latina dall'ab. Giannantonio dott. Corà professore di umane lettere nel Seminario, e con altra italiana del chiarissimo Ex Gesuita Carlo Lotti" (Bernardi, p. 346), fu sepolto nel duomo della città. Anche la diocesi clugiense gli dedicò pubbliche esequie.
I beni e, soprattutto, le collezioni numismatiche del G. passarono al fratello senatore Giacomo (1721-96), anch'egli collezionista e amante dei classici, che le lasciò alla Biblioteca Marciana. Da questa, per disposizioni di legge, passarono al Civico Museo Correr (escluse le monete d'oro, vendute prima del 1800 al barone di Schellersheim, che ne pubblicò un catalogo). Secondo il contemporaneo E.A. Cicogna un'altra parte della raccolta fu ceduta da Vincenzo Piero Gradenigo (1790-1849), erede di Giacomo, al Gabinetto reale di Torino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Libri d'oro, Nascite, XIII, reg. 63, c. 184v; Libri d'oro, Matrimoni, VII, reg. 94, c. 122; Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, c. 98; Segretario alle Voci, Elezioni in Pregadi, reg. 24, c. 153v; Cerimoniali, regg. IV, c. 239v; V, c. 10v; Inquisitori di Stato, b. 875 (1768-69: relazione del G. intorno alla giurisdizione di Ceneda); Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. X, 155 (= 6614), G.A. Gradenigo, Lettere varie erudite; X, 157 (= 6953); X, 298 (= 6667), passim (lettere); G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno alla vita degli scrittori viniziani, II, Venezia 1754, p. 576; G.B. Modolini, Gratulatio ad Iohannem G. p.v. monachum Casinensem, a Clugiensi ad Cenetensem episcopatum translatum. Hieronymo Gradonico senatori ampliss. et parenti optime merito dicata Ceneda, Cagnani 1770; C. Lotti, Orazione in morte di s.e. rev. mons. Giannagostino G. fu vescovo di Ceneda, Padova 1774; L. Graziani, Elegia in obitum Ioh. Augustini Gradonici episc. Cenet., s.l. 1774; L. Doglioni, Elogio storico di mons. Giannagostino G. vescovo di Ceneda, s.l. 1774; Due lettere di Dorasio accademico Agiato al chiarissimo ab. Giovanni Brinacci, Venezia 1782 (lettere del G.); Lettere erudite di Giannagostino G. vescovo che fu di Chioggia pubblicate nell'ingresso di mons. Antonio Maria dott. Calcagno nell'arcipretura della cattedrale di Chioggia, Venezia 1830; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 297, 301, 306, 378; V, ibid. 1842, p. 420; VI, ibid. 1853, parte I, p. 574; J. Bernardi, Serie de' vescovi di Ceneda e cenni storici dell'ecclesiastico e civile reggimento, s.l. né d. (ma fine sec. XVIII), pp. 338-347; G. Vianelli, Nuova serie de' vescovi di Malamocco e di Chioggia, Venezia 1790, II, pp. 356-371; G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII sino a' nostri giorni, Venezia 1806, I, pp. 17-19; II, p. 89; III, pp. 40 s.; IV, p. 5; Id., Vite di tre personaggi illustri della famiglia Gradenigo benemeriti della letteratura nel secolo XVIII, Venezia 1809, pp. 57-61; M. Battagia, Delle accademie veneziane, dissertazione storica, Venezia 1826, pp. 86 s.; G.M. Galeotti, Rime, Verona 1836, pp. 36-38; E.A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 53, 391, 406, 421, 435 s., 552; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia, Venezia 1855, pp. 135-138; G. Soranzo, Bibliografia veneziana, Venezia 1885, pp. 421, 510; V. Botteon, Un documento prezioso riguardo alle origini del vescovado di Ceneda e la serie dei vescovi cenedesi corretta e documentata, Conegliano 1907, pp. 12 s.; C. Godi, Angelo Maria Querini umanista e diplomatico per Aquileia, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XVIII (1964), 1, p. 30; U. Marcato, Storia di Chioggia, Chioggia 1976, pp. 138 s.; Collezioni di antichità a Venezia nei secoli della Repubblica (catal.), a cura di M. Zorzi, Roma 1988, pp. 132 s.; I. Favaretto, Arte antica e cultura antiquaria nelle collezioni venete al tempo della Serenissima, Roma 1990, pp. 203, 216 s.; D. De Antoni - S. Perini, Diocesi di Chioggia, Chioggia 1992, pp. 124, 209; K. Pomian, Collezionisti e collezioni, in Storia di Venezia, Temi, L'arte, Roma 1995, II, p. 753; M. Dal Borgo, I Gradenigo religiosi, in Grado, Venezia, i Gradenigo (catal.), a cura di M. Zorzi - S. Marcon, [Venezia] 2001, pp. 198 s.; Biografia universale antica e moderna, XXV, Venezia 1835, pp. 90 s.; A. Mercati - A. Pelzer, Diz. ecclesiastico, Torino 1955, II, p. 239; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica, VI, Patavii 1958, pp. 158, 170.