MONIGLIA, Giovanni Andrea
– Nacque a Firenze il 22 marzo 1625 (non 1624 come riportato di frequente nella bibliografia) da Giovanni, originario di Sarzana, e da Pasquina Angiola Massari.
Educato prima alle Scuole pie, poi dai gesuiti, proseguì gli studi a Pisa, dove si laureò in medicina e filosofia il 2 apr. 1645. Nel 1649-50 fu ammesso nell’Accademia degli Apatisti (Firenze, Biblioteca Marucelliana, A.36, c. 57r). La sua prima opera di cui si abbia notizia certa è un trattato medico, L’Apollo, rimasto inedito (Ibid., Biblioteca Moreniana, Mss., 205; con dedica al principe Leopoldo de' Medici in data aprile 1651). L’opera, divisa in quattro parti, rispettivamente dedicate alla febbre etica, al vaiolo, alla febbre maligna e alla quartana, ciascuna preceduta da una canzone morale, doveva probabilmente contribuire a far ottenere al M. un insegnamento all’Università di Pisa, e infatti a distanza di appena un mese dal suo compimento, il cardinale Giovan Carlo de’ Medici, fratello del principe Leopoldo, segnalò il M. per una cattedra di medicina, ma ebbe esito negativo (lettera di Alessandro Minerbetti al Medici, Pisa 24 maggio 1651: Mamone, p. 159).
In quel periodo, o poco prima, deve collocarsi l’inizio dell’attività del M. come poeta di teatro al servizio dello stesso cardinale Medici. Alla fine del 1651 ultimò una commedia, probabilmente di ambiente cortigiano, avente come protagonista un certo duca Anselmo (ibid., pp. 163 s.). Due lettere di Francesco Panciatichi a Desiderio Montemagni dell’anno successivo (7 e 10 dic. 1652) testimoniano l’esecuzione degli intermezzi musicati da F. Cavalli di un’altra commedia (ibid., pp. 463 s.). A Bologna fu stampato nel 1652 (HH del Dozza), sotto il nome di Gelinio Valgemma Adriano e con la dedica di Anna Francesca Costa, cantante che godeva della protezione del cardinale, il dramma musicale L’Ergirodo, messo in scena il 9 genn. 1653 e forse ripreso poco dopo a Firenze con le scene e le macchine progettate da Ferdinando Tacca, al posto dell’Alessandro vincitor di se stesso di Francesco Sbarra. Un’altra lettera di Panciatichi, del 16 nov. 1653, riferendo di un malore della virtuosa Anna Maria Sardelli, detta Campaspe, testimonia il doppio ruolo del M., medico e poeta a corte e a teatro: «La signora Anna Maria ritornata di villa si ammalò alla commedia e si fece gran diligenze di trovare il Dottor Moniglia che era su per le scene» (ibid., p. 480).
Poco più che trentenne il M. fu nominato medico del cardinale Medici, risultando in ruolo dal 15 marzo 1656 con uno stipendio di 10 scudi mensili (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 5358, cc. 756-758). Su istanza del cardinale, il 7 febbr. 1657, giorno natalizio della granduchessa Vittoria Della Rovere, fu rappresentato dagli accademici Immobili per l’inaugurazione del teatro della Pergola Il potestà di Colognole, primo dei «drammi civili» del M., con la musica di Iacopo Melani (Ibid., Misc. medicea, 442: Diario di etichetta, c. 313). Seguirono, negli anni successivi, per lo stesso committente, Il pazzo per forza (1658) e Il vecchio balordo (1659) entrambi musicati da Melani, e La serva nobile, musicata da Domenico Anglesi (1661), rappresentati al teatro della Pergola in occasione del Carnevale, mentre La vedova, ovvero Amore vuole ingegno (1663), di nuovo con la musica di Melani, non fu messa in scena per l’improvvisa morte del cardinale.
I drammi civili in versi, divisi in tre atti con intermezzi danzati e cantati, rispettano uno schema classico: un vecchio si oppone all’amore di due giovani, che riescono a trionfare con l’aiuto di uno scaltro servitore. Nell’introduzione a Delle poesie dramatiche (I, Firenze 1689, p. IX), il M. prescrive che il «Divertimento degli animi sia onorato, nobile il sollievo, la ricreazione innocente», secondo il modello ispiratore di Terenzio, contrapposto a Plauto. I primi quattro drammi disegnano una sorta di esile saga familiare avente come protagonista Anselmo Giannozzi, cittadino fiorentino, del quale si segue la carriera nel dominio toscano: dapprima podestà a Colognole, poi in villeggiatura a San Casciano e infine console di Mare a Pisa. Un bizzarro ritratto del M. intento a scrivere La serva nobile è riconoscibile nel personaggio di Leon Magin da Ravignano nel Malmantile riacquistato di Lorenzo Lippi. Nel quinto dramma, La vedova, lo schema della trama si complica, con la duplicazione speculare dei personaggi: una coppia formata da due vecchi, un vedovo e una vedova, Marchione e Frasia, sono rivali addirittura di due coppie di giovani innamorati.
