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ANTOLINI, Giovanni Antonio

di Mario Pepe - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)
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ANTOLINI, Giovanni Antonio

Mario Pepe

Nacque nel 1756 a Castel Bolognese da Gioacchino e Francesca Tagliaferri. Giovanissimo, ad Imola, fu avviato dall'ing. Vincenzo Baruzzi agli studi di geometria e di idraulica fluviale. All'età di vent'anni si trasferì a Roma; tra il 1776 e il 1777 fu chiamato a partecipare ai lavori di prosciugamento delle paludi pontine, ma, colpito da malaria, abbandonò l'incarico e, rientrato a Roma, si dedicò agli studi e alla pratica dell'architettura. Uno dei suoi primi lavori fu un progetto per la sacrestia di S. Pietro in Vaticano, che egli stesso presentò a Pio VI, il quale ne rimase evidentemente soddisfatto se per incoraggiarlo nei suoi studi gli assegnò la somma annuale di 48 scudi. Iniziò allora anche ad interessarsi degli antichi monumenti: nel 1785 pubblicò una illustrazione del tempio di Ercole a Cori, partecipando così al fervore di studi classici dell'ambiente romano verso la fine del sec. XVIII. Nel 1796 era a Faenza, chiamato a progettare un arco trionfale di ordine dorico, da ergersi fuori Porta Imolese, "alla gloria della Nazione Francese"; l'arco, che recava sull'attico un bassorilievo dello scultore Villafranca, fu inaugurato nel 1799. Distrutto al rientro degli Austriaci, fu ricostruito al ritorno dei Francesi e vi fu aggiunto il bassorilievo della battaglia di Marengo; successivamente fu definitivamente abbattuto. Tra il 1797 e il 1799, sempre a Faenza, per incarico della Repubblica Cisalpina, eseguì una serie di rilievi idraulici; per la sua esperienza in tale materia, sempre nel 1799, fu chiamato a Milano quale membro della Commissione idraulica.

Nel 1801, dopo la proclamazione, il 24 febbraio, della pace di Lunéville, si decise a Milano di ricordare l'avvenimento con la sistemazione urbanistica della zona della città intorno al Castello Sforzesco; il progetto del complesso, al quale fu dato il nome di Foro Bonaparte, fu affidato all'A. Il 30 aprile fu posta la prima pietra: il progetto prevedeva la conservazione del nucleo centrale del Castello, parato di un rivestimento dorico, che veniva ad essere il centro di un grandioso piazzale (diametro m. 570 circa), recinto tutt'intomo da un colonnato dorico nel quale erano sistemati 14 edifici: un teatro, una borsa, un museo, costruzioni per le assemblee nazionali, dogane, terme, bagni, una cavallerizza, magazzini. Un canale navigabile (Euripo), derivato dal Naviglio, doveva correre intomo ai portici alla distanza di 20 metri. Dal centro della piazza, mediante una serie di ponti, si sarebbero collegati il porticato e gli edifici con le zone libere del Foro, nelle quali dovevano poi sorgere monumenti decorativi. È evidente il rapporto tra la sistemazione progettata dall'A. e l'idea per la città ideale di Chaux dell'architetto francese C.-N. Ledoux (1736-1806), concepita già nel 1774 (v. gli scritti di E. Kaufmann; per es.: C.-N. Ledoux e le sue opere, in Emporium LXXXIII [1936], pp. 288-295). Nel luglio del 1801 il progetto fu presentato a Napoleone, ma la spesa per l'esecu.zione, calcolata in 7 milioni, fu giudicata eccessiva; tuttavia, nonostante le perplessità di Napoleone, esso fu approvato ma non si riuscì a dargli pratica attuazione "benché informato ad un sano criterio fondamentale: spostare dal vecchio nucleo cittadino il centro politico e direzionale" (Mezzanotte). In realtà il progetto, che ebbe una favorevole accoglienza da parte del pubblico (fu avversato invece dall'architetto faentino Giuseppe Pistocchi, già rivale dell'A. per l'arco di Faenza, il quale ebbe a denunciarlo quale "mostruoso aborto dell'architettura"), esercitò una diretta suggestione sugli architetti - L. Cagnola, L. Canonica, G. Albertolli, P. Landriani - che furono poi chiamati a definire la nuova sistemazione urbanistica di Milano.

