BORELLI, Giovanni Alfonso
Nacque a Napoli il 28 genn. 1608 da Laura Borrello (Porrello, Vorriello), moglie di un soldato spagnolo della guarnigione del Castel Nuovo, Miguel Alonso "de Varoscio", e venne battezzato con il nome di Giovan Francesco Antonio. Gli è stato talvolta attribuito da alcuni studiosi come padre Tommaso Campanella, contro ogni verisimiglianza, come si può dedurre dalla voce del fratello Filippo.
Siamo del tutto privi di notizie su di lui dalla nascita al 1630 circa, quando lo troviamo a Roma scolaro di B. Castelli, probabilmente aiutato e protetto da Tommaso Campanella, che lo aveva conosciuto fanciullo durante la sua prigionia napoletana. Il B. probabilmente allora assunse a suo cognome quello materno e volse in Alfonso, dal cognome paterno Alonso, il nome di battesimo. Comunque sia, negli studi con il Castelli il B. dovette fornire prove brillanti delle sue capacità, data l'ammirazione del maestro per il discepolo, della quale ci parla Fabroni. I programmi dei corsi del Castelli, riportati nei Rotoli della Sapienza, mostrano che egli commentava ogni anno gli Elementi di Euclide, e raramente i Conici di Apollonio di Perge; è sintomatico che proprio questi due testi siano alla base dei più importanti contributi matematici del B. maturo.
Agli anni romani risale probabilmente la conoscenza del B. con altri allievi del Castelli, come Torricelli, M. A. Ricci e F. Michelini, coi quali sarà in contatto negli anni seguenti. Se si deve credere al Fabroni, il Castelli fece il nome del B. all'università di Messina, che cercava un docente di matematica (Hist. Acad. Pisan., III, 440). Il B. vi si recò anteriormente al 1637, anno in cui ci dice di aver scalato l'Etna, ma sui registri dell'università il suo nome compare solo nel 1639. In breve egli si conquistò stima di studioso, acuto e preparato, stabilendo vaste relazioni in tutta l'isola. Divenne anche membro dell'Accademia messinese della Fucina, ad orientamento misto scientifico-letterario, con venature politiche antispagnole, ma anche portatrice di istanze particolaristiche contrarie alle città siciliane rivali di Messina.
In campo matematico la sua opera venne ad innestarsi su quella del messinese Maurolico, vissuto nel secolo precedente, geniale "divinatore" e suntatore di alcuni classici delle matematiche greche. Il B. ne raccolse i manoscritti, proponendosi di pubblicarli, ma si accinse all'opera solo molti anni dopo, ed in modo incompleto (alcuni mss. mauroliciani appartenuti al B. sono alla Bibl. Nazionale di Roma, fondo S. Pantaleo). In questi anni il B. divenne amico e frequentatore della famiglia dei Rao-Requesens, una delle più importanti dell'isola; ad uno dei membri di questa, Simone, poeta dialettale di vaglia e vescovo di Patti, il B. fu strettamente legato.
L'attività propriamente didattica e scientifica del B. in questi anni non ci è nota, ma dovette essere intensa e fertile, se il Senato di Messina, in segno di particolare apprezzamento, lo fece membro della nobiltà cittadina e lo inviò in viaggio per circa un anno, tra il 1641 ed il 1642, in tutti i centri politici e culturali dell'Italia. Scopo ufficiale del viaggio era quello di reclutare docenti per l'università messinese, ma probabilmente esisteva anche quello ufficioso di mostrare la disponibilità del Senato per accordi di natura politica o economica. Nel corso del viaggio il B. si recò a Venezia, dove soggiornò per almeno due mesi, a Roma, Napoli, Firenze e Genova, cogliendo l'occasione per esporre ai matematici della penisola le idee fondamentali di quella che sarà la sua revisione di Euclide, pubblicata nel 1658 col titolo Euclides restitutus.
Non sappiamo se il B. fu a Firenze in tempo per visitare Galileo, morto nel gennaio del 1642, ma è chiaro che vi respirò l'atmosfera galileiana, che peraltro l'aveva già pervaso tramite il Castelli. Appaiono infatti decisamente galileiane, per taglio polemico e bagaglio concettuale, le prime due opere scritte dal B., pubblicate dopo il ritorno a Messina. La prima, il Discorso contro P. Emanuele, fu originata da una tipica disputa tra intellettuali dell'epoca. Il B. fu coinvolto nella discussione sorta su un problema geometrico inviato agli studiosi siciliani dal matematico Santini, venendo scelto come giudice tra due contrastanti soluzioni date ad esso. Mentre l'intervento del B., sostanzialmente sfavorevole ad entrambe lesoluzioni, fu accolto positivamente da uno degli interessati, l'altro, il religioso palermitano Pietro Emanuele, reagì polemicamente, associando alle considerazioni matematiche, volte a difendere la sua soluzione, delle considerazioni negative sulla personalità scientifica ed umana del B.; questi reagì con il Discorso, in cui dietro la tensione dialettica e dimostrativa s'avverte l'indignazione per l'attentato alla propria reputazione. Sarà questo atteggiamento di fermezza e impenetrabilità la causa forse del formarsi di una corrente storiografica a lui notevolmente avversa, basata sulle impressioni negative di suoi contemporanei. Il Discorso, comunque, fuoriesce dall'ambito degli scritti d'occasione, perché il B. non si limita a riesaminare il problema controverso, ma amplia l'analisi ai paralogismi commessi dall'Emanuele nel tentativo di difendere la propria tesi. Si manifesta qui per la prima volta la natura "fondamentalistica" dell'intelletto borelliano, quel suo voler sceverare i problemi partendo dai loro presupposti più lontani, caratteristica ben colta dal Fabroni: "At Borellius... sic gerebat, ut semper a capite, quod consectebatur, cuperet arcessere, et fontes, unde omnia dimanant, videre". (Hist. Acad. Pisan., III, 458). La critica ai paralogismi dell'avversario diventa un discorso generale sui modi leciti ed illeciti di argomentare, e sulla scelta dei primi principi di un discorso. In generale, la posizione del B. sulla natura degli assiomi e sulle regole dimostrative associa, in modo piuttosto originale, spunti innatistici ed altri empiristici e convenzionalistici, e permarrà identica fino alla tarda introduzione al De motu animalium, in cui sono ravvisabili elementi platonici ed altri sensistici. Il Discorso fu poco letto ed in seguito rimase quasi ignorato; ben altre, invece, furono l'importanza e la risonanza dell'opera successiva.