Nell’autunno del 1657 fu allestito al teatro del Cocomero dagli accademici Sorgenti un dramma musicale alla veneziana, lo Scipione in Cartagine, che ebbe diverse repliche.
Stampato anonimo (Firenze 1657) ed erroneamente attribuito al libraio G.B. Rontini, che ne firmò la dedica e nel 1661 pubblicò Il potestà di Colognole, fu assegnato al M. da Leone Allacci (Drammaturgia, Venezia 1755, col. 703). Di struttura simile all’Ergirodo per la complessità dell’antefatto, vede le peripezie della nobile Rosmira, che si arruola con il nome di Leonildo nell’esercito di Scipione per riconquistare il suo onore e l’amore di Filoro. Sul versante comico, degna di nota è l’invenzione dello schiavo moro Caralì, che si esprime in lingua franca nei duetti comici con Alarco, servo di Filoro.
Controversa è stata anche la paternità del Laurindo, in tre atti in prosa con intermezzi in versi, pervenuto con attribuzione al M. in un apografo datato 20 sett. 1657 (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII.799, cc. 92r-159v), ma comparso a stampa sotto il nome di Giacinto Andrea Cicognini, senza intermezzi, con il titolo Il principe giardiniero (Bologna 1664). Con la dedica al marchese Domenico Visconti, lo stampatore S. Zecchini pubblicò invece Gli equivoci dell’honore, overo La forza dell’ honore (Perugia 1661), con il nome del M. anagrammato in Gianadino Mileargo, sciolto poi in una nuova edizione dello stesso anno (ma un'altra edizione vide la luce a Venezia nel 1572 e in anni successivi di nuovo con il nome di Cicognini). Quest’ultima commedia, in tre atti in prosa, ambientata a Siviglia, per il suo linguaggio ancora pienamente barocco si discosta dalla produzione successiva del M., se non per il ruolo comico di uno dei servi, Bacocco, presente anche nel Laurindo, ed è probabilmente l’adattamento di un originale spagnolo. Seguirono, sempre al teatro del Cocomero, due commedie in prosa: della prima, rappresentata il 10 sett. 1658, non è noto il titolo (Arch. di Stato di Firenze, Diari di etichetta, 5, c. 92r); la seconda, La forza del destino, con intermezzi in musica, che ebbe tre repliche fino al 18 dic. 1658, è forse la stessa opera stampata alcuni anni dopo ancora con il nome di Cicognini (La disposizione e forza del destino, Bologna 1664).
L’Hipermestra, prima delle feste teatrali fiorentine del M., fu rappresentata al teatro della Pergola nell’estate 1658. Del fastoso allestimento e dell’azione scenica fu pubblicato un resoconto redatto dal priore Orazio Ricasoli Rucellai, Descrizione della presa d’Argo e degli amori di Linceo con Hipermestra (Firenze 1658).
L’opera ebbe una gestazione assai lunga, poiché già in una lettera datata 13 genn. 1650 [ma 1651], il cardinale Giovan Carlo de’ Medici aveva chiesto aiuto al fratello Mattias per l'allestimento della rappresentazione. Nel luglio 1654 F. Cavalli accettò l’incarico di musicarla, ricevendo il libretto approntato dal M., e consegnò la partitura in autunno. Nell’ottobre 1654, durante le prove dell’opera, il cardinale ebbe un malore da cui si riprese, ma alla fine dell’anno fu chiamato a Roma per il conclave e la rappresentazione fu rinviata. Infine, nel marzo 1658 Cavalli fu incaricato di riscrivere la musica per il nuovo prologo scritto dal M. per la nascita dell’infante di Spagna. Il dramma del M. fu rappresentato almeno due volte: a Venezia nel Carnevale 1673 (con il titolo La costanza trionfante, revisione di C. Ivanovich, musiche di G.D. Partenio, teatro S. Moisè) e a Roma nel gennaio 1679 (Dov'aè more è pietà, revisione forse di D.F. Contini, musiche di B. Pasquini, palazzo Capranica).
