VALVASSORE, Giovanni Andrea
VALVASSORE (Vavassore), Giovanni Andrea. – Nacque a Telgate, nella Bassa Bergamasca, da Venturino, probabilmente nell’ultima decade del XV secolo.
Il padre, cittadino di Bergamo e Brescia, era già scomparso nell’agosto del 1523, quando Valvassore dettò il primo di due testamenti, nella parrocchia di S. Moisè in cui risiedette sempre, in Frezzeria. Era questa una zona centralissima di Venezia che dava sul lato ovest di piazza S. Marco, e che racchiudeva, insieme alle parallele Mercerie, la maggior concentrazione di botteghe, fra le altre di tipografi e librai. Valvassore aveva anche un punto vendita al ponte dei Fuseri, poco distante dall’abitazione anche se in un’altra contrà (S. Luca), a pochi passi dall’esercizio di altri tipografi-librai e incisori, come Niccolò Zoppino, i fratelli Bindoni e i Nicolini da Sabbio, con i quali collaborò a vario titolo o condivise iniziative editoriali.
Al 1515 risale una delle prime tracce documentate di Valvassore a Venezia, come silografo dell’atelier di incisori di Niccolò Zoppino: nella Conversione de sancta Maria Magdalena compare Cristo orante davanti alla folla sottoscritto «Jovan. Andrea de Vavassori f.» (l’edizione 1513 ha una silografia simile ma senza sottoscrizione, cfr. Napoli, Biblioteca nazionale, S.Q. 22.B.46). Grazie all’identificazione di Valvassore. con l’incisore che si firmava con sigla «ʒ.a.» (zeta caudata per Zuan) e il monogramma «ʒADV» sormontato da croce, accertata sul piano dell’esecuzione artistica di discreto livello (Atzeni, 2010), è possibile attribuire a Valvassore un’intensa produzione silografica per l’illustrazione del libro negli anni Dieci e Venti del secolo. Conforta l’identificazione storico-artistica anche il fatto che la marca più usata da Valvassore all’inizio dell’attività tipografica, ovvero da fine anni Venti-inizio Trenta, fu il monogramma «ZAV» sormontato da una croce, in linea con l’evoluzione delle firme in calce alle incisioni.
Della produzione silografica di Valvassore per Niccolò Zoppino restano testimonianze in almeno sei operette volgari in ottavo e in quarto letterarie e di carattere devozionale pubblicate fra 1518 e 1522 (Thesauro spirituale, 1518; l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e Il Canzoniere e i Trionfi di Francesco Petrarca, 1521; Li successi bellici, 1521; La vita del glorioso apostolo euangelista Ioanni, 1522). Ma Valvassore incise anche per molti altri tipografi-librai: per Giorgio Rusconi (Itinerario [...] nello Egypto, 1517), per i Giunti (Biblia, 1519), per Melchiorre Sessa (T. Livius Patavinus, 1520), nonché per illustrare diverse brevi cronache di guerra che il libraio Paolo Danza immetteva nel mercato (Lussey, 2016, II, pp. 156-158). È ancora dibattuto il suo contributo all’Apochalypsis Jesu Christi di Alessandro Paganino (1516), modellata sull’Apocalisse di Albrecht Dürer (1498 e 1511; Fara, 2007, pp. 25 s. nota); tuttavia, se non in quell’occasione, anche successivamente Valvassore mostrò di avere molto cara la lezione del maestro tedesco. All’inizio degli anni Quaranta avviò un’iniziativa editoriale unica nel panorama dell’epoca, realizzando un libretto con la tecnica di stampa che precedette l’invenzione dei caratteri mobili, ovvero con testo e immagini entrambi incisi su legno. Si tratta dell’Opera nova contemplativa per ogni fidel christiano, un libro silografico in ottavo di sessantaquattro carte con cui Valvassore ‘tradusse’ la Piccola Passione di Dürer e soggetti di altri maestri in un gioiello di devozione tascabile ornato di centoventi piccole illustrazioni. È una scelta emblematica dell’intera produzione di Valvassore, in cui la prima vocazione artistico-artigianale si declina in iniziative editoriali di ampio respiro, che solo superficialmente si definiscono popolari, perché mirano a un raggio di fruizione tendenzialmente universale.
