BELLONE, Giovanni Antonio
Nacque a Torino, come attesta il frontespizio del suo De iure accrescendi, probabilmente negli ultimi due decenni del sec. XVI, da Cristoforo, di famiglia originaria di Valenza, trasferitasi a Moncalieri e successivamente a Torino. Poco sappiamo dei primi anni dellà sua vita: laureatosi in giurisprudenza, prese a insegnare diritto civile nello Studio torinese. In tale veste nel 1613 venne chiamato a Parma per sostituire Oddino Sforza. Ivi il suo soggiorno si protrasse fino all'ottobre del 1616: in questi anni venne preparando il suo primo lavoro giuridico, la De mandata iurisdictione disputatio, edito poi a Parma nel 1616.
Ricevuta l'offerta di trasferirsi a Roma alla Sapienza, il B. preferì tornare a Torino, ove riprese il suo insegnamento universitario, mentre, nel contempo, veniva nominato consigliere di Stato e membro dei Senato piemontese (17 genn. 1617).
L'esperienza pratica che egli veniva acquisendo, congiunta ad una non comune maturità scientifica, lo fecero salire fino ai più alti gradi della magistratura sabauda. Il 14 nov. 1622 veniva nominato secondo presidente ordinario del Magistrato straordinario, nuovo organo giurisdizionale, creato in quell'anno da Carlo Emanuele I, con competenza in alcune materie che prima erano state di cognizione della Real Camera. Nel dicembre 1623 ne diveniva primo presidente, e poco dopo, il 15 genn. 1624., riceveva la nomina di primo presidente della Camera dei Conti. Non trascorreva ancora molto più di un anno che il B. si trovava all'apice della sua carriera, con la nomina, da parte di Carlo Emanuele I, a primo presidente del Senato di. Piemonte (15 sett. 1625). In questi anni svolse anche le funzioni di presidente della Sanità, ma nella peste del 1625 venne a perdere i suoi più diretti collaboratori così da rinunziare l'anno seguente a tale officio.
Quel che dei B. testimoniano le carte e gli atti che si conservano a Torino nell'Archivio di Stato e nella Biblioteca nazionale è una vasta, attività intessuta di una fitta e continua trama di problemi amministrativi e giuridici connessi con le sue funzioni. Pareri per controversie internazionali (parere sulla controversia dei duchi di Savoia e il re di Francia sulle terre di Cheresei dell'8 dic. 1635; lettera sulla pretesa dei Savoia al titolo di re di Cipro del 1633; ecc.), e su questioni interne (lettera del 5 apr. 1633 sulla validità degli atti di un gruppo di notai la cui nomina era risultata formalmente imperfetta), nonché richieste di consulenze giuridiche da parte dei duchi di Parma, di Modena, del cardinale Maurizio di Savoia, sono solo un'indicazione per ricostruire questa sua vasta attività di consulente e di legale, che, in parte, troverà posto in una fortunata raccolta di Consilia.
Le vicende che seguirono alla morte di Carlo Emanuele I costrinsero il B. a scelte in cui mancò da parte sua lo stimolo di qualsiasi partecipazione politica, chiuso come egli era nell'angusta ambizione di conservare intatto il suo potere e il suo prestigio di uomo di toga. Come presidente del Senato piemontese interinava infatti, il 13 ott. 1637, l'atto con cui Madama Cristina (dalla quale nel febbraio 1638 otteneva l'assenso ducale per i acquisto del feudo di Castagneto) assumeva la reggenza del ducato e la tutela del giovane erede Francesco Giacinto.
Il volgere della guerra civile a favore dei principi Tomaso e Maurizio lo vide dapprima esitare; poi, mentre la maggior parte delle magistrature piemontesi evitava di compromettersi e mostrava di tenersi legata al partito della reggente, il B. si faceva strumento dell'insediamento legale dei principi, interinando, sempre in qualità di presidente del Senato, la delibera di questi ultimi sull'invalidità degli atti processuali e amministrativi della reggenza, e sull'efficacia del decreto imperiale quanto al loro insediamento alla guida del ducato (27 ag. 1639); e di nuovo così faceva, di lì a poco, con l'atto che attribuiva ai principi la tutela del duca Carlo Emanuele (2 nov. 1639), succeduto a Francesco Giacinto. Il B. evitava con tali espedienti l'estromissione dal Senato e dagli altri incarichi che ricopriva, come era avvenuto per numerosi senatori e membri della Camera, e si vedeva confermata, inoltre, la carica di primo presidente del nuovo Senato.
Poco gli giovò tuttavia l'aver così conservato la propria dignità togale: il 21 sett. 1640 la sua carrozza era al seguito dei principi costretti ad abbandonare Torino; rifugiatosi a Ivrea, mandò suppliche alla reggente Madama Crist ina, perché gli restituisse la sua benevolenza. La grazia accordatagli lo raggiunse troppo tardi: il 10 maggio 1640 il B. moriva, in località non precisata, forse ad Ivrea.
La reggente, appresa la notizia, ritirò prontamente la grazia; in una sua lettera del 7 maggio al Magistrato della Camera si legge: "Essendo il già Presidente Giovannì Antonio Bellone morto reo di lesa maestà, devono tutti i suoi beni essere devoluti al. patrimonio di S. A. R. mio figlio amatissimo...". Venivano così confiscati quei beni che Il B., morto celibe, aveva destinati al nipote Giovanni Antonio, anch'egli docente dello Studio torinese.