Le nozze del principe ereditario Cosimo con Margherita Luisa d’Orléans furono l’occasione per rappresentare altre due feste teatrali con libretto del Moniglia. La prima, Il mondo festeggiante, fu un balletto a cavallo rappresentato nel giardino di Boboli il 1° luglio 1661, con le coreografie di Alessandro Carducci, la musica di Anglesi, le scene e le macchine di Tacca. Il 12 luglio, al teatro della Pergola, fu invece dato l’Ercole in Tebe, in cinque atti, musicato da Melani e con Antonio Cesti, tenore, nel ruolo eponimo. Le descrizioni dei due spettacoli furono redatte da Alessandro Segni, bibliotecario del granduca Fedinando II (Memoria delle feste fatte in Firenze per le reali nozze..., Firenze 1662).
L’affermazione a corte del M. come medico e come poeta teatrale creò inevitabili gelosie e invidie. Egli ne uscì sempre indenne, grazie tanto al suo spirito pungente quanto all’autorità dei suoi reali protettori, creandosi così la fama di uomo maligno e pericoloso, alimentata anche dalla maldicenza degli avversari sconfitti. Forse la prima delle querelles in cui fu coinvolto fu quella con l’abate Antonio Lanci. All’origine fu una beffa architettata nel 1660 da Lanci, che in una commedia da rappresentarsi a Pisa aveva inserito una scena nella quale appariva il personaggio di un medico dedito alla poesia, in cui chiaramente si poteva riconoscere il Moniglia. Questi si vendicò l’anno successivo con l’intermezzo dell’Ercole in Tebe, in cui nella parte di Sifone era contraffatto proprio l’abate Lanci. Fra gli anni 1662-63 si trascinò la disputa con il medico Innocenzio Valentini per la cura di Agostino Strozzi, paziente del M., e sull’uso dell’acqua della Ficoncella, di cui sono testimonianza i libelli le Repliche del dott. Gianadino Meleagro alla risposta del dott. I. Valentini al manifesto del dott. G.A. Moniglia (Firenze 1662) e le Risposte del dott. G.A. Moneglia alle repliche voarcadumiche del sig. dott. I. Valentini (Firenze 1663).
Nell’autunno del 1661, dopo il 6 ottobre (data della dedica nel libretto stampato da G.B. Rontini), al teatro del Cocomero fu replicato Il potestà di Colognole in onore dell’arciduca d’Austria Ferdinando Carlo e di sua moglie Anna de’ Medici. Per il Carnevale del 1663 si sarebbe dovuto rappresentare un nuovo dramma civile del M., La vedova, ovvero Amore vuole ingegno. Il 4 gennaio il M. accompagnò Giovan Carlo de’ Medici alla villa di Castello, dove si sarebbero svolte le prove, ma il 12 il cardinale fu colpito da paralisi e morì il giorno 23 (a stendere il referto fu lo stesso M.). La vedova sarebbe stata rappresentata per la prima volta solo nel 1680 nel giardino del palazzo del marchese B. Corsini. Con lo pseudonimo di Bernardino Algimoni intanto venne pubblicato Il capriccio d’amore, favola pastorale in tre atti in prosa (Bologna 1663), che pur nella convenzionalità del genere si lascia sfuggire alcune ironie metatestuali (il contrassegno che, portato al collo, permette l’agnizione della ninfa Selvaggia, figlia di Saldeo, è «un breve contro li vermi, coperto di raso incarnatino»).
Su richiesta del principe Leopoldo de’ Medici il M. compose la Semiramide, musicata da Antonio Cesti. Commissionata originariamente per le nozze dell’arciduca Sigismondo d'Asburgo, che si sarebbero dovute celebrare in settembre, se non fosse intervenuta la morte improvvisa del principe il 24 giugno 1665, il dramma fu messo in scena a Vienna, al teatro di corte, il 9 giugno 1667. Rimaneggiato per i teatri veneziani, fu rappresentato con il nuovo titolo La schiava fortunata (Venezia 1674). Probabilmente da datarsi alla stessa altezza temporale della Semiramide, ma sicuramente anteriore al 1667, è La Giocasta regina d’Armenia, dramma musicale richiesto dal principe Mattias a Cesti quando ancora era alla corte imperiale. Pure di ambientazione armena, ma probabilmente di più tarda composizione, è anche il Radamisto, tratto liberamente dalla vicenda narrata da Tacito (Annales, XII, 51).
