PETONDI, Giovanni Angelo Gregorio
PETONDI (Pettondi), Giovanni Angelo Gregorio. – Nacque a Castel San Pietro, un paese della valle di Muggio, ai piedi delle Alpi, nel Canton Ticino meridionale, il 9 maggio 1732, figlio quintogenito dell’architetto-stuccatore Tommaso Antonio (1701-1769) e di Antonia Margherita Pozzi.
Gregorio (questo il nome con cui è più conosciuto) trascorse la sua infanzia nel paese natio insieme ai genitori e ai fratelli, Carlo Giuseppe Antonio (1727-1794) che indossò l’abito talare, Giuseppe Gioacchino (1729-1785) e Pietro Francesco (1740-?) i quali, divenuti valenti stuccatori, ebbero occasione di lavorare in Italia (Genova e Savona) e Oltralpe (Aquisgrana e Mannheim).
Giuseppe, con cui Gregorio collaborò a lungo, diede origine a una stirpe di costruttori attraverso il figlio Giovan Battista (1765-1813) – che partecipò con Giacomo Quarenghi alla realizzazione di alcuni importanti edifici a San Pietroburgo, per poi divenire uno dei più quotati progettisti della nobiltà russa del tempo – e il nipote Tommaso-Foma (1797-1874), nato a Orël e formatosi alla scuola di architettura del Cremlino, che ricoprì la carica di architetto della provincia di Kazan, partecipando nel 1838 al suo piano di ricostruzione.
Il numeroso nucleo familiare dei Petondi, che includeva anche due sorelle, Lucia Maddalena e Maria Francesca, e che si allargò con la nascita di Domenico Maria (1743-1799), anch’egli dedito all’attività edilizia (Lugano, Archivio diocesano, Parrocchia di Castel San Pietro, Stato delle anime, anno 1742), disponeva di un discreto patrimonio immobiliare e fondiario (Mendrisio, Archivio comunale di Balerna, Estimo di Pieve, Castel San Pietro, 1755, p. 105). Tommaso Antonio, infatti, coniugò abilmente l’impegno artistico con quello di imprenditore dello zolfo: un'attività che Gregorio continuò dopo la morte del padre anche se a distanza, come documenta un fitto carteggio effettuato tra Genova e Castel San Pietro risalente agli anni 1779-88 circa (Lugano, Archivio di Stato del Canton Ticino, Fondi di famiglie, Maggi, 2.1.35, scatola 1, passim).
Le testimonianze relative a Gregorio Petondi sono così scarse da impedire l’approfondita conoscenza del suo processo artistico formativo, in parte sommerso, ma certamente di ampio respiro europeo e strettamente legato alle sue relazioni familiari. Durante gli anni della sua primissima educazione, infatti, ebbe certamente modo di frequentare non solo le ‘nuove forme’ artistiche di ascendenza mitteleuropea veicolategli dal nonno materno – lo stuccatore Domenico Antonio Pozzi che lavorò a Mannheim nella residenza di Würzburg (1720-40) –, ma apprese anche l’arte di edificare direttamente dal padre. In questo senso, dovette certamente svolgere il proprio apprendistato secondo le modalità previste dalla tradizione corporativa delle maestranze dei muratori-capimastri lombardi. Non si conosce, tuttavia, dove compì questo tirocinio: presumibilmente già a Genova presso il capo d’opera Pietro Cantoni Grigo di Muggio, di cui divenne presto subalterno. Presso Cantoni, Gregorio ebbe modo di maturare piena consapevolezza circa il ruolo centrale che la figura professionale dell’architetto stava assumendo in quegli anni e di apprendere le numerose declinazioni del linguaggio artistico, proveniente dalla Francia e maturato in seno alle Accademie e alle nascenti Scuole di architettura civile, così come venivano applicate anche a Genova, sebbene con un discreto ritardo.