Contemporaneamente all’illustrazione di edizioni altrui e intensamente fino agli anni Sessanta, Valvassore si dedicò anche alla pubblicazione in proprio di incisioni di battaglie e di raffigurazioni cartografiche di città e regioni d’Italia, d’Europa e del Vicino Oriente, nonché del mondo. Datata 1515 è la Battaglia di Marignano, una grande silografia impressa su otto fogli che ritrae la vittoria dei franco-veneziani sugli svizzeri per il controllo del Ducato di Milano. Colorata a mano, è la rappresentazione di un fatto d’arme contemporaneo (settembre 1515); un soggetto originale che, insieme alla pianta rialzata di Trento (1563) anch’essa colorata a mano, spicca per originalità su buona parte della produzione grafica di Valvassore. A oggi, infatti, sopravvivono circa una ventina di stampe a sua firma, quasi tutte riprese da modelli già in circolazione, italiani o stranieri. Altrettanto spesso erano tuttavia le incisioni di Valvassore a essere copiate da altri, come nel caso della più antica carta geografica a stampa del Friuli (1553, unico esemplare di proprietà della Fondazione Scaramangà di Trieste; 1557, con varianti), che fu ripresa da Paolo Forlani nel 1564 (Nova descrittione del Friuli) e da Abraham Ortelius nel 1588. Il suo Portolano (1539) fu riprodotto da Matteo Pagano nel 1558, come la carta del mondo che realizzò su dodici fogli in copia dal cartografo Caspar Vopel (citato nell’iscrizione «Caspar Vopelius Madeb. 1558 mathemati. conscripsit»), a sua volta ripresa in copia ridotta da Pagano.
Non è casuale il fatto che Valvassore non abbia mai richiesto privilegi per le proprie incisioni, in tempi in cui invece nella Serenissima si andava affermando un sistema all’avanguardia per proteggere i diritti economici (e in parte intellettuali) legati alla creazione di opere originali. La disinvoltura con la quale trattava le opere altrui e le proprie (non lamentò mai di essere stato plagiato) fu all’origine di una disavventura che gli costò, alla fine del 1549, la requisizione dal mercato delle sue due edizioni dell’Orlando furioso (1548 e 1549). Sopravvivono di esse due soli esemplari (1548: Biblioteca apostolica Vaticana; 1549: Biblioteca nazionale Marciana, mutilo), che, se confrontati con una delle molte copie esistenti delle edizioni Giolito degli stessi anni mostrano di essere nulla più che una ricomposizione riga per riga delle giolitine – queste ultime coperte da privilegio decennale rilasciato a Gabriele Giolito nel dicembre del 1541. Le copie già impresse e le quarantasei matrici xilografiche delle vignette che aprivano ciascun canto dell’opera, tratte spesso in controparte da quelle Giolito, vennero confiscate a Valvassore e depositate a Padova presso Luigi Bini, cognato di Gabriele, fino allo scadere del privilegio. In tal modo andò a monte anche un accordo intercorso fra Valvassore e il libraio romano Antonio Blado che avrebbe dovuto vendere i quarantasei legni. Ma Valvassore imparò la lezione e il 19 maggio 1553 chiese per la prima volta al Senato un privilegio di quindici anni per tutelare le fatiche spese nell’«accumular nove figure, et nove additioni sopra il Furioso dell’Ariosto» e fece uscire un’edizione dell’Orlando furioso completamente rinnovata nell’apparato grafico, stavolta originale rispetto alle edizioni Giolito. Le sue illustrazioni sarebbero state poi copiate da Sigismondo Bordogna (1587) e da Paolo Ugolino (1602).
Valvassore chiese in due sole occasioni successive altri privilegi, nel 1560 e nel 1566, per una decina di titoli nell’insieme, non tutti poi realizzati. Ma la maggior parte della sua produzione silografica e tipografica cade fuori dai canoni protezionistici che si andavano perfezionando a Venezia. Si era avvicinato alla tipografia all’inizio degli anni Trenta in una naturale transizione dalla silografia, ovvero stampando in proprio brevi testi in versi, ornati di una xilografia d’apertura che spesso si ripeteva identica; erano le cosiddette guerre in ottava rima: La presa et lamento di Roma, L’assedio di Pavia, il Lamento di Negroponte, il Lamento di Rodi, El fatto d’arme fatto in Romagna sotto Rauenna e altre ancora. L’attenzione alla contemporaneità e ai bisogni dei suoi contemporanei restò la cifra della sua produzione, che secondo Edit16 (Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo) ammonta a circa duecentosessanta edizioni.