Una nuova opera di medicina, in forma di epistola, sulla cura della podagra, De viribus, Arcani Aurei Antipodagrici epistola (Firenze 1666) dovette essere preludio all’incarico universitario negatogli nel 1651: nel 1667 fu infatti aggiunto come insegnante dello Studio pisano. Alle nozze di Giovanni Giorgio III principe elettore di Sassonia e di Anna Sofia, principessa ereditaria di Danimarca, avvenute il 9 ott. 1666, fu destinato Il Teseo, festa teatrale del M. in cinque atti. L’opera fu rappresentata a Dresda, nel teatro di corte, il 27 genn. 1667. Nello stesso anno, il 2 settembre, il M. fu ammesso nell’Accademia della Crusca. In autunno, partendo da Firenze il 22 ottobre, intraprese il viaggio in Germania al seguito del principe Cosimo: dell'esperienza resta un diario in versi, parzialmente edito da E. Benvenuti nel 1912. Divenuto al ritorno medico particolare della granduchessa Vittoria Della Rovere, il M. scrisse per lei anche drammi musicali: Il ritorno d’Ulisse (Pisa 1669), rappresentato nella sala del palazzo del granduca a Pisa per l’onomastico della granduchessa, e l’Enea in Italia (ibid. 1670), entrambi musicati da Melani. Un ritorno al dramma civile, di ambientazione moderna, si ebbe invece con Tacere et amare (Firenze 1674), sempre in collaborazione con il musicista Melani, rappresentato dall’Accademia degli Infuocati presso il teatro del Cocomero.
L’ambientazione siciliana ne fa quasi una versione esotica della Serva nobile. La giovane Leonora, in abiti turchi per raggiungere il suo innamorato Leandro, si traveste da schiava, dicendosi figlia del pascià di Aleppo, così come la bolognese Isabella si era acconciata da serva per ritrovare a Pisa il giovane amante. Sebbene la commedia si finga al di fuori dello Stato toscano, i contadini usano, incongruamente, espressioni fiorentine e l’autore pone in fondo alla stampa, come negli altri drammi civili, una Dichiarazione de i proverbi, e vocaboli propri degli abitatori del contado, e della plebe fiorentina.
Di data incerta è la festa teatrale Il Germanico al Reno, incentrata più che sulle imprese dell’eroe eponimo contro Arminio, narrate da Tacito negli Annali, sulla nobile e generosa figura, fortemente idealizzata, della moglie Agrippina.
Come in altri drammi di ambientazione storica del M., essenziale ed esemplare appare il ruolo della figura femminile, cui non sembra estraneo un intento celebrativo verso la committente Vittoria Della Rovere. Nell’amplificare le fonti classiche il M. utilizzò frequentemente il De mulieribus claris di G. Boccaccio. Nel Germanico al Reno è messo a frutto il capitolo XC, De Agrippina Germanici coniuge, ma dalla prospettiva boccacciana trassero ispirazione anche i successivi Semiramide (II, De Semiramide regina Assyriorum), Coriolano (LV, De Veturia romana matrona), La pietà di Sabina (LXV, De romana iuvencula), Quinto Lucrezio proscritto (LXXXIII, De Curia Quinti Lucretii coniuge).
