CARAFA, Giovanni Alfonso
Duca di Collepietro e di Castelnuovo, nacque, il 5 dicembre 1609, da Pietro e da Isabella Grisone.
La famiglia apparteneva al ramo dei Carafa di Montorio. Il ducato di Collepietro (nella zona aquilana, nei pressi del fiume Atemo, nella provincia di Abruzzo Ultra) era l'unico possedimento abruzzese della famiglia Carafa sopravvissuto alla reazione anticarafesca dopo la morte di papa Paolo IV.
Il C. sposò Cecilia Salvo, dei marchesi di Sant'Angelo di Scala, dalla quale ebbe un figlio, Francesco, ed una figlia. Le non molte notizie a lui relative si riferiscono essenzialmente ai moti del 1647-48, cui egli partecipò aderendo apertamente al partito filofrancese. Dopo aver militato per qualche tempo nelle file dell'esercito baronale, nel gennaio 1648 si recò in Abruzzo col pretesto di raccogliere uomini per muovere contro un fuoruscito che compiva frequenti scorrerie con i popolari in Terra di Lavoro. La vera ragione del ritorno in Abruzzo del C. era, tuttavia, quella di porsi alla testa della rivolta, cui aderivano non poche famiglie della media nobiltà abruzzese.
Delle sue intenzioni non era, però, all'oscuro il preside della provincia di Abruzzo Ultra, Michele Pignatelli, già al corrente dei contatti avuti dal C. con la parte popolare e con l'ambasciatore di Francia a Roma. Pertanto, il tentativo del C. di farsi assegnare un incarico nella provincia di Abruzzo Citra, e in particolare presso Pescara, per impadronirsi della città, fallì.
Egli fu, quindi, costretto ad agire allo scoperto: il 16 febbr. 1648 entrava in Chieti, malgrado l'ostilità dichiarata dei cittadini, in qualità di maestro di campo generale della Repubblica napoletana. Da Chieti prese le mosse per assoggettare buona parte della provincia. Nel marzo prese Capestrano, importante fortezza che impediva ai Francesi il passaggio dall'una alla altra provincia abruzzese. Spianatasi così la strada, dapprima si spinse con circa 3.000 uomini fino ad Atri, quindi giunse in vista di Teramo, accampandosi con la sua cavalleria sulle colline intorno alla città. Il Pignatelli riuscì, tuttavia, a respingerlo e ad impadronirsi, nell'aprile del 1648, anche di Giulianova, per cui il C. fu costretto a ritirarsi a Chieti. Ai primi di aprile egli aveva compreso di trovarsi in difficoltà per l'avvicinarsi del Pignatelli e in alcune lettere inviate al duca di Guisa aveva lamentato che l'ambasciatore di Francia non gli avesse inviato i soccorsi necessari.
In quegli stessi giorni a Napoli si aveva la resa dei ribelli. Il C., invitato dalla cittadinanza di Chieti ad allontanarsi, tentò dapprima un accordo con don Giovanni d'Austria, al quale chiese di essere eletto preside di quella provincia. Di fronte all'insistenza dei cittadini affinché lasciasse Chieti egli fece per un certo tempo resistenza, finché, per non arrendersi al Pignatelli, il 24 apr. 1648, fuggì con 800 persone verso Roma, dove si rifugiò in casa dell'ambasciatore francese.
Secondo l'Antinori, i beni del C. vennero confiscati e alcune terre, che avevano fatto parte dei suoi possedimenti, furono date a Giulio Pezzola, ex bandito resosi benemerito per aver combattuto con gli Spagnoli durante i moti. Lo Scandone (in Litta) afferma che le proprietà del C. vennero concesse in amministrazione a tale Carlo Carfora, il quale, nel 1652, prevedendo un esito negativo delle liti tra i creditori del duca ed il fisco, preferì cedere ciò che a lui sarebbe spettato al Monte e Banco dei poveri. Nel 1653 Castelnuovo fu venduto e si procedette alla liquidazione dei creditori del Carafa.
Nell'agosto del 1648 il C. partecipò alla spedizione francese contro Napoli guidata da Tommaso di Savoia. Escluso dall'indulto generale proclamato dall'Oñate all'indomani della resa, non si hanno notizie su come e dove egli visse negli anni successivi. Evidentemente inesatta la notizia fornita dall'Antinori della sua morte poco dopo il 1650, dal momento che nel 1654, in occasione della nuova spedizione francese contro Napoli, lo ritroviamo a Farfa, dove un gruppo di nobili filofrancesi, che godeva dell'appoggio del cardinale Antonio Barberini, aveva riunito circa 1.200 uomini con l'intenzione di muovere verso L'Aquila. Il ritiro della flotta francese dal golfo di Napoli, nello stesso 1654 fece fallire il progetto, mentre il viceré conte di Castrillo rinnovava contro il C. e gli altri fuorusciti bandi e taglie. Poco dopo egli veniva arrestato e carcerato a Siena, ma ben presto rimesso in libertà in seguito alle pressioni francesi sul granduca di Toscana. Poté tornare a Napoli solo dopo la conclusione, nel 1659, della pace tra Spagna e Francia e la pubblicatione, nel 1661, ad opera del viceré Peñaranda dell'indulto, esteso anche a lui. Nell'atmosfera di ortodossia e lealismo verso la Spagna, che costituivano ormai i cardini del comportamento politico della nobiltà napoletana, egli fu accolto da quest'ultima con molta freddezza e pare che egli stesso preferisse vivere molto ritiratamente. Morì, dopo poco tempo, a Napoli di "febbre maligna" (Capecelatro, III, p. 139).
Fonti e Bibl.: F. Capecelatro, Diario delle cose avvenute nel Reame di Napoli negli anni 1647-1650, II, Napoli 1852, pp. 243, 603; III, ibid. 1854, pp. 122-125, 126, 129, 139, 132 s., 394; I. Fuidoro, Successi del governo del conte d'Oñatte (1648-1653), a cura di A. Parente, Napoli 1932, p. 47; B. Aldimari, Historia geneal. della famiglia Carafa, Napoli 1691, II, pp. 158-161; D. A. Parrino, Teatro eroico e polit. de' governi de' viceré del Regno di Napoli, II, Napoli 1692, p. 221; A. L. Antinori, Raccolta di memorie istoriche delle tre Provincie degli Abruzzi, IV, Napoli 1783, pp. 341, 343, 358 ss., 365, 368 s., 371 s., 389 s., 394, 396, 398; G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello. Politica,cultura e società, Napoli 1972, pp. 33, 73; G. Incarnato, Il possesso feudale in Abruzzo Ultra dal 1500 al 1670, in Arch. stor. per le prov. napol., s. 3, X (1972), pp. 246 s.; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s.v. Carafa di Napoli, tav. XXXV.