Anche se il nome di Valvassore risulta quello più visibile nelle sottoscrizioni di frontespizi e colophon, fin dall’inizio la sua attività tipografica si configurò come un’impresa familiare. Coinvolse i fratelli Giovanni Giacomo e Giuliano nel lavoro di bottega e il giovane fratellastro Florio, incisore anch’egli, nell’illustrazione xilografica; con il passare degli anni si avvalse della collaborazione del nipote Alvise (figlio di Giuliano), nonché di due pronipoti – Luigi e Giuliano, figli di Alvise – nella vendita dei libri durante le fiere. Un altro nipote, Clemente (fratello di Alvise), curò alcune pubblicazioni e scrisse prefazioni per lo zio; questi si era laureato a Padova in diritto civile e canonico, ed era entrato in servizio presso la Cancelleria ducale, privilegio riservato ai cittadini originari. È di Clemente la prefazione all’edizione completamente rinnovata dell’Orlando furioso (1553), che rivela una profondità di elaborazione e uno stile nettamente superiori alle prefazioncine scopiazzate dallo zio nelle edizioni imitative del 1548 e 1549, incerte nei contenuti come nella lingua. Tuttavia, benché prefazioni e curatele siano spesso opera dei collaboratori (Clemente e talvolta Alvise), il perno della linea editoriale fu di Giovanni Andrea, che diede un’impronta coerente alla produzione sia latina sia volgare.
L’83% dei titoli sono in volgare e coprono una vasta gamma di generi: l’immancabile letteratura devozionale e molta di intrattenimento (dai cantari ai grandi poemi cavallereschi), lamenti, libretti di battaglie e versi che cantavano eventi contemporanei, ma anche un buon numero di testi di buona divulgazione scientifica come l’Herbolario volgare e la Materia medicinale raccolta da Francesco Sansovino che diffondevano la conoscenza delle proprietà terapeutiche delle piante; il cosiddetto Recettario di Galeno e la quarta parte dei Secreti del reverendo donno Alessio piemontese curato da Girolamo Ruscelli, compilazione di ricette medicinali dalla straordinaria fortuna europea. Valvassore contribuì inoltre a far nascere il nuovo genere editoriale dei libri di modelli di ricami, congeniali alla sua editoria perché all’incrocio fra silografia e tipografia. Anche qui i plagi erano quasi una consuetudine, da parte di Valvassore e a sue spese. Con le incisioni di Florio fece uscire l’Esemplario di lavori che insegna alle donne il modo et l’ordine di lavorare et cusire et racammare (1532, 1540, 1550) e la Corona di racammi (1530 circa), indirizzati a un pubblico squisitamente femminile, il cui lavoro domestico riforniva il settore dell’abbigliamento e dell’arredo. Anche la piccola porzione di titoli latini (17%) era pensata per soddisfare esigenze professionali più che accademiche: spiccano il formulario per notai di Leone Spelungano, rinnovato a ogni edizione, grammatiche, manuali di poetica e manuali per confessori, oltre a qualche classico; diversi titoli di pratica giuridica e meno di medicina.
La bottega di Valvassore ampliò il ventaglio dei destinatari dell’editoria cinquecentesca scegliendo il volgare e il pubblico femminile, e fece del libro tipografico uno strumento per apprendere abilità artigianali – sempre più richieste in una società che si apriva ai consumi – e per migliorare le pratiche terapeutiche domestiche, allora assai diffuse.