Nel Carnevale 1677 La Giocasta, con il libretto rimaneggiato da G. Castoreo e con la musica composta da A. Cesti dieci anni prima arricchita di arie nuove da C. Grossi, fu rappresentata al teatro S. Moisè di Venezia. Nel 1680, G.B. Menzini, imputando al M. la mancata nomina a una cattedra nello Studio pisano, fece circolare manoscritta la violenta Satira III, nella quale lo ritraeva sotto il nome di Curculione. Ciononostante, nel 1681 il M. ottenne una prestigiosa cattedra di medicina nella stessa Università. Sempre nel 1681 Leonardo Martellini, principe dell’Accademia degli Immobili e già scalco del cardinale Giovan Carlo de' Medici, gli sottopose una relazione medica sulla morte della figlia, dando origine a una controversia durata più di quattro anni. Il 19 luglio Bernardino Ramazzini era stato chiamato al capezzale della marchesa Maria Maddalena Martellini Bagnesi, che dopo aver partorito si trovava in gravi condizioni. La paziente morì e Ramazzini scrisse una relazione sul suo operato. Il parere del M., riservato al solo Martellini, pervenne a Ramazzini, il quale si affrettò a renderlo pubblico insieme con la sua replica (Relazione di Bernardino Ramazzini sopra il parto e morte dell’Illustrissima signora marchesa Maria Maddalena Martellini Bagnesi, con una censura dell’eccellentissimo sig. D. G.A. M. e Risposta del medesimo Ramazzini alla detta censura, Modena 1681). Con successive repliche e controrepliche la controversia si protrasse fino al 1684, coinvolgendo anche altri medici e legali, in favore dell’una e dell’altra parte, e produsse una quindicina di opuscoli. Contro il M. si schierarono Giovanni Cinelli (Della libreria volante scanzia quarta, dedicata al Dott. Ramazzini, Napoli 1682), che era nascostamente appoggiato da A. Magliabechi, e Giovanni Galliani Coccapani, consigliere di Stato e segretario del duca di Modena. A seguito dell’uscita della Scanzia quarta il M. ottenne l’arresto di Cinelli, che fu incarcerato per tre mesi, mentre l’11 marzo 1683 il libro fu bruciato dal boia. Uscito dal carcere, Cinelli fuggì da Firenze e pubblicò a Venezia, con luogo di stampa fittizio Cracovia, una sua Giustificazione (1684), che anziché ritrattare, come promesso, le accuse contro il M., risultò ben più ingiuriosa. La risposta che seguì fu un infamante libello anonimo in latino diretto contro Cinelli e Magliabechi, Io. Cinelli et Antonii Magliabechi vitae retundam, Fori Vibiorum 1684, ispirato dal M. se non da lui redatto direttamente. Il libello fu sequestrato e lo stampatore V. Vangelisti fu incarcerato per breve tempo, mentre nessun provvedimento venne adottato nei confronti del Moniglia. Un’ultima risposta di Ramazzini, rimasta inedita per la volontà delle corti di Modena e Firenze di porre fine alla disputa, fu pubblicata solo nel 1758 da un discendente di Ramazzini in una raccolta di documenti sulla controversia (Controversia medico-letteraria fra li signori dottori Gio. Andrea Moniglia e Bernardno Ramazzini..., Modena 1758).
Forse proprio per ribadire la sua autorità di studioso, che poteva risultare appannata dalla lunga disputa, e indirettamente per concluderla, il M. diede alle stampe il De aquae usu medico in febribus (Firenze 1684), un nuovo trattato di medicina, a quasi vent’anni dall’Epistola. Il trattato, sull’uso dell’idroterapia, che rivisitava le antiche opinioni di Ippocrate e di Galeno, ottenne l’attenzione e le lodi di Iacopo Grandi, vittima anch’egli di Cinelli e a torto accusato da Magliabechi di essere l’autore del libello Io. Cinelli et Antonii Magliabechi vitae retundam, nella sua Risposta… a una lettera di Alessandro Pini… sopra alcune richieste intorno S. Maura, e la Prevesa (Venezia 1686, pp. 120 s.).
Le dispute medico-legali non avevano però distolto il M. dall’attività teatrale. Il 12 nov. 1681 i signori accademici del Casino di S. Marco, protetti dal principe Francesco Maria de’ Medici, allestirono nelle camere della granduchessa a palazzo Pitti il dramma musicale Quinto Lucrezio proscritto, musicato da Lorenzo Cattani (Firenze 1681). Due anni dopo proposero invece Il conte di Cutro, rappresentato nel giorno natalizio dello stesso principe Francesco Maria (12 novembre), ancora un episodico ritorno ai drammi civili del tempo del cardinal Giovan Carlo e con l’azione dislocata in Sicilia, come già era avvenuto in Tacere ed amare. Nell’estate del 1685 furono rappresentate sia la prima opera del M. nel teatro di corte della villa di Pratolino, Ifianassa e Melampo (ibid. 1685), con musica di G. Legrenzi, sia il breve dramma in due atti e due personaggi Il pellegrino, nelle camere della granduchessa Vittoria per il compleanno di Cosimo III (14 ag. 1685), con la musica di Cattani. Nella villeggiatura di Pratolino il M. compose Il tiranno di Colco, rappresentato solo tre anni dopo. Il 3 giugno 1686 gli accademici del Casino di S. Marco allestirono il fortunato dramma Gneo Marzio Coriolano, con musica di Cattani, che ebbe dodici repliche.