Nel biennio 1646-48 la Sicilia fu investita da un'epidemia di febbri tifoidee che provocarono un'elevata mortalità. Il Senato di Messina e la Fucina decisero di consultare degli esperti perché individuassero le caratteristiche del morbo ed un metodo di cura; tra gli altri, fu consultato anche il B. - il che prova che era già noto un certo suo interesse per la biologia - e la relazione da lui presentata parve così approfondita e originale da meritare la stampa. Dopo alcune esitazioni, dovute forse al timore di entrare pubblicamente in un campo estraneo al suo, il B. accettò, e l'opera, col titolo Delle cagioni de le febbri maligne, fu stampata a Cosenza nel 1649.
Essa ci presenta la figura intellettuale del B. già nettamente delineata; anche qui egli inizia l'analisi dai fondamenti del problema, studiando le varie definizioni del concetto di epidemia ed i tipi di cause che ne provocherebbero l'insorgenza. Tali tipi, considerati da lui in un'esame storico-critico di una certa ampiezza, sono sostanzialmente tre: cause "celesti" (dovute ad influssi astrali); "elementari" (influssi dell'atmosfera e del clima); "terrestri" (emanazioni di sostanze presenti nel terreno). Il primo tipo è sottoposto dal B. ad una analisi lucidissima, che rivela le incongruenze logiche e le alterazioni fattuali consuete all'astrologia, additando al riso le evoluzioni dialettiche con le quali i suoi cultori cercano di far quadrare coi fatti le loro tesi. Il secondo tipo viene rifiutato in base a considerazioni empiriche, che mostrano che il contagio si manifesta in paesi da climi assai diversi. Il B. si schiera quindi a favore della terza tesi, pur con alcune precisazioni. Egli ritiene che la prolungata stagione secca avutasi in Sicilia prima delle febbri abbia sollevato dal terreno delle emanazioni velenose in forma di masse di corpuscoli (compare qui per la prima volta nel B. il corpuscolarismo, di probabile derivazione gassendiana); tali emanazioni, a causa della particolare secchezza dell'aria, si sarebbero levate a grandi altezze per poi discendere col sopravvenire delle piogge, diffondendo il contagio al suolo. Al di là delle singole ingenuità è qui importante l'insistenza su ciò che si può correttamente considerare "spiegazione" di un fatto, e l'adozione di un'ipotesi atomistica che prefigura tutto il successivo biomeccanicismo borelliano; con quest'opera e quelle successive il B. verrà ad occupare un posto essenziale nel passaggio dell'atomismo, da ipotesi speculativa e verbale a presupposto di ricerche concrete.
Taluni dei mezzi profilattici e terapeutici indicati dal B. per le febbri sono parsi sensati e utili anche a critici moderni. Nella Appendice sulla febbre in comune, aggiunta al libro, egli aderisce ad una teoria delle febbri allora assai ardita. Partendo dal presupposto che negli organismi vita e moto coincidono - presupposto che lo collega ad autori come Hobbes, che probabilmente non conosceva - e che tutti i processi vitali non siano che fenomeni motori, il B. assume che la febbre, effetto e non causa della accelerazione di uno di essi, il battito cardiaco con la connessa circolazione del sangue, serve allo scopo di rimuovere degli ostacoli a tale circolazione. Essa non è perciò un fenomeno morboso, ma curativo, e non si deve ostacolarla, bensì rimuovere la sua causa.