Inevitabilmente, in epoca di Controriforma la bottega Valvassore subì controlli e perquisizioni, senza particolari conseguenze. Punita con elemosine forzate e preghiere nel 1559, nel 1571 le furono comminati 10 ducati di multa e subì la confisca di due casse di libri proibiti, di numerose copie dei Ragionamenti di Pietro Aretino e del De humana Physiognomonia di Giambattista Della Porta. Ma al di là di titoli come questi presenti in bottega perché molto richiesti dal mercato, c’era veramente in famiglia un’anima più tormentata e incline a letture proibite: Clemente, ritiratosi dalla carriera pubblica nel 1574 per dedicarsi completamente agli studi. Nel 1576 decise di farsi certosino a S. Andrea del Lido e nel 1581 subì un processo per eresia in seguito alla denuncia di un confratello. Nel suo caso dalle perquisizioni risultarono molti libri di umanisti protestanti e gli interrogatori confermarono la lettura di eretici italiani e stranieri, che gli costarono il carcere a vita.
Valvassore risulta già morto, a Venezia, nel maggio del 1572.
Nel testamento dettato nel 1571, ormai anziano, nominò esecutore testamentario proprio Clemente, lasciandogli tutti i libri che aveva presso di sé per studio. Erede dell’attività tipografica – due torchi, incisioni di santi e tutti i libri di bottega – fu il nipote Alvise, al quale lasciò anche 200 ducati per via dei debiti contratti dai figli alle fiere, in seguito alla perdita dei libri e al fallimento di alcuni mercanti con cui intrattenevano affari. L’assenza di Valvassore nella redecima del 1566 esclude che possedesse beni immobili a Venezia, ma nel testamento nominò tutti i nipoti e pronipoti (Ventura e Venturino figli del fratello Giovanni Giacomo, Luigi e Giuliano figli di Alvise) eredi residuari di «stabilli, mercanzie, casamenti e possessioni» che evidentemente erano nel Bergamasco. Diversi legati sono riservati alle nipoti donne e alle mogli dei nipoti.
I testimoni delle ultime volontà di Valvassore furono un panettiere e due straccivendoli del caseggiato in cui viveva, in linea con la cifra all’apparenza modesta della sua tipografia (ma la carta era fabbricata dagli stracci). L’esecutore del primo testamento del 1523 fu il libraio Paolo Danza, testimone un maestro liutaio, i testimoni delle disposizioni di Adriana, moglie di Alvise, furono Antonio Gardano «librer in Merzaria a l’insegna del Lion et Orso» (lo stesso di Samaritana, altra nipote) e Cesare Vecellio «fu de messer Hettor de Cadore pittor habitante in Venetia a S. Maria Zobenigo».
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti chiusi, Notaio Benedetti, b. 89.34 (Adriana Donini moglie di Alvise Valvassore); Proprio, Notaio Vadimoni, reg. 60, cc. 110v-111v (Adriana Donini); Notarile Atti, Notaio Marcantonio Cavanis, b. 3256, c. 139rv (protesto di Valvassore a Giolito).
E.T. Falaschi, V.’s 1553 illustrations of Orlando Fusioso: the development of multi-narrative technique in Venice and its links with cartography, in La Bibliofilia, LXXVII (1975), pp. 227-251; P. Grendler, The Roman Inquisition and the Venetian press, 1540-1605, Princeton (N.J) 1977, Appendix II; A. Markham Schulz, G.A. V. and his Family in four published Testaments, in Artes atque Humaniora Studia Stanislao Mossakowski sexagenario dicata, Warszawa 1998, pp. 117-125; Ch. Witcombe, Copyright in the Renaissance. Prints and privilegio in Sixteenth-century Venice and Rome, Leiden-Boston 2004, pp. 124 s.; G.M. Fara, Albrecht Dürer: originali, copie, derivazioni, Firenze 2007, p. 26, nn. 87, 90, 90d, f-g, i, n, p, ee, hh, mm, oo-rr; G. Atzeni, Gli incisori alla corte di Zoppino, in ArcheoArte, II (2010), pp. 299-328; S. Bowd, Venice’s most loyal city. Civic identity in Renaissance Brescia, Cambrige 2010, ad ind.; T. Plebani, Ricami di ago e d’inchiostro: una ricchezza per la città (xvi secolo), in Archivio Veneto, III (2012-2013), pp. 97-115; N. Lussey, G.A. V. and the business of print in Early Modern Venice, Edinburgh 2016.