BENVENUTI, Giovanni Antonio
Nacque a Belvedere (Ancona), in una nobile famiglia del luogo, da Giuseppe e da Maddalena Tosi, il 16 maggio 1765. Ordinato sacerdote a Iesi il 20 sett. 1788, per completare gli studi si recò a Roma, ove si laureò in utroque iure alla Sapienza il 28 nov. 1793. Appena laureato, segui a Varsavia il nunzio mons. L. Litta, e per le sue doti arrivò al grado di uditore; da Varsavia passò, il 13 marzo 1797, con lo stesso ufficio, a Pietroburgo, sempre alle dipendenze del Litta. che veniva inviato come ambasciatore straordinario per riprendere le normali relazioni diplomatiche con la Russia, interrotte nel 1784 dopo la partenza da Pietroburgo dell'Archetti.
La speranza di questa ripresa di relazioni nasceva dalla mutata situazione intemazionale, che spingeva lo zar Paolo I a simpatizzare con le forze che, spiritualmente o materialmente, potevano contribuire alla lotta controrivoluzionaria. La Santa Sede, oltre un appoggio nella situazione critica in cui si era venuta a trovare dopo la pace di Tolentino, si aspettava, dalla missione del Litta, il ristabilimento della giurisdizione papale sui cattolici russi, fino allora fortemente limitata. Dopo un inizio favorevole, il Litta, in seguito all'elezione dello zar a gran maestro dell'Ordine di Malta e al non gradimento da parte pontificia, fu invitato bruscamente a lasciare Pietroburgo, il 28 apr. 1799.
Il B., dalla fine dell'aprile 1799, tenne la reggenza della nunziatura. Anche se, per l'esperienza acquisita e per le simpatie che s'era attirato, egli era in grado di svolgere bene tale compito, la mancanza di un incarico ufficiale accrebbe le difficoltà della sua missione.
Alla ripresa di normali relazioni diplomatiche si opponeva, infatti, oltre a motivi pofitici, la condotta del cardinale Siestrzencewicz, arcivescovo di Mogilev e presidente di quei Collegio ecclesiastico, che era stato creato nel 1797 per provvedere alle questioni interessanti il cattolicesimo in Russia. Il Siestrzencewicz, che aveva a corte una vasta influenza e si faceva forte del rescritto imperiale (17 marzo 1799)che gli aveva concesso il governo relativo a tutti gli affari spirituali della Chiesa cattolica in Russia, mirava alla creazione di una Chiesa nazionale in sostanza staccata da Roma, e cercava intanto di sottoporre alla sua diretta autorità gli Ordini regolari, non nascondendo la volontà di ridurli allo stato secolare. La situazione mutò nel 1800. Sotto l'influenza del generale dei gesuiti Grüber, Paolo I ordinò una radicale epurazione del Collegio ecclesiastico e l'allontanamento dell'arcivescovo di Mogilev dalla capitale, sostituito da mons. Benislawski. Il B. suggeriva subito alla segreteria di stato che al Benislawski fossero concesse facoltà straordinarie. Questi provvide così all'abrogazione dei regolamento ecclesiastico del 1798, redatto dall'arcivescovo di Mogilev, e al ristabilimento della disciplina secondo i canoni tridentini. Frattanto il Consalvi dava istruzioni al B. perché, con la mediazione del Grüber, cercasse di ottenere dallo zar la rinuncia al titolo di gran maestro dell'Ordine di Malta in cambio del breve Catholicae Fidei, con cui, venendo incontro alla sua richiesta (11 ag. 1800), si ristabiliva ufficialmente nel territorio russo la Compagnia di Gesù (9 marzo 1801). Proprio in quei giorni lo zar Paolo I fu assassinato, e sostituito dal figlio Alessandro I. Questi, pur rinunciando al titolo di gran maestro, desiderava che il papa riconoscesse la validità degli atti compiuti dal padre con quel titolo, cosa ritenuta inaccettabile a Roma. Comunque, la mutata situazione rendeva possibile che il B. fosse accreditato ufficialmente come incaricato d'affari: questa mossa, suggerita dal B. stesso (29 marzo 1801) e portata ad effetto nel maggio, riaprendo, i contatti diplomatici fra la Russia e la S. Sede, permetteva al B. di svolgere un'azione più efficace. L'elezione del nuovo gran maestro nella persona del Tommasi, e una dichiarazione di riconoscenza da parte di Pio VII per tutto il bene fatto all'Ordine di Malta dagli zar Paolo ed Alessandro I, sembravano ormai permettere l'invio di un nunzio. La scelta era caduta su mons. T. Arezzo, e questi, già partito da Roma, attendeva a Vienna l'invio del passaporto. Improvvisamente, il governo russo dichiarava che per le relazioni fra i due Stati era sufficiente lo scambio di incaricati d'affari. Se ciò si inquadrava nello scarso interesse russo a intrattenere rapporti diplomatici con lo Stato pontificio, era però diretta conseguenza della ripresa influenza del Siestrzencewicz, rientrato a Pietroburgo subito dopo l'avvento al trono di Alessandro I. Il B., con una energica memoria presentata il 6 dic. 1802 (Précis des rapports que le S. Siège a eus avec la Cour Imperiale de Russie relativement aux affaires de l'Ordre de Malte, in Nonciatures de Russie, V, pp. 391-395), ricordava che l'invio dei nunzio era già stato concertato con Paolo I e subordinato alla soluzione dell'"affare" dell'Ordine di Malta. Coi buoni uffici dei nuovo cancelliere Vorontsov e soprattuto del principe Czartoryski fu trattata l'accettazione dell'Arezzo per tre o quattro mesi, al termine dei quali sarebbe rimasto un incaricato d'affari. Il B. fece presente alla segreteria di stato che ciò era il massimo ottenibile: la Russia non desiderava un nunzio, ma un ministro che non avesse dignità vescovile (Nonciatures de Russie, V, p. 381). Alla fine della missione Arezzo, il B. psoponeva di rimanere egli stesso per breve tempo, per aprire la via ad un successore che avrebbe potuto essere, come egli stesso suggerisce, G. Alvisini, uditore dell'Arezzo.