Così anche per il processo digestivo il B. avanza una spiegazione originale ipotizzando l'esistenza di un solvente: è questa una previsione teorica dell'esistenza dei succhi gastrici. Gran parte della storiografia sulla scienza, assimilando il biomeccanicismo borelliano ai presupposti speculativi cartesiani, e vedendo in esso una conseguenza automatica di quelli, ha deformato il vero intendimento del B., che non era quello di ridurre tutti i fenomeni biologici a semplici fenomeni meccanici, ma quello di mostrare che essi sono descrivibili in termini meccanici, quali che ne siano l'origine e la natura. Così si è giunti a rovesciare le tesi borelliane, asserendo, ad esempio, che esse riducono la digestione a triturazione, e si è omesso di notare che nel B. l'adozione di strumenti fisico-matematici nell'analisi di fatti biologici non porta, come in Cartesio, a una precisa filosofia meccanicista, ed è anzi compatibile col supporre il finalismo di alcuni processi organici, conie nel caso delle febbri; l'essenziale, per lui, è che l'andamento dei vari fatti organici si possa inquadrare matematicamente. La parziale accettazione del finalismo mostra l'influsso sul B. del naturalismo meridionale, giuntogli filtrato attraverso l'opera dei filosofi-scienziati dell'Accademia napoletana degli Investiganti, di cui diverrà membro. In generale si può dire che il B. adotta presupposti filosofici quanto al metodo, non quanto alla metafisica; in lui l'interesse filosofico è strettamente funzionale a quello scientifico, e serve per raffinare i metodi da impiegare nei processi concreti di ricerca. Per le opere di filosofia pura, come nel caso di una raccolta di lettere di Cartesio che lesse negli anni toscani, egli mostrerà sempre insofferenza, con l'unica eccezione degli Opera omnia di Gassendi, che introdusse in Toscana, forse perché gli sembrava prossima ai problemi della scienza del tempo.
Dopo che il trattato Delle Cagioni fu dato alle stampe e pubblicato, il B. dovette dedicarsi alla sistemazione delle idee matematiche che già aveva esposte durante il viaggio nella penisola. Approntò un compendio dei quattro libri superstiti dei Conici di Apollonio, che pubblicò molti anni dopo, ed aveva già abbozzato la sua revisione degli Elementi di Euclide quando gli giunse l'offerta della cattedra di matematica all'università di Pisa, prima tenuta dal padre scolopio Famiano Michelini, amico e seguace di Galileo, e suo conoscente degli anni romani.
Accettata l'offerta e recatosi a Pisa nel febbraio 1656, egli iniziò fin dai primi giorni, accanto all'insegnamento, studi e ricerche su vari argomenti, con una capacità di lavoro che stupisce. Anzitutto propose ai Medici di curare la traduzione di un codice arabo in loro possesso, contenente gli ultimi quattro libri dei Conici, fin allora ritenuti smarriti. Si dette poi ad assidue ricerche anatomo-fisiologiche, con l'ausilio del suo alunno L. Bellini, degli anatomisti inglesi Finch e Baines, del francese Aubery e soprattutto del Malpighi, conosciuto a Pisa, e del suo successore C. Fracassati. Di questo enorme ammontare di dissezioni, preparazioni ed analisi anatomiche dirà Fabroni: "Non est credibile quantam animalium copiam ad has... investigationes secuerit Borellius" (Hist.Acad. Pisan. III, 467). E l'Adelmann, nel suo poderoso lavoro su Malpighi, mette in piena luce le qualità dell'intelletto borelliano e il suo influsso su alcune delle maggiori scoperte di Malpighi stesso.
Durante queste ricerche, mentre gli altri esaminavano l'anatomia dei vari organi, il B. curava l'esame della loro fisiologia. Egli ebbe in mente sin dall'inizio come punto focale del suo lavoro il tema de motuanimalium, inteso non più, come in precedenza, quale indagine sul moto degli animali rispetto all'ambiente esterno, ma come esame di tutti i moti organici, esterni ed interni, macroscopici e microscopici; in breve, un'intera fisiologia matematizzante basata sugli assiomi del carattere corpuscolare della materia e della coincidenza di vita e moto.
Tutte le ricerche del B. in questi anni, biologiche e non, confluiscono nell'alveo che sfocerà anni dopo nella stesura del De motu animalium, il suocapolavoro; ciò non significa che a queste ricerche collaterali il B. lesinasse tempo ed impegno: al contrario, la sua notorietà in vita fu legata ad esse. Già nel biennio 1656-57 egli lavorò alla stesura del compendio euclideo, che pubblicò nel 1658. L'Euclides restitutus voleva essere al contempo un compendio e un chiarimento del testo degli Elementi; si tratta di un lavoro prevalentemente esegetico, e non creativo, ma che dà spunto a nuove direzioni di ricerca. Esso compendia in nove libri e 230 proposizioni quanto Euclide aveva trattato in 15 libri e 473 proposizioni, e ciò grazie al carattere notevolmente più generale e rigoroso della trattazione. I punti in cui il B. apre prospettive nuove sono l'esame del quinto postulato di Euclide, o postulato delle parallele, e la teoria delle proporzioni. Per quanto riguarda il primo egli considera l'esistenza e l'unicità della parallela ad una retta per un punto esterno come il risultato di un teorema ricavabile da assiomi precedenti, e non una nozione primaria, come per Euclide. Nella teoria delle proporzioni il B. riformula assiomaticamente l'intero argomento, partendo dalla definizione di nozioni primarie come "tutto", "parte", "maggiore" e "minore", e la sua trattazione assume un carattere più generale di quella che aveva in Euclide.
