ANDREONI, Giovanni Antonio
Nacque a Lucca l'8 febbr. 1649.
Studiò per tre anni giurisprudenza all'università di Perugia e, a diciotto anni, entrò, a Roma, nel noviziato della Compagnia di Gesù. Compiuto il biennio di probazione, si dedicò per un anno e mezzo agli studi letterari nella casa di S. Andrea al Quirinale. Passò quindi al Collegio Romano, ove studiò nel 1671-72; dovette, però, interrompere il corso per andare ad insegnare grammatica, umanità e retorica nel collegio di Borgo S. Sepolcro (1673-1677). Compì infine a Roma, nel 1680, i prescritti quattro anni di teologia, sotto due grandi maestri, Bartolomeo Carreño e Silvestro Mauro. Nel 1681, ordinato sacerdote, ottenne di recarsi come missionario oltre Oceano e partì con il p. Antonio de Oliveira, procuratore delle missioni portoghesi a Lisbona, con il celebre p. Antonio Vieira e con altri gesuiti italiani per il Brasile. Questo avvenimento coronò il suo antico desiderio di darsi all'attività missionaria: richiesta, la sua, che sino allora non era stata accolta dai superiori della Compagnia in attesa che egli concludesse la preparazione scolastica. A Bahia il 15 ag. 1683 fece la professione di quattro voti, in mano del provinciale Alessandro de Gusmâo. Da accenni che egli fa in alcune lettere si apprende che nei primi tempi poté esplicare, com'era suo desiderio, l'apostolato tra gli Indios delle più remote regioni, finché i superiori non decisero di dare diversa direzione alla sua attività. Per dieci anni fu applicato al magistero letterario nei collegi, poi per altri dieci, in due diverse riprese, sostenne la carica di maestro dei novizi e infine, per il resto della vita, quella di segretario e socio dei provinciali, di direttore del collegio massimo di Bahia in due tempi (1698-1702 e 1709-13) e di preposito della provincia brasiliana (1705-09).
Alla destinazione dell'A. in Brasile, invece del Paraguay, dove sembra fosse stato dapprima assegnato, pare non essere stata estranea l'influenza del Vieira, il quale trascorse parecchi anni a Roma conoscendovi certamente l'A., che tanto si distingueva per ingegno. Certo, il Vieira aveva concepito di lui grande stima: divenuto visitatore generale di tutto il Brasile, si servì dell'A. per la visita in Pernambuco, che si presentava particolarmente delicata e difficile per certi conflitti giurisdizionali fra il vescovo Matia Figueiredo e Melo e i gesuiti. La visita di Pernambuco, anche per merito dell'A., che riuscì a trovare un'intesa tra le parti, si concluse felicemente. Non passò molto tempo, però, che il Vieira denunciò a Roma l'A. quale fomentatore di resistenze e ribellioni da parte dei gesuiti brasiliani nei suoi riguardi e di ostilità verso la sua opera di visitatore generale. Per effetto di tali contrasti si formarono in Brasile due fazioni, l'una favorevole al Vieira e l'altra all'A., e da parte del gruppo del Vieira si tese ad ostacolare l'attività dei gesuiti italiani in Brasile, richiamandosi ad ordinanze regie che vietavano agli stranieri di occupare cariche di governo nella Compagnia in Brasile e di trasferirsi da un luogo allo altro. Ma per la protezione di cui l'A. godeva da parte del confessore del re del Portogallo, Sebastiano Magalhaes, fu ordinato da Lisbona alle autorità coloniali di considerarlo suddito portoghese e non straniero. Anche per questo l'A. poté influire efficacemente su una questione di grande importanza per la storia del Brasile, il problema dello schiavismo.