Il M. si ispira ai fatti narrati da Livio e da altri storici, ma se ne discosta sia dando maggior rilievo al personaggio di Veturia sia conducendo la vicenda a un lieto fine. Coriolano, inutilmente pregato da moglie e figlio, è finalmente convinto dai rimproveri della madre Veturia ad accettare la pace con Roma, mentre il volsco Accio Tullio, che avrebbe dovuto sposare la figlia dell’ambasciatore Fabio per suggellare la pace, accortosi dell’amore di questa per Terenzio, figlio di Coriolano, generosamente vi rinuncia, cedendola al giovane romano.
Di nuovo nella villeggiatura di Pratolino, il 26 agosto, si replicò Il pazzo per forza (1687), in versione ridotta con la nuova musica di G.M. Pagliardi, e l’anno successivo il M. tornò al dramma di tipo veneziano con la rappresentazione de Il tiranno di Colco (1° settembre) musicato dallo stesso Pagliardi, ma arricchito dalle nuove scene dipinte da Iacopo Chiavistelli e dalle macchine di Philip Sänger.
Nel 1689-90 apparve a Firenze la prima edizione delle Poesie dramatiche, dedicate al granduca (25 luglio 1689) e stampate in tre volumi in quarto con numerosi rami. I: L’Ipermestra; Ercole in Tebe; Il mondo festeggiante; Gneo Marzio Coriolano; Ifianassa e Melampo; Il ritorno di Ulisse; Q. Lucrezio proscritto; Enea in Italia; II: Il tiranno di Colco; La Giocasta; La pietà di Sabina; Il Germanico al Reno; Il pellegrino; Oratorio per santa Geneviefa; Il Teseo; La Semiramide; III: Il potestà di Colognole; Il pazzo per forza; La serva nobile; La vedova; Tacere ed amare; Il conte di Cutro. Diversamente dalla sollecitudine dimostrata per il suo teatro in versi (che ebbe poi una seconda edizione, sempre in 3 volumi, Firenze 1698, con l’aggiunta dell’Inno per s. Rinieri e del Radamisto), il M. non si preoccupò di raccogliere le sue commedie in prosa. Forse una delle ultime fu l’Adelaide, rappresentata dagli accademici Infuocati per le nozze del principe Ferdinando con Violante Beatrice di Baviera e stampata senza nome d’autore (ibid. 1689). Nel secondo volume delle Poesie dramatiche apparve per la prima volta La pietà di Sabina, musica di Cattani, scritta per la duchessa Vittoria ma non rappresentata (una versione rimaneggiata da Domenico Lalli fu messa in scena a Venezia nel 1718 con il titolo Amor di figlia).
All’inizio degli anni Novanta il M. fu colpito da due gravi lutti familiari: nell’agosto 1691 la morte del figlio Niccolò Maria, dottore in medicina e lettore di filosofia a Pisa, autore dell’opuscolo Quaestio de rerum naturalium principiis (Pisa 1675); nel luglio dell’anno successivo quella della moglie, Ottavia di Sebastiano Morando. Nello stesso 1692 fu ammesso nell’Arcadia con il nome di Nardilo Azonio (Roma, Biblioteca Angelica, Accademia dell'Arcadia, Crescimbeni, I, 333). Nello stesso anno, con la musica di Cattani, venne eseguito nella cappella della granduchessa l'Oratorio per santa Geneviefa, in cinque parti, cantato e tratto dal primo tomo delle Eroine della solitudine sacra di Girolamo Ercolani. Probabilmente nello stesso periodo il M. compose anche l’Inno per s. Rinieri, patrono di Pisa, in 93 strofe: una sorta di biografia in versi del santo accompagnata da glosse in prosa. Alla morte di Francesco Redi, nel 1698, gli successe nella carica di archiatra di Cosimo III. L’ultima polemica medico-letteraria del M. fu con il medico A.F. Bertini, autore del libro Della medicina difesa dalle calunnie… (Lucca 1699), contro il quale, con lo pseudonimo di Teofilo Pamio, il M. scrisse una censura che circolò manoscritta, il Discorso familiare. La replica di Bertini, Risposta apologetica… (Cosmopoli 1700), apparve quando il suo avversario era appena scomparso.
Il M. morì il 21 sett. 1700 a Firenze, nella sua casa fuori porta al Prato.
Un’edizione ampliata del De aquae usu medico in febribus uscì postuma a cura degli eredi (Firenze 1700). Satire ed epigrammi contro il M. furono composti anche in occasione della morte, da chi aveva sperimentato il suo carattere acre e combattivo, come il medico A.M. Testi e il letterato Federigo Nomi (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.1135, cc. 115, 117, 186).