Nonostante dissensi sporadici, l'opera ebbe un notevole successo, e convinse i Medici dell'opportunità di affidare al B. il testo arabo dei Conici da lui richiesto. La traduzione fu effettuata a Roma nell'estate del 1658, in collaborazione col frate maronita Abramo Ecchellense, docente di lingue orientali alla Sapienza. Questi traduceva letteralmente il testo, mentre il B. dimostrava per suo conto tutti i teoremi, quasi ricreando l'intera materia. Il lavoro fu estremamente arduo, anche perché il codice abbondava di omissioni, abbreviazioni ed errori, ma nel settembre era già compiuto, con l'aggiunta ai Conici del Liber assumptorum di Archimede, contenuto nello stesso codice. La stampa della traduzione si sarebbe potuta iniziare subito, ma subentrò una difficoltà che la ritardò di molto. Vincenzo Viviani, ex alunno di Galileo e matematico della corte medicea, stava lavorando da anni ad una ricostruzione congetturale dei libri smarriti dei Conici e, temendo che la pubblicazione della traduzione borelliana potesse sminuire il suo lavoro, si affrettò a terminarlo, ottenendo dai Medici di ritardare la stampa della traduzione fino all'uscita del suo libro. La versione dei Conici fu stampata solo nel 1661, e ciò concorse a creare un aspro conflitto tra il Viviani e il B., nel quale il primo, legato agli ambienti colti e alla corte e capo morale della scuola galileiana, era destinato a prevalere. L'ostilità ebbe per teatro l'Accademia del Cimento, costituitasi nel giugno 1657, della quale i due erano i membri di maggior spicco.
Tutti gli storici dell'Accademia ammettono che il contributo del B. ad essa fu superiore a quello del Viviani; lo studio dei manoscritti degli accademici, delle loro proposte di ricerche e di correzioni al testo dei Saggi di naturali esperienze mostra che non ci fu praticamente esperimento al quale il B. non recasse un contributo importante. Specialmente le indagini sulla pressione dell'aria ci suoi riflessi biologici, sulla propagazione del suono, sulla resistenza dei materiali e sugli influssi della gravità gli vanno attribuiti quasi per intero. Era forse fatale che questo suo attivismo, che poteva parere ostentazione di superiorità, urtasse una personalità spiccata e molto diversa dalla sua quale quella del Viviani. L'urto frontale avvenne negli anni successivi al 1662, nei quali, forse non a caso, l'operosità dell'Accademia decrebbe, ed ebbe per incentivi, oltre alla questione dei Conici, alcune divergenze su esperimenti balistici compiuti con pezzi di artiglieria e sull'interpretazione geometrica di alcune risultanze sperimentali.
Prevalse infine il Viviani e questo fatto, insieme all'ostilità ormai palese dell'ambiente in cui doveva operare, spinse nel 1667 il B. a lasciare la Toscana ed a tornare in Sicilia; ma prima che le cose avessero questo corso affrontò tutta una serie di altri temi, dando contributi essenziali. Negli anni successivi al 1660 gli fu affidata dai Medici la revisione a scopo di stampa degli scritti idraulici del Michelini e del suo maestro Castelli. Completò l'opera di quest'ultimo con un supplemento; quanto a quella del Michelini, nella quale figuravano tesi erronee, egli la corresse nella misura consentita dal rispetto per l'autore. Tuttavia il fatto che egli presentasse l'opera parve a molti la prova che egli condivideva le idee del Michelini: ciò lo espose a nuove polemiche, questa volta col Ricci, vecchio amico del periodo romano, con cui riprese i rapporti solo dopo alcuni anni.
Nel quadro degli studi d'idraulica di questi anni rientrano anche alcuni scritti minori sul problema delle lagune prossime a Pisa, indirizzati ai Medici. Ma il contributo forse più importante dato dal B. negli anni pisani è quello nel settore dell'astronomia. Sin dall'arrivo in Toscana, egli iniziò un ciclo di osservazioni telescopiche di alcuni corpi astrali, e, tramite numerose pubblicazioni procurategli dal Magliabechi, si tenne aggiornato sui progressi compiuti in tutta Europa. Nell'epistolario egli si rivela copernicano e galileiano convinto, e va oltre Galileo nell'accettazione delle leggi di Keplero che in lui è incondizionata. Nel 1660, sorta una disputa tra lo Huygens ed il padre Fabri sul "sistema di Saturno", cioè sulla configurazione del pianeta coi suoi anelli, i due ricorsero al Cimento per un giudizio definitivo. L'Accademia affidò la questione al B., che dopo intenso lavoro si pronunciò in favore dello Huygens, sia pure con notevole cautela. Nel 1662 egli compì importanti osservazioni su Venere, in un periodo di particolare visibilità, predisponendo un piano di indagini da svolgersi in varie località.
Nel 1664 la comparsa di una cometa gli fornì l'occasione per una delle sue teorie più nuove e valide. Seguendone il moto, per raccogliere prove in favore dell'esistenza di una parallasse delle comete e della loro natura solida - temi, questi, già indagati da Galileo - il B. giunse alla conclusione che il moto del corpo nel firmamento non è rettilineo, ma segue "una curva tanto simile ad una parabola, ch'è cosa da stupire". Nella loro forma definitiva, esposta nella Lettera del movimento della cometa, le idee del B. inizieranno la teoria moderna di questi corpi, attribuendo loro una testa solida ed un'orbita solare ellittica. La Lettera è sicuramente borelliana, anche se apparve con il nome di Pier Maria Mutoli (questo nome fu assunto dal B. forse perché trattava problemi in quei tempi assai scottanti).
