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CESAREO, Giovanni Alfredo

di Francesco Muzzioli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)
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CESAREO, Giovanni Alfredo

Francesco Muzzioli

Nacque il 24 genn. 1860 da Niccolò e da Eugenia Donato Miranda, castigliana, a Messina, dove compì gli studi fino alla laurea in lettere. Il suo primo volume di versi fu Sotto gli aranci, edito da David a Ravenna nel 1881, con una prefazione del Rapisardi, che il C. difendeva, in quell'anno, con vivaci articoli sul Diavolo rosso di Messina. L'anno seguente, dopo l'attentato a Francesco Giuseppe, il C. espresse la sua passione patriottica in un'ode a Oberdan (All'ultimo martire, Messina 1882), che gli costò l'allontanamento dal Real Convitto "Dante Alighieri", dove insegnava.

Nel 1883era chiamato a Roma dall'editore A. Sommaruga per dirigere il periodico La Domenica letteraria, e rimase attratto dal mondo giornalistico romano: fu presente su altre testate sommarughiane come il Nabab e Cronaca bizantina, e inoltre sul Fanfulla della Domenica di F. Martini, e redattore capo del CapitanFracassa e della Riforma, foglio sostenitore del Crispi. In questo periodo (segnato anche da una contrastata storia sentimentale con E. Cattermole, la "Contessa Lara"), il C. si attirò, per i suoi attacchi impetuosi, molte antipatie nell'ambiente letterario, tra cui quella del Carducci. Non mancò di intervenire contro D'Annunzio, collaborando con Scarfoglio alla stesura del Risotto al Pomidauro, titolo parodistico di una serie di articoli comparsi sul Corriere di Roma nel 1886.

Intanto si applicava agli studi di erudizione, seguendo la sua giovanile adesione al positivismo. Lavorò alla Biblioteca Vaticana sotto la guida di monsignor Carini, seguì le lezioni di filologia romanza di E. Monaci, e profittò dell'invio in Germania da parte di un giornale per perfezionarsi nell'università di Bonn con W. Forster. Cominciò allora a raccogliere materiale per i saggi su Petrarca, Leopardi e Salvator Rosa, che dovevano venire completati e pubblicati negli anni '90.

Dal febbraio 1887 fino al dicembre 1890 tenne sulla Nuova Antologia una rubrica di letteratura spagnola. Nel 1894 pubblicò presso l'editore Giannotta di Catania uno dei suoi principali lavori critici, La poesia siciliana sotto gli Svevi, dove si proponeva di mostrare il sostrato popolaresco, e borghese da cui era nata la poesia di corte. In seguito agli appunti mossigli, il C. ritornò sull'argomento con Le origini della poesia lirica in Italia, uscito nel 1899 presso lo stesso editore (i due studi vennero poi riuniti in un unico volume per l'editore Sandron: Milano-Palermo 1924). Altri risultati delle ricerche di quegli anni, tra il 1891 e il 1897, trovarono spazio soprattutto sulle riviste Natura ed arte di Milano e La Nuova Rassegna di Roma.

Nel frattempo, nel 1894, il C. aveva conseguito la libera docenza presso l'università di Roma. Ma l'anno successivo, deluse le speranze di vincere il concorso alla cattedra di Messina, entrò in una crisi molto grave che approdò a un tentativo di suicidio. Riuscì invece vincitore alcuni anni dopo, nel 1898, anche in seguito alle discussioni del Carducci dalla commissione. Tenne quindi la cattedra di letteratura italiana all'università di Palermo, dove era succeduto a G. Mestica, fino al 1935; nel 1905 fu preside della facoltà di lettere e filosofia.

Dopo l'ingresso nel mondo accademico il C. si cimentò nell'orizzonte complessivo della Storia della letteratura italiana (Messina 1908).L'opera era impostata sul distacco dal metodo dei positivisti e sull'adesione al De Sanctis, assunto come maestro indiscusso.

In sostanza, il C. interpretava l'evoluzione letteraria come un succedersi di "forme" individuali e non di correnti o scuole; uno sviluppo progressivo verso l'espressione sempre più approfondita della realtà umana (quello che egli definiva col termine di "naturalismo"). Neanche questo lavoro venne accolto con favore, e Croce in seguito lo giudicò "poco più di un compendio dell'opera di De Sanctis, meno chiaro e meno preciso dell'originale" (Conversazioni critiche, II, Bari 1924, p. 193).

