Giovanni Alfonso Borelli
L’opera di Giovanni Alfonso Borelli rappresenta il precipitato della scienza galileiana, per l’applicazione del modello meccanicistico-corpuscolare e dell’attività sperimentale, il rigore nel procedimento argomentativo, il ricorso a modelli meccanici nello studio dell’anatomia e della fisiologia degli animali. Significativa appare anche la vicenda biografica, la quale consente di ripercorrere la complessa mappa della res publica scientifica seicentesca, che intrecciava i diversi contesti politico-culturali della penisola.
Nacque a Napoli il 28 gennaio 1608 da Miguel Alonso ‘de Varoscio’, soldato spagnolo, e Laura Borrello. Con molta probabilità il nome di battesimo Alfonso fu mutuato dal cognome paterno, mentre il cognome Borelli fu derivato da quello materno. Non si hanno notizie sui primi anni di vita. Quasi certamente ebbe contatti con Tommaso Campanella (1568-1639) durante la prigionia di questi a Napoli.
A partire dal 1630 frequentò Benedetto Castelli (1577/78-1643) a Roma. Nel suo circolo conobbe Evangelista Torricelli, Michelangelo Ricci (1619-1682), Famiano Michelini (1604-1665). Forse grazie allo stesso Castelli Borelli ottenne dal 1639 la cattedra di matematiche a Messina. Negli anni messinesi partecipò alla vita politica e culturale della città, stabilendo contatti con molti membri del locale Senato, ed entrò nell’Accademia scientifico-letteraria della Fucina. Le posizioni antispagnole di alcuni rappresentanti del Senato, ma anche di diversi letterati e scienziati da lui conosciuti influenzarono la sua attività in quel periodo.
Nel 1642 il Senato di Messina incaricò Borelli di compiere una ricognizione dei maggiori centri culturali della penisola allo scopo di reclutare docenti per l’università. Borelli si recò a Napoli, Roma, Venezia, Firenze e Genova. I suoi studi di quegli anni riguardarono una revisione dei testi di Euclide, pubblicati nel 1658 con il titolo di Euclides restitutus, ma anche la raccolta e il compendio degli scritti del matematico Francesco Maurolico. Non si hanno notizie sui contatti di Borelli con Galileo Galilei.
Ritornato da Firenze a Messina, Borelli entrò nel vivo di una discussione che coinvolse gli scienziati siciliani a proposito della soluzione di un problema proposto dal matematico Antonio Santini, polemizzando con Pietro Emanuele, contro il quale pubblicò un Discorso. Al 1649 risale il Delle cagioni delle febbri maligne, dedicato all’epidemia di febbri tifoidee che aveva colpito la Sicilia tra il 1646 e il 1648. Nel 1656, sfumata alcuni anni prima la sua candidatura alla docenza di matematica presso l’Università di Bologna, assegnata infine a Giovanni Domenico Cassini, Borelli ottenne a Pisa la cattedra di matematica che era stata dello scolopio Famiano Michelini.
Durante gli anni pisani curò la traduzione di un manoscritto arabo, acquistato dai Medici nel 1645, che recava gli ultimi 4 degli 8 libri dei Conici di Apollonio di Perge, non presenti negli studi mauroliciani e ritenuti smarriti. La traduzione fu conclusa nel 1658, e vi fu unito in appendice il Liber assumptorum di Archimede. La pubblicazione ebbe luogo solo nel 1661 a causa di alcuni dissensi con Vincenzo Viviani (1622- 1703). In quegli stessi anni Borelli si dedicò a indagini anatomofisiologiche, con la collaborazione dell’allievo Lorenzo Bellini (1643-1704), ma anche di Marcello Malpighi, Carlo Fracassati e ancora degli inglesi John Finch e Thomas Baines. Le ricerche di questo periodo sarebbero confluite nel De motu animalium (1680-1681).
La collaborazione con l’Accademia del Cimento di Leopoldo de’ Medici permise a Borelli di condurre esperimenti sulla propagazione del suono, sulla pressione dell’aria e sulla resistenza dei materiali, di completare e correggere gli scritti di idraulica rispettivamente di Castelli e di Michelini, e di studiare le lagune situate in prossimità di Pisa. Negli stessi anni effettuò osservazioni telescopiche sistematiche dei corpi celesti, in particolare di Venere. Intervenne inoltre in una polemica sorta tra Nicolò Fabri e Christiaan Huygens, schierandosi nel 1662 a favore di quest’ultimo. Nel 1665, nella lettera Del movimento della cometa, firmata con lo pseudonimo Pier Maria Mutoli, formulò un’ipotesi sulla natura solida delle comete e sul moto dei pianeti. I risultati delle sue osservazioni astronomiche furono pubblicati nelle Theoricae mediceorum planetarum ex causis physicis deductae (1666).