Rimase successivamente senza esecuzione anche il disegno da lui dato (1815) per le 'Procuratie novissime', a Venezia, la cui esecuzione fu poi affidata all'architetto G. Soli, che modificò ampiamente il progetto antoliniano. Dal 1803 al 1815 insegnò all'università di Bologna architettura civile e militare, idraulica, geometria pratica e uso degli strumenti geodetici. Nel 1805 fu chiamato a Mantova per adattare e sistemare i Palazzi Reali e del Te; ma, desideroso di rientrare a Bologna, riuscì a farvisi trasferire quale ispettore dei Palazzi Caprara, divenuti proprietà della Corona. Nel 1815, per ragioni politiche, dovette allontanarsi da Bologna e si trasferì a Milano, dove gli fu affidato l'insegnamento dell'architettura all'Accademia di Brera, insegnamento che tenne fino alla morte. La sua larga attività di esperto di problemi idraulici e di architetto è documentata dalla serie dei lavori, progetti, incarichi ricordati dall'A. stesso nella nota autobiografica pubblicata dopo la sua morte nel Giornale Arcadico (1842). Di questa complessa attività si ricordano ancora: la rettificazione del fiume Topino presso Canestra in Umbria, i disegni per un ponte sul Tevere a Città di Castello, il progetto di bonifica per la tenuta di Campo Salino alla foce del Tevere, il progetto per la facciata del palazzo e della cappella di corte a Mitau per il duca di Curlandia, i concorsi vinti nel 1802 - banditi dalla Consulta governativa di Milano - per l'erezione di 12 piramidi e di una colonna commemorativa nell'area del lazzaretto.

Fu membro, socio corrispondente od onorario di varie accademie ed istituzioni culturali; italiane e straniere; si ricordano: il R. Istituto di Francia, la R. Accadernia di Napoli, l'Accademia italiana di scienze, letteratura ed arti, la R. Accademia delle Belle Arti in Milano. La sua attività di studioso è documentata dalle pubblicazioni sulle antichità di Cori, Assisi, Veleia e dagli scritti di argomento architettonico.

Morì a Bologna l'11 marzo 1841.

La critica ha veduto nell'A. più il teorico, il professore, lo studioso degli antichi monumenti che non l'architetto e l'urbanista: la sua meritoria e complessa attività di studioso e insegnante non deve tuttavia farci dimenticare il significato almeno dei suo progetto per il Foro Bonaparte, espressione non solo nei singoli edifici del gusto neoclassico, al quale egli pure partecipa, ma anche di quelle aspirazioni ad un rigido funzionalismo e razionalismo che avevano trovato in Italia un sostenitore in Carlo Lodoli e in Francia più diretta applicazione nell'opera degli architetti "illuministi" e "rivoluzionari", in particolare in E.-L. Boullée e C.-N. Ledoux.

Ebbe due figlie e un figlio, Filippo (Bologna 1786 - ivi 1859), architetto anch'egli: la sua attività si svolse interamente in Emilia; si ricordano varie costruzioni a Bologna (villa già Baciocchi, il campanile di S. Caterina, Palazzo Rosa, la ricostruzione della chiesa di S. Giuseppe de, Cappuccini ecc.), l'edificio termale a Porretta, il teatro di Bagnacavallo, tutti condotti con rigida fedeltà ai modi neoclassici.

Scritti: L'ordine dorico ossia il Tempio d'Ercole nella città di Cori umiliato alla Santità di N. S. Papa Pio VI, Roma, Pagliarini, 1785; Disegni del Foro Bonaparte in 24 gran tavole... pubblicati gli anni 1802, Calcografia Antolini; Descrizione dei medesimi, Parma, Tip. Bodoniana, 1806; Il Tempio di Minerva in Assisi confrontato colle tavole di Andrea Palladio, Milano, De Stefanis, 1803; Idee elementari di architettura civile, Bologna, Marsigli, 1813; Osservazioni ed aggiunte ai principii di architettura civile di F. Milizia, Milano, Stella, 1817; Le rovine di Veleia misurate e disegnate, 2 voll., Milano, Soc. Tip. de, Classici italiani, 1819-22; Il Tempio di Ercole in Cori, Milano, Soc. Tip. de, Classici italiani, 1828 (in appendice: Disamina di altri monumenti antichi nella città di Assisi).

Bibl.: Biografia dell'architetto G.A. A. scritta da se medesimo, in Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti, XCI(1842), pp. 340-349; C. Masini, Dell'arte e dei principali artisti di pittura, scultura e architettura in Bologna dal 1777 al 1862, Bologna 1862, pp. 22, 25 (per Filippo); L. Malvezzi, Le glorie dell'arte lombarda, Milano 1882, pp. 271 s.; A. Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna, Bologna 1889, p. 106; C. Ricci-G. Zucchini, Guida di Bologna, Bologna 1930, p. 43, 58, 59, 63, 139, 200 (per Filippo); L. Simeoni, Storia della Università di Bologna, II, L'età moderna, Bologna 1940, pp. 156, 167, 181; G. Martinola, Notizie dell'architetto G. A. A., in Arch. stor. lombardo, n. s., X (1945-46-47), pp. 63 s.; E. Lavagnino, L'arte moderna, Torino 1956, pp. 73-75, 95; P. Mezzanotte, L'architettura dal 1796 alla caduta del Regno Italico, in Storia di Milano, XIII, Milano 1959, pp. 486-492; C. Maltese, Storia dell'arte in Italia: 1785-1943, Torino 1960, pp. 32 s. e passim; U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, I, p. 565; Encicl. Ital., III, p.542.

Vedi anche
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