Mons. Arezzo giungeva così finalmente a Pietroburgo, il 9 apr. 1803, come ambasciatore della S. Sede, e, venendo incontro al desiderio del B., nel settembre ne chiese il rimpatrio. Il 20 genn. 1804 il B. lasciava la capitale russa, e nel marzo giungeva in Italia. Fermatosi brevemente nel paese natale, nell'aprile si recò a Roma, ove, presso la segreteria di stato, fu adoperato quale "esperto" di problemi russi. Nel medesimo tempo svolgeva l'incarico di agente della Repubblica di Ragusa a Roma, come già aveva fatto a Pietroburgo.
Scoppiata la guerra tra la Francia e la terza coalizione, nel novembre 1805, venne affidato al B. l'incarico di compiere una missíone molto delicata a Napoli.
Era infatti sbarcato in questa città un contingente anglo-russo di 20.000 uomini, e a Roma si temeva che dovesse attraversare il territorio pontificio. Compito dei B. sarebbe stato di firmare con i comandanti militari una convenzione pèír cui gli Anglo-Russi si impegnavano a rispettare la neutralità pontificia, i beni e le persone dei Francesi residenti nello Stato romano, passando nella massima disciplina il più lontano possibile da Roma e rimborsando i danni arrecati durante il passaggio; una simile convenzione avrebbe dovuto sottoscrivere il governo napoletano, se fosse entrato nella coalizione. I contatti avuti dal B., giunto a Napoli il 26 novembre, con il ministro russo D. P. Tatišev´ e il generale russo M. Lassi si risolsero però in un fallimento: da parte russa, a causa della nuova interruzione delle relazioni diplomatiche con la S. Sede, seguita al "caso" Vernègues, ci si rifiutava di intavolare ogni trattativa con la S. Sede, ed invano il B. faceva notare che la sua missione aveva carattere solo militare e non diplomatico, e che perciò si svolgeva tagliando fuori il rappresentante pontificio a Napoli, mons. Capparucci. I Russi erano convinti che il papa fosse troppo legato a Napoleone, non solo per il caso Vernègues, ma soprattutto perché il concordato e l'incoronazione "i hanno innalzato, ed assicurato Bonaparte nel trono" (Arch. Segreto Vaticano, Nunziatura di Napoli, 385 F, ff. 13v-14:"Lettera del B. al Consalvi"). Il 10 dicembre il card. Ruffo avvertiva confidenzialmente il B. che la sua presenza era ritenuta sospetta e gli suggeriva di allontanársi; il 13il governo napoletano lo invitava direttamente a tornare a Roma, in quanto i Russi lo consideravano una spia della Francia, ma pregava che ciò non fosse reso noto ai Francesi: "sarebbe un nuovo urto per i medesimi contro quella corte la quale si trova fra l'incudine, ed il martello, e che vorrebbe raccomandarsi con i Francesi, e non inimicarsi i Russi" (ibid., f. 51 v).
Il B. rientrò da Napoli a Roma il 17dicembre, quando già la notizia dell'esito della battaglia di Austerlitz aveva fatto desistere i coalizzati da qualsiasi altra azione bellica e i giorni dei Borbone a Napoli erano contati. Nominato referendario di Segnatura il 26 giugno 1806, e quindi prelato domestico di Sua Santità, il B. entrava, nel 1807, fra i ponenti della congregazione del Buon Governo. La carriera, interrotta dall'occupazione francese - allo stato delle ricerche, nulla si sa del B. in questi anni - riprese nel 1815: in quell'anno successe al delegato straordinario T. Pacca nella delegazione di Civitavecchia, dove rimase fino al 1820, allorché fu trasferito con lo stesso incarico ad Ancona. .
