CHIAVARINA, Giovanni Andrea Giacinto
Nacque a Torino intorno al 1720.Suo padre Giovanni Domenico, funzionario dello Stato sabaudo, ricopriva dal 14 giugno 1719 la carica di commissario di Guerra e indirizzò la formazione del giovane C. verso la carriera burocratica. Questi, entrato nell'apparato statale dapprima percorse con regolarità i vari gradi gerarchici della carriera amministrativa. Fu addetto alla segreteria di Guerra, quale sottosegretario, il 20nov. 1743; nominato segretario il 7 maggio 1751, fu poi promosso primo ufficiale l'8 ott. 1757. Nel 1771 si delineava per lui un avvenire più brillante: fu chiamato da Carlo Emanuele III a ricoprire la carica di segretario di gabinetto. Una routine burocratica di lungo periodo, le prove di diligenza nel servizio, in cui fu buon esecutore delle direttive del ministro Bogino, posero il C. in vista presso il nuovo sovrano Vittorio Amedeo III, deciso a rompere con la tradizione amministrativa consolidatasi durante il lungo regno di Carlo Emanuele III. Salito al trono, infatti, Vittorio Amedeo III sostituì tutto l'apparato burocratico che tante prove di sana amministrazione aveva fornito; chiamò ai compiti fondamentali dello Stato uomini mediocri, quasi temendo gli antichi collaboratori del padre. Congedò, tra gli altri, il Bogino e il Lascaris sostituendo a quest'ultimo il d'Aigueblanche, uomo di poco valore che divenne suo potente consigliere. Nelle sfere di governo si espresse ben presto la tendenza a chiudersi all'esterno, isolando il Piemonte dalle grandi correnti di pensiero e di azione politica del Settecento europeo. Il C. fu uno degli homines novi chiamati a sostenere una linea politica così concepita; egli, buon esecutore di ordini, venne chiamato a sostituire il Bogino nell'alta carica di primo segretario di Guerra (28 apr. 1775). Sin dal 1759 l'ufficio di primo segretario di guerra era unito a quello di segretario di Stato per la Sardegna e di segretario di Guerra per i territori dell'isola. Il C. fu dunque gravato degli stessi importanti compiti che il Bogino aveva gestito con successo. La scelta del nuovo ministro della Guerra fu una delle meno felici; un ministro di spiccata personalità avrebbe forse potuto impedire l'adozione delle riforme che il nuovo monarca apportò all'ordinamento militare sabaudo. Il C. invece dette tutto il suo apporto a tale progetto.
Vittorio Amedeo III, avviato dal padre allo studio dell'organizzazione dell'esercito di Federico II di Prussia, ne aveva fortemente ammirato metodi e programmi tanto da volerli applicare in larga misura al Piemonte, quasi ignorando la sostanziale diversità delle condizioni politiche ed economiche dei due Stati. Fu accentuato il carattere nazionale dell'esercito, si suddivisero le varie armi in complessi di più corpi, si variarono inoltre le uniformi, si creò una macchinosa organizzazione. Nella riforma si profusero in pochi anni lire 10.000.000, una elevata quota delle entrate statali; le severe critiche e i deludenti risultati convinsero ben presto Vittorio Amedeo III a rinunciare a molte innovazioni per correggere la macchinosità dell'impianto creato (22 giugno 1786). Delle scelte volute dal sovrano il C. si fece carico e portò il peso di tutta la responsabilità.
Per lui, che aveva raggiunto le più elevate cariche dello Stato, divenne improrogabile, secondo lo schema classico dell'ascesa sociale della borghesia, l'acquisto della nobilitazione. Egli aveva già ottenuto la croce dei SS. Maurizio e Lazzaro e di tale Ordine fu consigliere. Quando con manifesto della Camera dei conti del 26 maggio 1775 vennero messi in vendita beni giudiziari ed effetti demaniali e tra essi il luogo, feudo e giurisdizione di Rubiana nella provincia di Susa con titolo e dignità comitale, il C. ne fece acquisto per lire 14.015 di Piemonte per sé e per i propri discendenti maschi e in difetto dei maschi per linea femminile: il 12 marzo 1776 ottenne l'infeudazione. Una successiva patente del 7 genn. 1777, precisati i contenuti territoriali della concessione (erano infatti insorte difficoltà per beni cadenti nella comunità di Almese, anziché in quella di Rubiana), confermò la precedente infeudazione.