Verso il 1664 il B. ebbe dal card. Leopoldo alcune stanze in Palazzo Vecchio e nel forte di San Miniato, da utilizzare come abitazione ed osservatorio nei periodi di chiusura dell'università di Pisa. Fece anche costruire telescopi lunghi fino a sei metri che, dopo aver utilizzato nell'esame della cometa, volse sui "pianeti medicei" scoperti da Galileo, le cui orbite sembravano presentare ardue difficoltà. Con una serie biennale di osservazioni, il B. ritenne di aver stabilito determinati capisaldi per una corretta impostazione del problema, e li espresse in un libro, le Theoricae mediceorum planetarum.
Le Theoricae, dunque, non vogliono essere una trattazione conclusiva, che verrà data in seguito dal Cassini, ma una specie di "discorso sul metodo" relativo ad un problema astronomico. L'opera è divisa in due parti: la prima considera aspetti generali del moto planetario; la seconda, De mediceorum organica et practica astronomia, restringe l'ambito visuale ai medicei ed alle loro peculiarità, ed ha, come detto, un valore metodologico e propedeutico. La prima parte, invece, è un vero manifesto della nuova astronomia, in cui compare, filtrato e messo assieme con consapevolezza lucida e rigorosa, tutto quanto era in germe in Keplero, Bralie, Galilei, Hevelius e altri. Capitolo per capitolo compaiono i presupposti fondamentali dell'astronomia moderna: negazione del carattere divino e fisicamente anomalo dei moti orbitali; unificazione di fisica celeste e terrestre, che implica il ricondurre gli eventi astrali alle stesse leggi esistenti sulla Terra; negazione del loro carattere "naturale", cioè spontaneo; carattere planetario della Terra, ruotante anch'essa attorno al Sole; chiara affermazione del principio di inerzia. Nel cap. XI, Pronunciata seu principia philosophica... ad intelligendas causas eccentricitatum orbium, per la prima volta il moto curvilineo è considerato la risultante dell'azione di due forze, una tendente á proiettare il corpo verso l'esterno ed una ad attrarlo al centro. Delle due forze il B. dimostra agevolmente l'esistenza, ma va ancora oltre, chiedendosi di qual natura può essere il legame tra Sole e corpo orbitante; egli identifica tale forza attrattiva con la gravità esistente anche sulla Terra, e prelude così a Newton, che nel De mundi systemate lo citerà con stima tra i suoi predecessori.
Nel 1667 il B. si congedò dai Medici e tornò a Messina: non è chiaro se riprese la sua cattedra all'università; oppure, cosa più probabile, se si dedicasse alla ricerca ed al completamento di numerose opere che aveva iniziato. Nello stesso 1667 faceva stampare a Bologna il De vi percussionis, che raccoglieva, ampliandole, le ricerche effettuate nel Cimento sull'energia cinetica, la resistenza dei materiali agli urti e la loro struttura interna.
Alcune tesi del De vi trovarono un tenace avversario in un religioso veneziano, il matematico Stefano degli Angeli, che scrisse delle Considerazioni per smentirle; il B. replicò con la Risposta... al R.P.F. S. d. Angeli, cuiil degli Angeli replicò con altre Considerationi, cui non pare che il B. rispondesse (è da provare che sia del B. l'opuscolo di D. Zerilli, Confirmazione d'una sentenza del sig. G. A. Borelli di nuovo contradetto dal P. Stefano degli Angeli, Napoli 1668).
Dopo questa polemica, oltre a lavorare assiduamente al De motu animalium, il B. terminò un'opera sulla gravità, De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus, dedicata al segretario degli Investiganti, Andrea Conclubet, marchese di Arena. Il De motionibus non presenta niente di sostanzialmente nuovo rispetto a Galileo e ai Saggi del Cimento, ma vale insieme al De vi percussionis come premessa fisica alle dimostrazioni fisiologiche del De motu;ha comunque un certo interesse la parte relativa al barometro e allo studio della pressione atmosferica ed allo studio di fenomeni di capillarità. Nello stesso anno del De motionibus il B. ebbe invece l'opportunità di scrivere un'opera che nell'ambito della sua produzione sta a sé, e che è una delle sue più vive ed originali. Nel 1669 si verificò un'imponente eruzione dell'Etna, e sia il Cimento sia la Royal Society di Londra chiesero al B. un resoconto del fenomeno; tale rapporto, dilatatosi fino a diventare un libro, si può definire, col Del Gaizo, la prima opera della vulcanologia moderna. La Historia et metereologia incendii Aetnei inizia con una descrizione delle fasi dell'eruzione, alla quale segue un'accurata stima dell'entità volumetrica dei materiali espulsi dal vulcano. Il B. pone poi alcuni dei temi fondamentali della vulcanologia successiva, come l'analisi della morfologia e delle fasi altimetriche dei vulcani, del meccanismo delle eruzioni, della genesi e natura dei prodotti vulcanici, nonché della loro composizione e struttura. Egli ritiene che l'eruzione sia alle origini un fenomeno di vera e propria combustione, e perciò crede che sotto i vulcani circoli aria o un qualche gas comburente. La Historia ebbe notevole diffusione, e nel 1671 ne fu dato sunto nelle Philosophical Transactions e nel Giornale de' Letterati di Roma; la sua fama perdurò nel Settecento, ed il Del Gaizo ha mostrato che due opere essenziali della vulcanologia di quel secolo, l'analisi di F. Serao della eruzione vesuviana del 1737 e la descrizione dello Spallanzani del suo viaggio sull'Etna nel 1788, ne dipendono.