Nel 1667 tornò a Messina e continuò a dedicarsi a ricerche sul moto e sulla resistenza dei materiali pubblicando il De vi percussionis liber. Nel 1669 dedicò ad Andrea Concublet, promotore dell’Accademia napoletana degli Investiganti, il trattato De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus; nello stesso anno, in occasione dell’eruzione dell’Etna, lavorò a un resoconto del fenomeno; lo scritto fu dato alle stampe con il titolo Historia et metereologia incendii Aetnei e trovò eco nel 1671 nel «Giornale de’ letterati» di Roma.
Dal 1670 Borelli fu coinvolto a Messina nel dissidio tra lo stratigò, rappresentante del governo spagnolo, e alcuni membri del Senato. Nel 1672 un bando promulgato dallo stratigò Louis dell’Hojo accusò Borelli e altri intellettuali messinesi di aver cospirato contro il governo, costringendo lo scienziato all’esilio. Egli si recò per un breve periodo in Calabria, poi a Roma, dove riprese i contatti con scienziati e amici frequentati nel periodo toscano e nei primi anni romani: Ricci, Antonio Oliva, Lucantonio Porzio. Prese parte alle riunioni del gruppo che collaborava al «Giornale de’ letterati» e ottenne la protezione della regina Cristina di Svezia, diventando membro della sua Accademia. Nel 1677 ottenne ospitalità presso la Casa generalizia dell’Ordine degli scolopi, dove diede lezioni di matematica ai novizi. Grazie al sostegno di Ottavio Falconieri, concluse le sue ricerche sui Conici di Apollonio e terminò la stesura del De motu animalium. Morì il 31 dicembre 1679. Poco dopo la sua morte lo scritto fu rivisto da alcuni suoi allievi e dato alle stampe, grazie al finanziamento di Cristina di Svezia e all’intervento di padre Carlo di Gesù (Carlo Giovanni Pirroni), generale della Casa di San Pantaleo.
L’ingresso di Borelli nella Casa di San Pantaleo nel 1677, dopo la fuga da Messina, non è un elemento casuale nella sua biografia, dal momento che i suoi contatti con i padri scolopi accompagnarono buona parte dei suoi spostamenti lungo la penisola, consolidandosi durante e dopo la prima esperienza siciliana. A San Pantaleo Borelli insegnò matematica dal 1677 al 1679, lasciando alla Casa generalizia dell’ordine l’eredità della sua produzione scientifica: la stesura definitiva della Pars altera del De motu animalium. Nella sezione introduttiva dell’opera, Pirroni, preposto generale delle Scuole Pie a Roma e ultimo allievo di Borelli, presentava il De motu come il risultato di un dibattito trentennale che aveva coinvolto la comunità scientifica della penisola, inaugurato dallo stesso scienziato nel suo scritto sulle febbri del 1649, ma che aveva avuto uno sviluppo decisivo nel periodo 1664-1667.
Pirroni sosteneva che, se i dati biografici collocavano Borelli in ambito napoletano, era al contesto culturale della Toscana medicea (Accademia del Cimento, università, corte granducale) che doveva essere ascritta la sua maturazione scientifica, cui riconnetteva tuttavia anche i rapporti con l’Accademia di Cristina di Svezia e soprattutto con la casa scolopica di Roma. Del tutto irrilevanti apparivano gli anni messinesi, i contatti con l’Accademia della Fucina, la protezione del Senato di Messina, mentre largo spazio Pirroni dava a Borelli come intellettuale galileiano, la cui attività risultava compatibile con la riflessione, mai sopita, sui rapporti tra scienza e fede, al punto che a Iacopo e a Michelangelo Ricci, rispettivamente confessore dello scienziato e segretario della Congregazione delle sacre indulgenze, attribuiva il ruolo di suoi referenti scientifici, oltre che religiosi. Non era un caso dunque che il rapporto con gli scolopi, iniziato nei primi anni romani alla scuola di Benedetto Castelli, si fosse consolidato durante il periodo trascorso da Borelli in Toscana, dove la saldatura fra tradizione galileiana e scienza degli ordini religiosi si era realizzata dopo la morte di Galilei.
La fondazione di una scuola scolopica di scienze matematiche avrebbe consentito altresì di promuovere gli studi di Borelli in Italia e in Europa. Prova ne sarebbe stato l’alto numero di scolopi fra i suoi allievi, inviati dopo la sua morte in Spagna, Olanda, Francia, Inghilterra, a fronte della quantità esigua di studiosi che lo scienziato sembrava aver formato in Sicilia e persino in Toscana. Il tentativo di promuovere l’attività di Borelli nei principali centri della cultura europea finiva dunque con il percorrere il doppio binario su cui si era articolato il suo processo di formazione: la Toscana medicea e la tradizione culturale di decisa impronta galileiana, ma anche i luoghi di convergenza di questa stessa tradizione con la vita religiosa.