Testimonianza di un aggiornamento sollecito e di una piena adesione a questo nuovo lessico formale – qualità che caratterizzeranno l’intero catalogo delle sue opere – è il disegno realizzato da Petondi per la decorazione della parete di una galleria, datato 1770, ispirato al trattato di Jacques-Françis Blondel, Décorations extérieurs et intérieurs des XVII et XVIII siècles (s.d., planche CIIIV), ma anche ai panneaux riprodotti nell’Encyclopédie di Denis Diderot e Jean-Baptiste le Rond d’Alembert (pl. XXVI), e recentemente accostato al progetto per palazzo Monticelli-Sopranis in strada Nuovissima, attuale via Cairoli (Morozzo Della Rocca - Buccafurri, 2005, p. 242).
La prima testimonianza ufficiale di Gregorio a Genova risale all’agosto del 1764, quando fu eletto come uno dei due rappresentanti dell’Arte dei maestri muratori lombardi (Bianchi, 2013, p. 75), mentre lo Stato delle anime della parrocchia di S. Sisto lo diceva abitare, tra il 1768 e il 1773, in una casa di vico del Roso, a ridosso di strada Balbi (Tondi, 2013, p. 91), insieme alla moglie Margherita Montaldi (sposata nel 1760) e ai figli Giovan Battista (1765-1820), futuro architetto ma dalla carriera mediocre, e Gaetano (1769-1771). Durante gli anni che precedettero la nomina ad architetto camerale supplente di Claudio Storace, avvenuta nel 1772 – incarico che ricoprì sino al 1785 –, Gregorio fu il consulente in materia edilizia di alcuni tra i più prestigiosi casati genovesi e, grazie a questa attività, riuscì ad acquistare nel 1779 «una casa con facciata dipinta sulla piazza dei Cattanei», oggi piazza Grillo Cattaneo (Genova, Archivio storico del Comune, Magistrato dei poveri, Instrumentorum, filza 15, doc. 159). Nella dichiarazione d’Estimo del 1798, Gregorio denunciò anche il possesso di diverse botteghe in grado di garantirgli un’apprezzabile rendita, tuttavia non chiese mai la cittadinanza genovese, né ottenne la nomina di membro della neonata Accademia ligustica di belle arti.
Come architetto di Camera eseguì numerose perizie (tra le più interessanti quelle per i palazzi Raggio in via del Campo e Salvago in via S. Bernardo, e quella per una cappella gentilizia nella chiesa di S. Donato, tutte del 1773) e si occupò direttamente di alcuni interventi di restauro particolarmente impegnativi come quello architettonico per il palazzo Spinola di Novi Ligure (1772) e quello pittorico per lo stemma cittadino impresso sulla Lanterna (1775).
Petondi raggiunse un discreto successo professionale con il progetto per l’apertura di strada Nuovissima (1777), preferito a quello del più quotato Emanuele Tagliafichi perché abile sintesi tra interessi pubblici e privati, mentre nel 1778 fece parte della équipe di architetti e artisti creata ad hoc da Simone Cantoni (figlio di Pietro) per il restauro del palazzo ducale di Genova, parzialmente distrutto da un incendio, intervento per il quale lo stesso Gregorio aveva presentato un suo progetto.
Tra il 1776 e il 1778 fu il solo responsabile dell’intera riorganizzazione spaziale, configurata secondo la ‘moderna’ disposizione francese, del palazzo di Giovan Tommaso Balbi (poi Lomellini e infine Doria Lamba) in strada Nuovissima, diversamente da quanto sostenuto da Cornelius Gurlitt (1887), che lo attribuì a Bartolomeo Bianco, e che limitò sostanzialmente l’intervento di «Giorgio» Petondi, anticipandolo addirittura al 1750. Secondo Rudolf Wittkower (1958) questo palazzo divenne famoso per la sua scenografica scalinata, tanto ardita quanto complessa, in grado di risolvere abilmente il problema di un doppio ingresso.