Nel 1912usciva a Bologna da Zanichelli il volume complessivo delle Poesie che raggruppava le precedenti raccolte: Le occidentali (Torino 1887), Gl'inni (Catania 1895), Le consolatrici (Palermo 1904): composizioni di genere e di tono vario, dall'idillico al tragico all'eroico (spesso sopra le righe, ad imitazione di Whitman e Hugo). Il lato più interessante è nella ricerca di musicalità, attraverso forti scansioni ritmiche e allitterazioni, fino agli esperimenti metrici dei Canti sinfoniali (scritti nel 1890, e andati a far parte delle Consolatrici), dove il verso è utilizzato con effetti fonosimbolici e onomatopeici.

Tra il 1912 e il 1914tenne una rubrica di "Conversazioni letterarie" sulla Gazzetta del popolo di Torino. In alcune pubblicazioni, soprattutto del primo periodo, si era presentato sotto gli pseudonimi di: "Hierro", "Un signore che guarda", "Don Juan", "Dott. Nero", "Il Principe Nero".

Lo scoppio della guerra mondiale trovò nel C. un aperto sostenitore con i versi I canti armati (usciti sulla Nuova Antologia nel 1915, poi inseriti nei Canti di Pan, Bologna 1920), che portano l'eroismo e il superomismo ai vertici più iperbolici. Ma la morte del figlio Ugo, avvenuta in un incidente durante l'addestramento militare, il 15 febbr. 1918, causò nel C. un quasi repentino ripiegamento nell'angoscia interiore. La raccolta che seguì, appunto I canti di Pan, recò il segno di queste opposte disposizioni esistenziali, l'euforia bellicista e il dolore paterno: in apertura di libro la stessa figura del dio Pan, di memoria dannunziana, è simbolo del contrasto tra gli istinti e la malinconia decadente.

Il conflitto interiore del C. si risolse con il ritorno alla fede religiosa, testimoniato nei Poemi dell'ombra (Bologna 1923) La raccolta comprende una serie di poemetti narrativi ispirati alla mitologia e alle Sacre Scritture, che preparano la strada all'inno conclusivo dove si annuncia, con il superamento dell'aridità scientifica, il pieno, armonico accordo dell'umano col divino. Contemporaneamente, cercava di sistematizzare le sue opinioni sull'arte in un testo, Saggio sull'arte creatrice (Bologna 1919), che avrebbe dovuto, nelle intenzioni, rivaleggiare con le teorie dell'idealismo crociano. Rifacendosi sempre al De Sanctis (cui è dedicato l'intero capitolo finale), ma più che altro riprendendo luoghi abbastanza comuni della estetica romantica, il C. propone un assoluto discrimine tra l'arte "disinteressata" e gli ambiti delle attività conoscitive o pratiche. La fantasia creatrice, momento supremo della libertà spirituale, suscita la "forma", la sintesi armonica della individualità dell'artista (che è, dunque, individuo privilegiato, e quasi al di sopra delle regole delle tecniche). Ma, al di là delle definizioni tautologiche ("l'arte è solo arte"), l'estetica cesareana offre scarse spiegazioni sulla genesi dell'arte e sulla sua collocazione filosofica.

Nel 1922 teneva una serie di lezioni su Dante al Collège de France di Parigi, sotto il titolo L'unité de la "Divina Commedia". Il 18 settembre 1924 era nominato senatore del regno. Il suo arco poetico si concludeva nel 1928 con I colloqui con Dio (Bologna 1928). Nell'ultimo periodo il C. abbandonava la ricerca melodica fine a se stessa, per privilegiare la enunciazione dei messaggi edificanti della religione: tutte le figure, anche quelle dei titanici malvagi (e Satana stesso), vengono introdotte soltanto per dimostrare l'inevitabile ascesa, verso il bene, della natura e della storia.

Il C. morì a Palermo il 7 maggio 1937.

Era stato membro della Accademia reale di scienze e lettere di Palermo, del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, dell'Accademia della Crusca.