Attorno al 1670 tra il Senato messinese e il governatore spagnolo della Sicilia cominciò a crearsi un dissidio, destinato a sfociare in ribellione aperta. Le cause di tale urto, connesso con le lotte dei partiti e le rivendicazioni sociali entro la città, con le rivalità tra le principali città siciliane e con embrionali velleità autonomistiche, non sono ancora pienamente chiarite, mentre è piuttosto noto il seguito internazionale della vicenda, con l'intervento della Francia e l'inserimento della rivolta nel quadro generale della guerra d'Olanda. Sta di fatto che il B., amico del Ruffo, uno dei maggiori rivoltosi, membro della Fucina, tradizionalmente antispagnola, e protetto del Senato, divenne sospetto di essere il principale esponente della cospirazione, l'eminenza grigia che prendeva le decisioni strategiche senza esporsi direttamente. Il carattere contraddittorio delle fonti e la loro esiguità rende difficile, oggi, pronunciarsi sull'effettiva parte avuta dal Borelli. Probabilmente egli parteggiò per i cospiratori, e forse dette loro incoraggiamento e consigli, ma è improbabile che avesse quella funzione direttiva, sia pur celata, che taluni cronisti gli attribuiscono. Comunque nel 1672 un bando del governatore don Luis dell'Oyo Maeda esiliò il B. ed altri dall'isola, prevedendo la pena di morte in caso di loro ritorno, ed ordinò la confisca dei loro beni. Il B. si trasferì momentaneamente in Calabria (nacque forse allora la voce della sua nascita calabrese), e poi definitivamente a Roma. Qui giunto, ritrovò vecchi amici, come il Ricci, il Porzio e l'Oliva, prese parte attiva alle discussioni del gruppo che si riuniva attorno al Giornale de' Letterati e divenne membro dell'accademia formata dalla regina Cristina di Svezia.
Su richiesta di questa, forse per le difficoltà finanziarie in cui si trovava dopo la confisca dei suoi beni in Sicilia, e che solo l'aiuto di Cristina poteva alleviare, giunse a scrivere un elogio di quell'astrologia che nel Delle cagioni aveva deriso in modo tanto aspro, e lo lesse nell'accademia assieme ad un interessante discorso sulla struttura interna delle triremi romane. Di questi anni è anche un Discorso sopra la laguna di Venezia, fatto pervenire al Senato veneto, e suggerente i modi per impedire l'interramento della laguna; non sembra, comunque, che i suggerimenti del Discorso venissero in qualche modo seguiti.
Le condizioni finanziarie sempre più precarie lo costrinsero nel settembre 1677 ad accettare l'ospitalità offertagli dai padri scolopi nella loro casa generalizia, annessa alla chiesa romana di S. Pantaleo; qui visse dando lezioni di matematica ad alcuni novizi dell'Ordine, e completò il compendio dei Conici impostato già nei primi anni messinesi, pubblicandolo con l'aiuto finanziario di un suo ammiratore Ottavio Falconieri.
Finalmente anche la stesura del De motu giunse al termine. Esso è opera complessa, ardua a riassumersi, né si può collocare in una precisa categoria, perché il suo esame non s'incentra sulla fisiologia di date specie o organi. Essendo scritto in base all'assunto che la "vita" sia una serie coordinata di fenomeni motori, rappresentabili in formule matematiche, il libro segue piuttosto una classificazione dei moti, trattando nella prima parte dei moti esterni, quelli dell'animale come un tutto rispetto all'ambiente, e nella seconda dei moti interni all'organismo, vale a dire la totalità dei processi organici. La prima parte presenta luminose analisi della struttura scheletrica come sistema di leve, del moto nei vari mezzi ambientali (corsa, nuoto, volo), dei meccanismi della contrazione muscolare. Anche nel caso di quest'ultima il B. si discosta dal puro meccanicismo di tipo cartesiano, attribuendola ad una combinazione chimica, istantanea tra fluido nervoso e sangue. Trattando del volo egli dà anche la prima rigorosa dimostrazione dell'impossibilità del volo muscolare umano, ed analizzando la forma ed i movimenti dei pesci delinea uno dei primi progetti di battello sottomarino. Nella seconda parte l'esame non si limita ai fatti organici, ma investe decisamente la sfera "spirituale", per studiarne i legami con le circostanze organiche. Nel B., che conosce e tiene in gran conto le ricerche del Willis, la componente nervosa ha un ruolo forse anche più vasto di quello oggi attribuitole; respinta la tesi tradizionale degli spiriti nervosi incorporei, e la sua variante cartesiana - perché entità spirituali non richiederebbero per diffondersi vie corporee quali i nervi - egli considera il sistema nervoso come un reticolo di canali tubiformi contenenti un fluido inerte, le cui ondulazioni trasmettono gli stimoli in senso centrifugo e centripeto. A tale fluido egli attribuisce anche qualità nutritive, e lo fa partecipare alla formazione del seme maschile. Oggetto di attenta analisi sono anche tutti gli altri sistemi circolatori, quali quello linfatico, venoso, arterioso, ed il sistema ghiandolare; così pure hanno notevole importanza storica la considerazione del cuore come pompa muscolare, il calcolo dell'energia e del lavoro di quest'organo, l'analisi della meccanica della respirazione e le considerazioni sulla digestione. Molto di ciò che il B. sostiene nel De motu èinadeguato, e talvolta palesemente erroneo; alcune sue tesi si potevano già considerare superate al momento dell'uscita dell'opera. Ma essa, per la vera novità e grandiosità dell'impianto, per la giustezza di alcune concezioni particolari, e per essere una summa profondamente meditata ed articolata del sapere biologico del tempo, assolse un compito essenziale. Il B. continua e sviluppa ampiamente tendenze all'applicazione del metodo sperimentale allo studio dei viventi anticipate da Galileo, così che in lui il meccanicismo biologico scende sul piano dei fatti, e si depura dei presupposti metafisici che stavano alla sua origine, iniziando il raffronto sistematico e concreto tra fatti della natura fisica e strumenti della tecnica da un lato e fenomeni ed organi biologici dall'altro.