Le attività di Borelli in Toscana e Messina appaiono tanto più aderenti a un unico quadro culturale, se l’esperienza messinese è considerata non già un’appendice di quella avuta in Toscana, quanto l’espressione di un unico processo di crescita intellettuale avvenuto tra il 1637 e il 1679. Ancor più significativo risulta il dato dei circa venti anni di permanenza di Borelli in Sicilia, un periodo molto più lungo di quello trascorso in Toscana. Tra il 1639 e il 1656 lo scienziato fece sicuramente parte del patriziato messinese legato all’istituzione senatoria, partecipando ai lavori dell’Accademia della Fucina; questo non gli impedì, all’inizio del secondo soggiorno in Sicilia, di mantenere contatti con Leopoldo de’ Medici e con i suoi colleghi toscani.
In una lettera inviata a Leopoldo nel 1671 Borelli scrive del De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus riconoscendo l’importanza che le esperienze sul vuoto e sulla costituzione della materia, ma anche quelle sulla forza della percossa svolte nell’Accademia del Cimento, avevano avuto tanto per la materia del suo libro, quanto per gli studi successivi «sulla immensa forza dei muscoli con le sue cause mecaniche dimostrate» (Lettera di Giovanni Alfonso Borelli a Leopoldo de’ Medici, Messina, 13 aprile 1671, Firenze, Biblioteca nazionale, ms. Gal. 279, c. 49r); il riferimento al De motu animalium rendeva poi evidente l’intento dell’autore di ricondurre a un unico filone di indagini tutte le proprie esperienze e tutti i contesti in cui esse avevano avuto luogo.
Gli studi vulcanologici di Borelli iniziarono con osservazioni compiute presumibilmente tra il 1633 e il 1637, e si conclusero con la pubblicazione della Historia et meteorologia et incendji Aetnei (1670). Significativo è che questi studi furono condotti, oltre che sulla base delle esperienze sul vuoto svolte presso l’Accademia del Cimento e quella degli Investiganti, nel solco delle indagini che avevano visto impegnati alcuni esponenti della cultura siciliana, come il pittore e naturalista Agostino Scilla (1629-1700), ma anche scienziati di fama europea come Nicolò Stenone (1638-1686).
I continui riferimenti a esperienze condotte in ambito italiano ed europeo e in ambiti istituzionali eterogenei rinviano all’estrema plasticità spazio-temporale della comunità intellettuale cui Borelli apparteneva. La dedica a Ferdinando de’ Medici delle Theoricae mediceorum planetarum trova infatti complemento nelle dediche alle famiglie Ruffo e Ventimiglia degli scritti sull’eruzione dell’Etna (1670) e del De vi percussionis liber; analogamente, venti anni prima, gli scritti le Cagioni delle febbri maligne della Sicilia negli anni 1647 e 1648 e il Discorso contro Pietro Emanuele (1646) erano stati dedicati al Senato messinese e all’Accademia della Fucina.
Se si considera ininterrotto il filo delle esperienze borelliane tra il 1657 e il 1673, anno dell’ultimo contatto documentato di Borelli con Leopoldo de’ Medici, non si può fare a meno di comporre in un unico quadro i frammenti di un confronto fittissimo, veicolato dallo spostamento dei soggetti culturali e dalla continua ridefinizione dei centri di aggregazione scientifica, ma anche dalla circolazione continua degli oggetti culturali. La possibilità di costituire una comunità allargata in grado di confrontarsi sui diversi aspetti del sapere scientifico era confortata da due principi metodologici e teorici: il primo risiedeva nella convinzione che la creazione di laboratori sperimentali fosse la riproposizione in ambienti circoscritti del ben più ampio laboratorio costituito dalla natura, e che questo luogo di esperienze potesse essere individuato in ogni fenomeno, chimico, fisiologico, fisico, della materia celeste e terrestre; il secondo principio considerava la materia celeste e terrestre costituita da particulae materiali dotate di gravitas; in tal senso, in tutti i corpi materiali queste particulae, muovendosi, sono soggette ad azioni di pressione, urto (ictus), risposta agli urti (reflexio, resilitio), assorbimento della vis percussiva e accelerazione. I movimenti delle particulae materiali determinano i fenomeni fisici e chimici ma anche le alterazioni morfologiche dei corpi. Gli strumenti per l’interpretazione di questi fenomeni sono forniti dalla loro natura intrinsecamente matematico-geometrica. Potevano dunque costituire oggetto di confronto per una comunità di scienziati che individuasse un codice universale nel linguaggio matematico così come nei procedimenti logico-argomentativi rigorosi.