Se di modesto valore e spesso legata a motivi polemici contingenti appare l’opera scientifica del M., la vasta produzione drammatica gli assicura un posto di tutto rispetto nel panorama teatrale seicentesco. Consapevole e compartecipe della politica culturale della corte fiorentina, autore di drammi civili e rusticali, drammi alla veneziana e feste teatrali con prologhi mitologici o metateatrali, duttile e versatile nell’assecondare le disparate esigenze della committenza medicea, dimostrò felicità d’invenzione, una costante vena ironica e una facilità non banale nella versificazione, trovando sempre spazio per salvaguardare una sua personale cifra stilistica.
Opere. Diversi manoscritti di commedie, poesie e opere di medicina del M. sono custoditi nelle biblioteche fiorentine: Biblioteca nazionale, Magl, VI.62: Cicalate in uno stravizzo dell’Accademia della Crusca (10 ott. 1690); Sul ridere; VII.799, cc. 92r-159v: Laurindo (tre atti in prosa con prologo e intermezzi); VII.252: Il vecchio balordo; VII.667, c. 52 (lettera da Innsbruck, 11 nov. 1667); Magl., II.IV.253, c. 183 (canzonetta a s. Teodoro); Palat., 804 (diario del viaggio in Germania, autografo); Biblioteca Riccardiana, 2635, cc. 23v-24r (sonetto); 3153, c. 349 (sonetto caudato); 2779: (Ragguaglio della villeggiatura di Pratolino. Capitolo; copia a Firenze, Biblioteca nazionale, Misc. Palagi, II.I.494 [63]); 2868/4, La serva nobile; 2974/6: Il vecchio balordo; 3185, cc. 258r-301v: Il vecchio barbogio (altro titolo de Il vecchio balordo); 3184, cc. 240r-253v (soggetto del Teseo), cc. 254r-260v (altro scenario della stessa opera); 3165, cc. 322r-399r: Il potestà di Colognole (versione in prosa di F. Simon Grassi); Biblioteca Moreniana, 205: L’Apollo; De morbis mulierum libri V; Praelectionum medicarum centuriae duae; Praelectiones phisicae; Medicea Laurenziana, Redi, 213, 346. Oltre alle edizioni citate vanno ricordate: L’Hipermestra, Firenze 1658; Ercole in Tebe, ibid. 1661; Il mondo festeggiante, ibid. 1661; A.F. Bertini, Risposta apologetica…, Cosmopoli 1700 (con il Discorso familiare del M.); Raccolta di prose fiorentine, Parte prima, Volume sesto, Firenze 1723, pp. 216 ss.; Due capitoli di G.A. Moniglia, in Poesie giocose inedite o rare, a cura di A. Mabellini, Firenze 1884, pp. 131-139; Il potestà di Colognole, in Drammi per musica dal Rinuccini allo Zeno, a cura di A. Della Corte, II, Torino 1958, pp. 7-177; J. Melani, Il potestà di Colognole, a cura di J. Leve, Middleton, WI, 2005 (con l'edizione del dramma). Il diario poetico del viaggio in Germania è edito parzialmente in E. Benvenuti, Insieme con G.A. M. da Firenze, a Bologna, Trento, Innsbruck, Magonza, Amsterdam, Amburgo, Olmütz nel 1667, in Rivista delle biblioteche e degli archivi, XXIII (1912), pp. 37-81.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. dell'Opera del duomo, Registri dei battesimi, Maschi, anni 1624-25, c. 836; Ibid., Biblioteca Marucelliana, A.183, vol. II, p. 237; A.181, c. 48; Ibid., Biblioteca Riccardiana, 2695, cc. 183v, 191v; Ibid., Biblioteca nazionale, Magl., XXV.42, vol. I, p. 365; II.IV.16, cc. 238r-240v (Informazione); A. Segni, Le feste per le nozze di Violante di Baviera con Ferdinando di Toscana, Firenze 1688; I. Melani, Il potestà di Colognole, a cura di J. Leve, Middleton, WI, 2005; S. Salvini, Vita di G.A. M., in Notizie storiche degli arcadi morti, III, Roma 1720, pp. 293-298; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 237; A. Fabroni,