L'opera giuridica del B. si colloca, con un certo rilievo, nell'ambito di quell'indírizzo di trattatistica, la cui vocazione sistematica e monografica è uno degli aspetti più interessanti e più positivi della scienza giuridica italiana tra la fine del '500 e la prima metà del '600. Priva di quegli stimoli politici ed etici che animavano la coeva sistematica francese, dal cultismo di un Donello al giusnaturalismo di un Domat, la trattatistica italiana veniva ordinando i propri temi sulla linea di un interesse meramente scientifico, che, se pur mutuava dalla esperienza francese, tedesca ed olandese. Un più largo quadro di problemi e di soluzioni esegetiche, non arrivava tuttavia a coglierne la realtà politica nuova che le sorreggeva. Era la forza della tradizione interpretativa medievale, dalla glossa al commento che continuava in essa, sul solco della profonda rottura quattrocentesca, anche se ormai depurata dalle aperture umanistiche di un Alciato e tanto più dai grandi disegni del bartolismo.
Il primo lavoro del B., come si è visto, è la De mandata iurisdictione disputtitio; in essa le qualità e la portata della sua opera giuridica si palesano già ampiamente: al centro della Disputatio è il problema del rapporto tra iudicium e iurisdictio. Ricca di buona e solida crudizione l'analisi passa a vagliare la portata dello ius edicendi del pretore romano, la funzione del magistratus nella dottrina medievale, per giungere a una definizione dogmatica precisa della figura del giudice. "At vero iudex non dicit, sed dicat ius, nec dicitur a iure dicendo, sed a iure dicando, quia íus dietum a prxtore dicat, idest assignat partibus. 'Quam inobrem aliud est iuris dictio, aliud iudicium..." (p. 13). L'affinamento di queste posizioni concettualì rimane tuttavia nell'analisi del B. ìnerte, inetta a promuovere una viva tematica giuridica tale da farsi per questa via interprete dei problemi istituzionali dell'assolutismo politico. Accanto a posizioni interpretative nuova (si vedano per esempio a p. 22 le considerazioni riguardanti la "antiquata formularum conceptio" del Corpus iuris), e a lucide soluzionì concettuali, lo sguardo del B. rimane, per forza di cose, fermo alla vecchia impalcatura sociale e politica degli Stati italiani.
Le doti sistematiche del B. trovano la loro più compiuta espressione nel suo De iure accrescendi tractatus (Torino, 2 voll., 1637). È, questa la più vasta e completa opera monografica in tema di ius accrescendi, il cui pregio è quello di raccogliere e sistemare organicamente la ricca e spesso contraddittoria tradizione esegetica su questo istituto di origine tipicamente romanistica. Trovano per esempio in essa una esauriente formulazione dogmatica i problemi più discussi relativi alla distinzione fra coniunctio re tantum, verbis tantum ovvero ore et verbis tantum. Come pure in tema dì rapporti tra accessione e accresciniento il B. veime maturando la nozione di una precisa e netta differenziazione, fondata sul presupposto dogmatiéo che l'accessione èanzitutto l'unione materiale di due cose e l'accrescimento l'unione ideale tra due diritti ("civili vero accretio est, quae sit potestate iuris seu, per ius accrescendi de quo specialiter sit mentio, et sine facto, coniuncti ab ipso iure, ideo dicitur accrescere", p. 2, e altrove "ius accrescendi proprie loquentibus nihil aliud significare, quaip potestatem iuris, per quam pars vacans alteri parti vel personae, cui pars altera fúerat relicta, ipso iure accrescit"); presupposto attraverso cui il B. risolveva definitivamente quelle ambiguità, che pur si riscontrano nel Digesto e in altre fonti romane, e dalle quali era partita la prima esegesi dei glossatori.
Completa il quadro dell'opera del B. un volume di Consiliorum sive responsorum centenaria, in qua frequentiores contractum et ultimarum voluntatum. quaestiones tam in scholis, quam in foro agitatae continentur, editi a Torino nel 1623 e a Venezia nel 1637.
Fonti e Bibl.: Numerose notizie sono state ricavate da documenti ined. della Biblioteca Reale di Torino (Miscellanea 157, p. 17; 168, p. 2; Varia 279, p. 40; 282, p. 2, 5) e dell'Archivio di Stato di Torino (Sezione I, Lettere particolari, B. m. 38: lettere dirette al duca dal B. come Primo presidente del Senato di Piemonte); A. Fontana, Amphitheatrum legale, I, Parmae 1688, col. 88; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia, Torino 1868-69, I, pp. 539, 709, 822 s.; II, pp. 405-408; c. Dionisotti, Le Corti d'appello di Torino, Genova, Casale e Cagliari ed i loro capi, Biella 1862, p. 35; c. Dionisotti, Storia della Magistratura piemontese, Torino 1881, II, pp. 249-251; G. Galli Della Loggia, Cariche del Piemonte e Paesi Uniti colla serie, cronol. delle persone che le hanno occupate....Torino 1798, I, pp. 272 s., 377, 424; A. Manno, Il Patriziato subalpino, Firenze 1906, II, pp. 233-235; G, Manno, Degli ordinamenti giudiz. del Duca di Savoia Emanuele Filiberto, Torino 1928, p. 79; E. Besta, Le successioni nella storia del dir. italiano, Padova 1935, p. 233; A. Marongiu, sub voce Accrescimento, Diritto intermedio, in Encicl. del diritto, I, Milano 1958, p.320; G. Quazza, Guerra civile in Piemonte 1637-1642, Torino 1959-1960, pp. 38, 41, 61.