I gesuiti, a proposito di questo problema, si erano sempre schierati a difesa della libertà degli Indios, rifacendosi anche a documenti pontifici e regi. In quegli anni, due missionari cappuccini avevano invece preso a sostenere non solo la liceità, ma anche il carattere meritorio della cattura degli Indios per convertirli alla fede cristiana. Avevano così sollevato i "Paulistas" - che erano i Brasiliani meticci, nati da Portoghesi e donne indigene della regione di San Paolo appoggiandone l'azione. Il re del Portogallo, Pietro II, aveva allora ordinato al governatore del Brasile di consultarsi con i gesuiti sui provvedimenti da adottare per far fronte alla situazione.
Chi in realtà guidò le discussioni, piùche il provinciale p. de Gusmâo e il missionario italiano Giorgio Benci, fu l'A., allora segretario e socio del provinciale. Si poté così giungere alla convenzione del 25 gennaio 1694, che venne sottoposta alla sanzione reale.
Con essa era tutelata la libertà degli Indios, sia cristiani sia pagani, mentre ai "paulisti", in qualità di loro patroni, era permesso di servirsi dell'opera loro dietro equa retribuzione, con l'obbligo di curare l'educazione religiosa e civile degli Indios divenuti cristiani. Ad una speciale commissione veniva demandata la soluzione di eventuali dubbi e difficoltà nella pratica attuazione delle clausole: dubbi che venivano indicati partitamente e riguardavano, soprattutto, la misura della retribuzione dovuta alla mano d'opera degli Indios e il trattamento da usarsi.
Alla soluzione dei dubbi provvidero di lì a poco, tornati a Babia, il p. de Gusmâo e 'A. che era stato il redattore degli atti.
Il Vieira, rimasto estraneo alle trattative e alla loro conclusione, in un voto diretto al re il 12 giugno 1694 si dichiarò contrario alla convenzione, che, a suo avviso, tutelava scarsamente la libertà degli Indios. La convenzione tuttavia fu approvata con lettere regie del 26 gennaio e 16 febbr. 1696, che sancirono altre disposizioni in favore degli indigeni brasiliani. Con questa fondamentale decisione venne definitivamente stabilito il principio della illiceità dello schiavismo esercitato a danno degli Indios, benché, com'è noto, non si condannasse lo schiavismo dei negri importati dalle terre africane. Sebbene l'A., anche sulla base dei contrasti con il Vieira, sia stato accusato di aver favorito lo schiavismo, sarà da rilevare il carattere polemico di tali accuse che rientrano per lo più nell'ambito più generale dell'opposizione condotta dai gesuiti di origine brasiliana contro i gesuiti italiani, dei quali, con evidente esagerazione, si temeva la influenza in quella colonia portoghese. E infatti l'A., che da sette anni ormai sosteneva la carica di segretario del provinciale, fu rimosso dall'incarico, il 30 giugno 1696, su istanza dei confratelli suoi oppositori, e inviato a dirigere il collegio di Bahia, dal 1696 al 1702. Anche qui non mancarono rivalità tra gesuiti portoghesi e italiani, tra i quali pure erano uomini di notevoli capacità come Giorgio Benci, Antonio M. Bonucci, Alessandro Perier, Luigi Vincenzo Mamiani della Rovere; ma l'A. poté divenire provinciale del Brasile per il triennio 1706-09. Di nuovo rettore a Bahia, rimase al governo fìno al 1713. Dopo questa data, scarseggiano le notizie sulla sua vita.
Morì nel collegio di Bahia il 13 marzo 1716.
Oltre che per la rilevanza che ebbe la sua figura nella vita politica e missionaria brasiliana di quegli anni, l'A. è soprattutto ricordato per un suo scritto di notevole interesse sull'economia brasiliana, apparso nel 1711 a Lisbona presso l' "Officina Real Deslandesiana": Cultura e opulencia do Brasil por suas drogas e minas com varias noticias curiosas do modo de fazer o Assucar, plantar e beneficiar o Tabaco, tirar Ouro das minas e descubrir as da Prata; e dos grandes emolumentos que esta conquista de America Meridional da ao Reyno de Portugal, come estes et outras generosas et contratos reaes.