Per Borelli l’idea di un tessuto matematico dei fenomeni era presente nello scritto sulle febbri del 1649; quella della necessità di procedimenti logico-matematici rigorosi era stata espressa tanto nella polemica contro Pietro Emanuele, quanto nella riedizione degli scritti euclidei e nel recupero di quelli sui Conici di Apollonio. A partire da questi studi lo scienziato aveva costruito un dialogo a distanza, condotto attraverso lettere e scritti, o diretto, grazie alla partecipazione a esperienze e riunioni svolte in luoghi istituzionali, «private adunanze», dalla Accademia della Fucina alla Accademia del Cimento, all’Accademia degli Investiganti, che costituivano come il mosaico di un’unica, grande accademia di tutte le scienze. In questo dialogo ininterrotto Borelli partiva dallo studio di fenomeni fisiologici come le febbri, passava per l’osservazione di eventi naturali come l’eruzione dell’Etna, formulava ipotesi sulla costituzione della materia e sul moto come principio di ogni fenomeno sia fisico sia organico.
Nelle Theoricae mediceorum planetarum, il principio della inerenza della gravitas ai corpi fisici consentiva l’analisi del movimento dei pianeti e della «machina caelorum (la macchina dei cieli)» costruita dal Divino Architetto. Essa aveva il comportamento di un automa i cui ingranaggi, al pari di quelli di un orologio, regolavano i moti della Luna e delle stelle, considerati a loro volta come «locali ministri» della sapienza divina. Nel De vi percussionis, il ‘tremore’ o impercettibile moto oscillatorio di questi corpuscoli era il nucleo della spiegazione della composizione della materia in ogni suo stato di aggregazione. Ancora nel 1670 i fenomeni di combustione e le esperienze relative al vuoto ricostruite rispettivamente nella Historia et meteorologia incendji Aetnei e nel De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus facevano riferimento a questo principio. È importante sottolineare che gli atomi o minima materiali figurati e duri, i corpuscoli o particulae, furono associati da Borelli, già a partire dagli scritti del 1667, a piccole macchine semplici o machinulae: cunei, armille, pendoli sottoposti alle stesse leggi che regolavano il comportamento dei corpi da esse formati e più in generale dell’intera fabbrica dell’universo.
Il modello-macchina era per Borelli funzionale alla comprensibilità del sistema del mondo che supponeva creato secondo regole semplici e intellegibili dalla mente umana, e per questo riproducibile in un laboratorio di esperienze. È sufficiente scorrere alcune pagine del De motu animalium per verificare questo assunto. Nella sezione dedicata alla fisiologia della circolazione del sangue e della respirazione, Borelli partiva dall’analisi della meccanica del pendolo e dalle caratteristiche dei moti oscillatori per descrivere i processi di dilatazione e restringimento di alcune parti dell’organismo animale che, al pari dei minimi costituenti i corpi materiali, assumevano un movimento ritmico associabile al tremore o al moto di oscillazione di piccolissimi pendoli. Nel moto oscillatorio l’alternanza delle vibrazioni era data dall’aumento progressivo della velocità e dalla successiva diminuzione. Allo stesso modo Borelli spiegava il meccanismo di formazione dell’embrione: la pulsazione osservata nel primo atto di formazione della vita era un continuo, microscopico moto oscillatorio. Un’ulteriore conferma della enorme portata degli studi sui moti oscillatori introdotti da Galilei, capace di influire sui più diversi ambiti di ricerca.
Discorso.[…] nel quale si manifestano le falsità, e gli errori, contenuti nella difesa del problema geometrico risoluto dal R.P. Emanuele, Messina 1646.
Delle cagioni delle febbri maligne in Sicilia negli anni 1647 e 1648 […], Cosenza 1649.
Euclides restitutus […], Pisis 1658.
Apollonii Pergaei Conicorum Libri V VI VII […], Florentiae 1661.
P.M. Mutoli [ma G.A. Borelli], Del movimento della cometa apparsa il mese di dicembre del 1664 in Pisa, Pisa 1665.
Theoricae mediceorum planetarum […], Florentiae 1666.
De vi percussionis liber […], Bononiae 1667.
Historia et meteorologia incendij Aetnei anni 1669 […], Regio Iulio 1670.
De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus […], Regio Iulio 1670 e 1672.
Elementa conica Apollonii Paergei et Archimedis. Opera nova et breviori methodo demonstrata a Ioanne Alphonso Borello, Romae 1679.
De motu animalium, […] Pars prima, Romae 1680; Pars altera, Romae 1681.
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