Ancora nel 1776 Petondi si occupò del restauro del palazzo di Giovan Francesco Balbi sulla strada omonima (poi Cattaneo, ex Levante Assicurazioni e attualmente sede dell’Università), «lavorato con moderna architettura», secondo il contemporaneo Carlo Giuseppe Ratti (1780, p. 179), primo cultore delle memorie artistiche cittadine. Qui Gregorio non solo si occupò dell’aspetto architettonico, ma realizzò anche le decorazioni a stucco della facciata e degli interni, le quali tuttavia sono ancora pienamente riconducibili ai moduli decorativi del gusto rocaille.
Degli ultimi anni della carriera di Petondi sono purtroppo noti solo alcuni sporadici episodi: nel 1798 eseguì una perizia della casa di Domenico Colombo (padre di Cristoforo) e nel 1801, come curatore della primogenitura della famiglia Balbi, fu nominato deputato all’estimo per conto di Costantino Balbi dal tribunale cittadino (Di Biase, 1993, p. 271).
Morì il 3 giugno 1817, dopo essersi forse ritirato nel suo paese natio.
Fonti e Bibl.: C.G. Ratti, Istruzione di quanto può vedersi di bello in Genova in pittura, scultura ed architettura, I, Genova 1780, p. 179; F. Alizeri, Notizie dei professori del Disegno in Liguria dalla fondazione dell’Accademia, I, Genova 1864, pp. 71 s., II, Genova 1865, p. 22, III, Genova 1866, pp. 9, 54; C. Gurlitt, Geschichte des Barockstiles, des Rococo und des Klassicismus. I, Geschichte des Barockstiles in Italien, Stuttgart 1887, p. 272; M. Labò, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexicon, XXV-XXVI, Leipzig 1931, p. 495; G. Piersantelli, Il palazzo della Levante, Genova 1956, p. 14; R. Wittkower, Art and architecture in Italy: 1600 to 1750, Harmondsworth Middlesex 1958, p. 257; E. Poleggi, Strada Nuova. Una lottizzazione del Cinquecento a Genova, Genova 1968, pp. 61, 322; E. De Negri, Ottocento e rinnovamento urbano. Carlo Barabino, Genova 1977, pp. 11, 13; A. Buti - G.V. Galliani, Il Palazzo Ducale di Genova. Il concorso del 1777 e l’intervento di Simone Cantoni, in Quaderni di Indice, II (1981), pp. 11, 15; E. Poleggi - P. Cevini, Le città nella storia d’Italia. Genova, Roma-Bari 1981, pp. 146 s.; C. Di Biase, Strada Balbi a Genova. Residenza aristocratica e città, Genova 1993, pp. 30, 50, 198, 205, 238, 271; R.V. Arseneva, Italiani in Russia. La storia della famiglia Petondi, in Moskovskij Journal, III (2002), pp. 24-30; N. Osanna Cavadini, Simone Cantoni architetto, Milano 2003, pp. 41, 51, 109 s., 113; M. Spesso, L’architettura a Genova nell’età dell’Illuminismo, Pisa 2005, pp. 157-169; Genova Strada Nuovissima: impianto urbano e architetture, a cura di G. Ciotta, Genova 2005, passim (in partic. M.D. Morozzo Della Rocca - F. Buccafurri, La cultura francese e il suo riflesso sui palazzi, pp. 207-242; M. Spesso, Note sulla cultura architettonica genovese nella seconda metà del XVIII sec., pp. 243-265); S. Bianchi, I cantieri dei Cantoni. Relazioni, opere, vicissitudini di una famiglia della Svizzera italiana in Liguria (secoli XVI-XVIII), Genova 2013, pp. 75, 124, 128, 283; L. Tondi, I Petondi di Castel San Pietro: dalla Valle di Muggio alle corti d’Europa, in Oratorio di Nostra Signora di Castello a Savona. Storia, opere, restauri, a cura di R. Scunza - L. Tondi, Genova 2013, pp. 59-61, 64, 80, 91 s.