La stampa fu probabilmente compiuta nella prima metà dell'anno e, sebbene il libro apparisse sotto il nome fittizio di André Joâo Antonil, è da escludere ogni tentativo di occultamento, poiché l'A. abbastanza esplicitamente si sottoscrive nel proemio "o Anonymo Toscano" e dichiara, nel frontespizio e nella dedica, di devolvere i profitti dell'opera alla causa di beatificazione del gesuita José de Anchieta. Terminata la stampa, un decreto reale - di cui si ignorano la data e il testo - ordinava il sequestro e la distruzione del libro, come nocivo agli interessi dello stato: l'ordine fu eseguito con tanta diligenza che per circa un secolo del libro rimase ignota persino l'esistenza. Nel 1837 l'editore Villeneuve di Rio de Janeiro, utilizzando una copia sfuggita alla distruzione, lo ristampò; il vero nome dell'autore fu identificato dallo storico brasiliano J. Capistrano de Abreu. Sono seguite altre edizioni: in Cina, a Macao, nel 1898 e quindi in Brasile nel 1899, 1923 e 1950.
Divisa in quattro parti l'opera tratta delle quattro principali fonti di ricchezza, da cui dipendeva la prosperità e più doveva dipendere lo sviluppo del Brasile: la lavorazione dello zucchero, la coltura del tabacco, le miniere aurifere allora scoperte e l'industria dei cuoi. Ricca di dati e di informazioni statistiche e quantitative, oltreché di notizie sulle tecniche industriali ed agricole dell'epoca in uso nella colonia portoghese, si conclude con due capitoli, nei quali è delineato quasi uno specchio statistico dell'annuale flusso di denaro dal Brasile al Portogallo: l'A., sulla base dei più autorevoli giuristi ed economisti, vi sostiene l'obbligo da parte dei cittadini di versare al re una quota parte dei loro proventi e la "quinta" dell'oro; vi afferma inoltre - e qui forse è il motivo della soppressione del libro - che il re e il suo governo, che godevano di introiti tanto considerevoli, fossero a loro volta tenuti a prendere in considerazione la richiesta dei coloni di definire l'onere e la quantità dei tributi, oltre che le modalità.
Altri scritti di circostanza dell'A., di scarso interesse e pubblicati postumi, elencati nella bibliografia del Sommervogel, sono in Italia di difficile, se non impossibile reperimento.
Fonti e Bibl.: Ch. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, I, Paris-Bruxelles 1890, coll. 340; VIII, ibid. 1898, coll. 653-685; XII, Louvain 1960 (nuova ediz. supplemento Rivière), col. 65; R.M. Galanti, Compendio de Historia do Brasil, III, SâoPaulo 1902, pp. 109-113; J. C. Rodrigues, Bibliotheca Brasiliense. Catalogo... dos libros sobre o Brasil, Rio de Janeiro 1907, pp. 44 s.; A. de Taunay, Estudo bio-bibliographico, premesso alla edizione di Cultura e opulencia... dell'A., Sâo Paulo 1923; Id., Historia general das bandeiras paulistas, IV, Sâo Paulo 1928, p. 296; VII, ibid. 1936, p. 345 e passim; J. Capistrano de Abreu, Capitulos de Historia colonial, Rio de Janeiro 1928, passim; S.Leite, História da Companhia de Jesus no Brasil, V, Rio de Janeiro-Lisboa 1945, pp. 77, 83-85, 142-144, passim; VI, ibid. 1945, pp. 146, 312, 330, 436 e passim; VII, ibid. 1949, pp. 102-112, 118-121 e passim; VIII, ibid. 1949, pp. 45, 54 (le pp. 48-54 del vol. VIII danno l'elenco e il regesto di 62 documenti dell'A., tra cui molte relaz. annuali delle missioni).