Quando il manoscritto fu ultimato, la regina Cristina garantì i fondi per la stampa. Il B. aveva già corretto le bozze della prima parte quando si ammalò di polmonite e ne morì il 31 dic. 1679; fu sepolto in S. Pantaleo, come aveva chiesto. Gli scolopi, nelle persone del capo dell'Ordine, il già citato p. Carlo di Gesù, e degli allievi in matematica del B. lavorarono con dedizione ad ultimare la stampa dell'opera. Probabilmente l'appoggio dell'Ordine agevolò la concessione al De motu dell'imprimatur, che altrimenti non sarebbe stata agevole, dato il carattere palesemente galileiano e materialistico dei suoi presupposti. Il libro uscì nel biennio 1680-81, e fu subito diffuso in tutta Europa; in seguito venne ristampato più volte, come le altre principali opere borelliane.
Opere: Alcuni scritti minori inediti esistono nelle Bibl. Naz. di Firenze e di Roma, nella Vaticana (mss. Acc. d. regina Cristina)e nell'Archivio gen. delle Scuole Pie. L'epistolario èin buona parte inedito; le parti edite sono comprese in raccolte indicate nella successiva bibliografia. Discorso nel quale si manifestano la falsità e gli errori contenuti nella difesa del problema geometrico risoluto dal R. P. Emanuele, Messina 1646; Delle cagioni delle febri maligne della Sicilia negli anni 1647 e 1648, Cosenza 1649; Euclides restitutus,sive prisca geometriae elementa,brevius et facilius contexta in quibus praecipue proportionum theoriae,novo firmiore methodo promovuntur, Pisis1658; (versione ital. di D. Magni, Bologna 1663; ristampe del testo latino: Romae 1679; Romae 1695); Apolloni Pergaei conicorum libri V,VI et VII paraphraste Abalphato Asphahanensi nuncprimum editi. Additus in calce Archimedis assumptorum liber..., Florentiae 1661; P. M. Mutoli, Lettera del movimento della cometa apparsa il mese di dicembre del 1664 in Pisa, Pisa 1665; Theoricae Mediceorum planetarum ex causis phisicis deductae, Florentiae 1666; De vi percussionis liber, Bononiae 1667 (ristampato: Lugduni Batav. 1686); Risposta alle considerazioni fatte sopra alcuni luoghi del suo libro della forza della percossa dal Padre Stefano degli Angeli, Messina 1668; Osservazioni intorno alla virtù ineguale degli occhi, in Giornale de' Letterati (Roma), 1669, p. 11; De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus liber, Regio Julio 1670 e 1672 (ristampato in: Tractatus duplex de vi percussionis et de motionibus naturalibus a gravitate pendentibus... Editio prima Belgica..., Lugduni Batavorum 1686); Metereologia Aetnea,seu historia et metereologia incendii Aetnei anni 1669. Accessit responsio ad censuras R. P. Honorati Fabri contra suum librum de vi percussionis, Regio Julio 1670; Osservazione dell'eclisse lunare fatta in Roma in compagnia del sig. Francesco Serra la sera degli 11 gennaro 1675, in Giornale de' Letterati (Roma), 1675, p. 34; Elementa conica Apollonii Pergaei et Archimedis. Opera nova et breviori methodo demonstrata, Romae 1679; De motu animalium pars prima, Romae 1680; Pars altera, Romae 1681 (altre edizioni: Lugduni Batavorum 1685; in J. Jacob Mangetus, Bibliotheca anatomica, Genevae 1699, I, pp. 816-1044; II, pp. 892-1098. Nell'anno 1734 vide la luce a Napoli una nuova edizione "a plurimis mendis repurgata" a cui si aggiunsero successivamente le dissertazioni di Giovanni Bernoulli, De motu muscolorum e De effervescentia et fermentatione. In questa forma venne ristampata all'Aia da P. Gosse nel 1743. Il capitolo De volatu èstato tradotto in inglese in Aeronautical classics, VI, London 1911, e in tedesco in Ostwalds Klassiker der exakten Wissenschaften, CCXXI, Leipzig 1927); il Discorso sopra la laguna di Venezia e la Relaz. sopra lo stagno di Pisa, in Racc. di autori che trattano del moto delle acque, Firenze 1723, I, pp. 273-317 (ristamp. in Raccolta, Bologna 1822, III, pp. 289-336).