Historiae Academiae Pisanae, III, Pisa 1795, pp. 621-623; Il Giornale di erudizione-corrispondenza letteraria, artistica e scientifica, III, Firenze 1850-51, pp. 203-213; A.F. Bertini, La giampagolaggine, a cura di O. Bacci, Prato 1883, pp. 26-32; G. Imbert, Il 600 fiorentino, Milano 1930, pp. 78-88; C. Molinari, Le nozze degli dei, Roma 1968, pp. 178-185; N. Calabrese, G.A. M. Le situazioni rusticali nei drammi: «Il potestà di Colognole», «Pazzo per forza», Roma 1971; L. Puppi, Il teatro fiorentino degli Immobili e la rappresentazione del 1658 dell’«Ipermestra» del Tacca, in Studi sul teatro veneto fra Rinascimento ed età barocca, a cura di M.T. Muraro, Firenze 1971, pp. 171-192; F. Ghisi, Il mondo festeggiante, in Scritti in onore di Luigi Ronga, Milano 1973, pp. 233-240; L. Bianconi - T. Walker, Dalla «Finta Pazza» alla «Vereconda: storie di Febiarmonici», in Rivista italiana di musicologia, X (1975), pp. 438-444; F. Decroisette, Fiction tragique et fiction comique dans les livrets de G.A. M., in Revue d’histoire du théâtre, XXIX (1977), pp. 153-173; R.L. Weaver - N.W. Weaver, A Chronology of Music in the Florentine Theater, 1590-1750: Operas, Prologues, Finales, Intermezzos and Plays with Incidental Music, Detroit 1978, ad ind.; G. Volpi, Acta graduum Academiae Pisanae, II, Pisa 1979, p. 513; F. Decroisette, Les «Drammi civili» de G.A. M., librettiste florentin, entre Contreréforme et Lumières, in Culture et idéologie après le concile de Trente: permanences et changements, a cura di M. Plaisance, Paris 1985, pp. 91-150; T. Megale, Il principe e la cantante: riflessi impresariali di una protezione, a cura di S. Mamone, in Medioevo e Rinascimento, VI (1992), pp. 228-230; W. Kirkendale, The Court Musicians in Florence during the Principate of the Medici: with a Reconstruction of the Artistic Establishment, Firenze 1993, pp. 392 s., 415 s., 426; F. Decroisette, De la Commedia dell’Arte au Dramma Giocoso: Les «Drammi civili» de G.A. M., librettiste florentin, in Problèmes, interférences des genres au théâtre et les fêtes en Europe, a cura di I. Mamczarz, Paris 1995, pp. 141-170; S. Castelli, Manoscritti teatrali della Biblioteca Riccardiana di Firenze, Firenze 1998, pp. 65, 80 s., 113, 119 s.; P. Gargiulo, Con «regole, affetti, pensieri». I libretti di M. per l'opera italiana dell'«imperial teatro» (1667-1696), in Il teatro musicale italiano nel Sacro Romano Impero nei secoli XVII e XVIII, a cura di A. Colzani et al., Como 1999, pp. 123-146; N. Michelassi, Il teatro del Cocomero di Firenze: uno stanzone per tre accademie (1651-1665), in Studi secenteschi, XL (1999), pp. 149-180; S. Vuelta García, Accademie teatrali a Firenze: l’Accademia degli Affinati, ibid., XLII (2001), pp. 371-373; N. Michelassi, Memorie del sottopalco. Giovan Carlo de’ Medici e il primo teatro della Pergola (1652-1663), ibid., XLIII (2002), pp. 347-353; P. Fabbri, Il secolo cantante. Per una storia del libretto d'opera in Italia nel Seicento, Roma 2003, ad ind.; S. Mamone, Serenissimi fratelli principi impresari. Notizie di spettacoli nei carteggi medicei, Firenze 2003, passim; H. Seifert, Cesti and his Opera Troupe in Innsbruck and Vienna, in La figura e l'opera di Antonio Cesti nel Seicento europeo, a cura di M. Dellaborra, Firenze 2003, pp. 15-62 passim; N. Michelassi - S. Vuelta García, Il teatro spagnolo sulla scena fiorentina del Seicento, in Studi secenteschi, XLV (2004), pp. 79, 101 s.; N. Melcarne, Il principe giardiniero e il suo vero autore: G.A. M., in Aprosiana, n.s., XIII (2005), pp. 55-58; F. Decroisette, Les choix éditoriaux de G.A. M., «poeta per musica» florentin, dans les «Poesie dramatiche» (1689-1698), entre obédience et auctorialité, in Le livret d’opéra, œuvre littéraire?, a cura di F. Decroisette, Paris 2010, pp. 59-85; L’Accademia degli Immobili, proprietari del Teatro di via della Pergola in Firenze. Inventario, a cura di M. Alberti et al., Roma 2010, ad indicem.