Il C. si era dedicato subito alla letteratura: poeta, ma anche narratore, autore di teatro e traduttore. Lavorò inoltre con numerosi studi eruditi e con recensioni nel campo della storia letteraria, della critica e dell'estetica, ma sempre en litterateur, facendosi guidare dal suo impulso di poeta, e tendendo, sul piano del metodo, a scelte piuttosto eclettiche. Fu vicino ai suoi più famosi contemporanei, sebbene l'ardore polemico lo portasse a scontrarsi sovente con essi.

Lungo il suo itinerario di scrittore fu dannunziano nella costruzione di un "personaggio" mondano e vitalistico; fu carducciano nell'impegno patriottico-epico e nella conseguente ritmicità euforica; fu pascoliano nei momenti di ripiegamento interiore e di contemplazione idillica (filtrando anche Leopardi in questa chiave). Sul piano critico, secondo le sue stesse affermazioni, fu più desanctisiano che crociano, ma nella sostanza la sua posizione estetica è riconducibile a una esaltazione, romanticamente generica, della creatività poetica come massima libertà ed espressione spirituale.

Opere principali: Don Juan, Catania 1883; Saggi di critica, Ancona 1884; Avventure eroiche e galanti. Novelle, Torino 1887; Nuove ricerche su la vita e le opere di G. Leopardi, Torino-Roma 1893; Pasquino e la satira sotto Leone X, in La Nuova Rassegna, febbraio 1894, pp. 6-19; Su le "Poesie volgari" del Petrarca, Rocca San Casciano 1898; L'eroico nella poesia del Leopardi, in Roma letteraria, giugno 1898, pp. 265-274; Conversazioni letterarie, Catania 1899; La vita di G. Leopardi, Milano-Palermo 1902; Critica militante, Messina 1907; Stilistica, Palermo 1912; F. Petrarca. La vita, Messina 1920; Teatro mediterraneo, Catania 1921; La vita e l'arte di G. Meli, Palermo 1924; Storia delle teorie estetiche in Italia dal medio evo ai giorni nostri, Bologna 1924; Studi e ricerche su la letteratura italiana, Palermo 1929; Leopardi poeta d'amore, ibid. 1937.

Tra le pubblicazioni di classici latini e greci del C. si ricordano: De Petronio sermone, Romae 1887 (dissertaz. sulla lingua di Petronio); Le satire di Petronio volgarizzate con testo a fronte (ediz. Büchner), Firenze 1887 (la stessa edizione è stata ripubblicata, con qualche ritocco, a cura di N. Terzaghi: Petronio Arbitro, Il romanzo satirico, Firenze 1950); e due traduzioni di Euripide (Ifigenia in Aulide, Milano 1933; Ippolito, Palermo 1936).

Bibl.: A. Jenroy, G. A. C., La poesia sicil. sotto gli Svevi, in Romania, XXIV (1894), pp. 465-472; L. Capuana, Un poeta:G. A. C., in La Nuova Parola, giugno 1905, pp. 468-474; F.Biondolillo, G. A. C., Palermo 1912; G. Gori, Il mantello d'Arlecchino, Roma 1914, pp. 161-79; Il poeta dell'umana tragedia, a cura di G. A.Peritore, Girgenti 1922; R. Zanghi, Saggio sulla poesia di G. A. C., Venezia 1926; G. Bertoni, G. A. C., in L'Italia che scrive, luglio 1932, pp.193 s.; F. Lo Savio, La poesia di G. A. C., in La Nuova Italia, V (1934), pp. 139-45; M. DiMarco, L'anima musicale di G. A. C. e i Canti sinfoniali, Palermo 1936; V. Cian, in Giorn. stor. della lett. ital., CIX (1937), pp. 369-72; G. Santangelo, G. A. C., Palermo 1937; G. Zagarrio, G. A. C. e la Roma sommarughiana, in Accademia, I (1945), 5-6, pp. 3-5; G. A. C. nel primo decennale della morte(1937-1947), a cura di G. Santangelo, Palermo 1947 (con scritti del e sul C.); G. Lo Curzio, La poesia di G. A. C., Palermo 1947; G. Natali, La conversione del C., in L'Osservatore romano, 8 giugno 1947; I. Calandrino, G. A. C., Mazara 1948; E. Li Gotti-G. Natali, G. A. C., in I Critici, II, Milano 1969, pp. 1175-1201.

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