Fonti e Bibl.: Notizie sul B. si trovano in tutte le opere generali di storia della scienza e delle singole discipline cui egli contribuì. Qui si elencano solo le pubblicazioni realmente rilevanti sul piano documentario e critico: G. Leti, L'Italia regnante, Ginevra 1676, III, pp. 244 s.; G. Romano Colonna, Prima parte della congiura dei ministri del re di Spagna contro la città di Messina, Messina 1696, pp. 184 ss.; M. Malpighi, Opera posthuma, Londini 1697, p. 4; V. Placcius, Theatrum anonymorum et pseudonymorum, II, Hamburgi 1708, p. 457; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula sive de scriptoribus siculis, II, Panormi 1714, p. 51; L. A. Porzio, Opere, Napoli 1736, I, p. 179; G. B. Caruso, Memorie storiche di quanto è avvenuto in Sicilia, III, Palermo 1745, p. 158; T. Birch, The history of the Royal Society, London 1757, II, pp. 396, 486; III, p. 457; IV, pp. ss, 89; G. B. Clemente Nelli, Saggio di storia letteraria fiorentina del secolo XVII, Lucca 1759, passim;G. Mosca, Vita di Lucantonio Porzio, Napoli 1765, pp. 23, 91; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1709; G. Targioni-Tozzetti, Atti e memorie inedite dell'Acc. del Cimento, I, Firenze 1780, pp. 251-59, 269 s.; G. B. Tondini, Delle lettere di uomini illustri pubblicate ora per la prima volta, Macerata 1782, I, pp. 99-102; II, pp. 1 ss.; P. Napoli Signorelli, Vicende della cultura nelle Due Sicilie, V, Napoli 1786, p. 226; A. Fabroni, Lettere inedite di uomini illustri, I, Firenze, 1773, p. 280; Id., Historiae Acad. Pisanae, III, Florentiis 1794, p. 440; Id., Vitae Italorum doctrina excellentium, III, Pisis1798, pp. 227-324; S. J. Rigaud, Corresp. of scientific Men of the seventeenth century, Oxford 1841, I, pp. 165 s.; II, pp. 520-23; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, IV, Napoli 1846 (ad Indicem, V, ibid. 1848); N. Anastasi, A. B. e le sue opere, Messina 1869; V. Di Giovanni, Storia della filosofia in Sicilia, I, Palermo 1873, pp. 244 ss.; M. Del Gaizo, Studii di G.A.B. sulla pressione atmosferica, Napoli 1886; Id., Alcune lettere di G.A.B.,dirette una al Malpighi,le altre al Magliabechi, ibid. 1886; Id., Contributo allo studio della vita e delle opere di G.A.B., in Atti della Acc. Pontaniana, XX (1890), pp. 1-48; Id., Studi di Leibniz,Bernoulli,Ramazzini,Hoffmann e Baglivi sullapressione atmosferica,ibid., XXII (1892), pp. 121-143; Id., Una lettera di G.A.B. ed alcune indaginidi pneumatica da lui compiute, in Mem. d. Pontificia Acc. Romana d. Nuovi Lincei, XXI (192, pp. 61-78; Id., Note di storia della vulcanologia, in Atti d. Acc. Pontaniana, XXXVI (1906), memoria n. 4; Id., Di un'opera di G.A.B. sull'eruzione dell'Etna del 1669 e di A. Auzout corrispondente,in Roma,del B., in Atti d. Pont. Acc. Rom. d. Nuovi Lincei, LX (1907), pp. 111-17; Id., E. Torricelli e G.A.B., in Riv. di fisica,mat.e sc. naturali, IX (1908), pp. 385-402; Id., G.A.B.e la sua opera De motu animalium, in Atti d. R. Acc.medico-chirurgica di Napoli, LXII (1908), pp. 147-162; Id., L'opera scientifica di G.A.B. e la scuoladi Roma nel sec. XVII, in Mem. d. Pont. Acc. Romana d. Nuovi Lincei, XXVII (1909), pp. 275-307; Id., L'oeuvre scientifique de J.A.B. étudiée dans ses rapports avec l'école hollandaise, in Janus, XIV (1909), p. 506; Id., Di una lettera ineditadi G.A.B. diretta a M. Malpighi, in Atti d. Acc.Pontaniana, XLIX (1919), mem. n. 3, pp. 29-40; E. Goldbeck, Die Gravitationshypothese beiGalilei und B., in Wissenschaftliche Beilage zumJahresbericht des Luisenstädtischen Gymnasiums zuBerlin, Berlin 1897; F. Guardione, D'un opuscolosulla vera patria di G.A.B., in Scritti, I, Palermo 1897, pp. 120-131; G. Ziino, G.A.B.,medico edigienista, in CCCLanniversario della Universitàdi Messina, Messina 1900, II, pp. 3-40; G. Arenaprimo, Ilettori dello Studio messinese dal 1636 al 1674,ibid., p. 182; Id., G.A.B. a M. Malpighi. Lettera inedita, in Studi di medicina legale...in onore di G. 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