Quale responsabile degli affari di Sardegna, il C. ordinò l'esportazione di granaglie per provvedere all'approvvigionamento degli Stati di terraferma. Il 28 apr. 1779, dopo trentasei anni di attivo servizio, venne destinato ad un incarico "molto onorevole e di somma confidenza": gli fu affidata, quale presidente capo, la sovrintendenza degli Archivi regi, ufficio a cui erano riconosciute le prerogative e preminenze delle supreme magistrature dello Stato. In tale ruolo gli fu affidato il compito di sostenere la tesi della origine sassone della casa Savoia. L'ipotesi, per lungo tempo accettata, era stata contestata da L. A. Muratori; il C. avrebbe dovuto fornire prove utili a sostenere le desiderate origini. Egli si dedicò all'opera producendo lunghe memorie sui precedenti storici di tale indagine (relazioni 15 giugno e 18 luglio 1781).
Su proposta del C. stesso venne affidato l'incarico di ulteriori indagini in argomento al conte M. Rangone, consigliere di Stato, con l'assistenza del bibliotecario dell'università abate Berta. Essi pervennero ad una raccolta di documenti ed all'elaborazione di una "tesi" fondata sulla "cronaca di Ditmaro"; ma la debolezza delle argomentazioni, già sottolineata dal Vernazza, apparve ben presto. Con regio biglietto del 22 ott. 1781 era stata peraltro creata una "Giunta" per raccogliere documenti riguardanti la dinastia sabauda. Nel 1782 il C., nell'esercizio delle funzioni di sovrintendente degli Archivi di corte, elaborò un progetto di regolamento per tali servizi.
Nel febbraio 1785, colpito da grave malattia, egli affidò al notaio G. T. Sella un testamento segreto aperto in seguito alla morte sopravvenuta a Torino il 14 marzo 1785.
Il testamento e l'inventario dei beni, redatti dal notaio Calvi nel luglio dello stesso anno, permettono di intravedere le vicende, i condizionamenti sociali e i limiti della carriera di un borghese tra ambizione e potere. Il C., detentore d'un ingente patrimonio (ne facevano parte, oltre a beni immobili, libri, argenterie, quadri di grande valore indicati come opere di Tiziano, Paolo Veronese, Caravaggio, Van Dyck, Dürer), al momento della morte deve imporre limitazioni ed uno scadimento del tenore di vita alla moglie e ai due figli ancora in minore età per far fronte agli onerosi debiti contratti per l'acquisto di una fastosa dimora in Torino. Il C. infatti, lasciato l'incarico di ministro della Guerra, aveva dovuto cedere l'alloggio di cui godeva nel palazzo regio. Il ruolo sociale raggiunto e le "superiori insinuazioni" avevano determinato l'acquisto della nuova casa e con esso l'assunzione degli impegni che resero insicuro l'avvenire di un ricco patrimonio. Il C. aveva sposato nel 1772 Luisa Bertolero d'Almese. Ebbe due figli, Domenico Amedeo e Maria Genoveffa Geltrude.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Arch. di Corte,Regi Archivi, categoria I, mazzo 3, fasc. 2, 3, 4; Ibid., ibid., Storia Real Casa,Origini, cat. I, mazzo I di addizione, fasc. 3, 4; Ibid., Arch. Camerale,Patenti Controllo Finanze, 1743, reg. 18, f. 18; 1751, reg. 24, f. 48; 1757, reg. 30, f. 54; 1771, reg. 45, f. 35; 1773, reg. 47, f. 1; 1775, reg. 50, f. 156; 1776, reg. 52, f. 63; 1777, reg. 53, f. 115; 1779, reg. 56, f. 148; Ibid., Insinuazione di Torino, 1785, lib. 3, cc. 1425, 1436v; 1785, libro 7, c. 1213; Ibid., Sez. riunite, G.Claretta, Dizion. biogr. genealogico del Piemonte (A-G), ad vocem;Ibid., A. Manno, Il patriziato subalpino (datt.), III, 7, pp. 59 s.; Relaz. del Piemonte del segret. francese Sainte-Croix, a cura di A. Manno, in Misc. di storia ital., XVI (1877), pp. 73, 152, 245, 276, 402; G. Galli, Cariche del Piemonte e Paesi uniti, Torino 1798, III, pp. 74 s.; App. II, pp. 47 s.; L. Cibrario, Origini e progr. della monarchia di Savoia, Firenze 1869, pp. 187, 407; G. Silingardi, L. A. Muratori e i re sabaudi Vittorio Amedeo III e Carlo Emanuele III, Modena 1872, p. 217; Atti dell'Accad. delle scienze di Torino, XIII (1877), seduta del 21 gennaio, in Rendic. delle sedute delle società storiche e delle accademie, in Arch. stor. lombardo, IV(1877), p. 408; D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero francese, Torino 1892, II, p. 371; C.Baudino, Le istituzioni militari del Piemonte, in Storia del Piemonte, Torino 1961, I, pp. 453 ss.