Qui il B. scopriva una congiura carbonara, ordita da alcuni ufficiali, alla cui testa era il vicecomandante della piazzaforte col. Dondini. Durante la permanenza ad Ancona si acquistò vaste simpatie per lo zelo con cui provvide ai bisogni della cittadinanza: in occasione di un decreto del 5 sett. 1821 che toglieva la franchigia del porto alle manifatture di cotone, seta e lana, il B., rendendosi interprete del risentimento della città, fece presente alla segreteria di stato che in tal modo commercianti e capitali si sarebbero trasferiti a Trieste, ed ottenne dal Consalvi la pronta revoca del decreto (29 settembre). Per questa benemerenza, il 4 ottobre venne aggregato alla nobiltà anconitana.
Durante il periodo di sede vacante per la morte di Pio VII, partiti i cardinali legati per il conclave, il B. fu nominato delegato straordinario delle Quattro legazioni dal 25 ag. al 17 dic. 1823. Rientrato ad Ancona, virimase fino al 7 marzo 1824, allorché fu chiamato a Roma, alla segreteria del Buon Governo. Un breve di Leone XII, del 2 luglio di quell'anno, lo nominava delegato straordinario delle province di Marittima e Campagna e visitatore di tutte le comunità dello Stato: oltre che al riordinamento amministrativo, il B. doveva provvedere alla repressione del brigantaggio che, dall'inizio del secolo, infestava le due province, e contro cui nessun risultato aveva raggiunto la missione di mons. Pallotta.
Lasciato come supplente al Buon Governo il suo uditore, Secondo Biamonti, il B. giunse a Frosinone il 4 luglio. Contro il brigantaggio adottò subito severissime misure: la milizia volontaria, che si aggiungeva a quella regolare di 1500 uomini, fu divisa in tre corpi (a difesa del paese, per perlustrazioni, per operazioni fuori il territorio del comune); fu istituito un tribunale speciale, presieduto dallo stesso B. e composto da tre assessori e da un graduato militare; si esercitò una speciale sorveglianza sui sospetti e le loro famiglie; furono ritirati porti d'arma e patenti di caccia. L'anno dopo, il 4 maggio 1825, un editto, oltre che confiscare i beni dei briganti, colpiva con severe pene i familiari e congiunti fino al terzo grado: molti furono gli arrestati e i deportati. Questi provvedimenti, uniti ad azioni militari, alle pesanti condanne del tribunale speciale e ad un'intensificata attività di visitatore apostolico, portarono alla distruzione delle più famose e pericolose bande (come quella di Antonio Gasbarone da Sonnino). Nel campo amministrativo, il 20 dic. 1825 entrò in vigore un regolamento che, correggendo il disordine degli anni precedenti, prescriveva il retto funzionamento delle amministrazioni locali (cfr. Istruzioni e Regolamenti emanati in seguito alla visita fatta nelle Comuni delle Provincie di Marittima e Campagna da mons. G. A. B., Roma 1825) e stabiliva che ogni sforzo finanziario dovesse essere concentrato nella costruzione di nuove strade e nel miglioramento di quelle esistenti. Il B. ritenevá infatti che la facilità delle comunicazioni e l'istruzione popolare dovessero essere alla base del miglioramento economico delle due province: a questo scopo, il piano di riforma scolastica, attuato durante la sua missione, portò il numero dei maestri delle scuole comunali da 74 a 137, con un aumento della spesa annua per i soli stipendi' da 2926 a 6089 scudi.
Il successo riportato fruttò al B. il cappello cardinalizio, conferitogli nel concistoro segreto del 2 ott. 1826, e la carica di pro-legato a Forlì, in sostituzione del defunto card. Sanseverino. Due anni dopo, il 15 dic. 1828, fu pubblicato con il titolo dei SS. Quirico e Giulitta e chiamato a far parte delle congregazioni dei Vescovi e Regolari, Immunità ecclesiastica, Buon Governo e Lauretana; gli fu affidata quindi la diocesi di Osimo. Morto Leone XII, nel conclave che elesse Pio VIII, tra il 9 ed il 13 marzo 1829 la candidatura del B., patrocinata dal Pacca e dall'Albani contro il gruppo del De Gregorio e del Bernetti, raccolse un certo favore, ma fu poi scartata inseguito ad accuse di scarsa dottrina e dirittura morale. La possibilità di salire al papato si fece, comunque, più seria nel successivo conclave del 1831, per il favore con cui la Francia avrebbe accolto la sua elezione. Il Berrietti gli offrì l'appoggio del partito del De Gregorio, qualora si fosse impegnato a non creare l'Albani segretario di Stato, ma il B. rifiutò ogni condizione, e il 1° febbraio contribuì a sbloccare la situazione, dichiarando che avrebbe votato per il Cappellari. Questi, appena eletto, si trovò a dover affrontare la rivoluzione che il 4 e 5 febbraio aveva investito il territorio delle Legazioni, e minacciava di dilagare nelle Marche e nell'Umbria. Dopo aver pensato all'invio del card. Oppizzoni, arcivescovo di Bologna, cui però gli insorti impedirono il passaggio, il 12 febbraio Gregorio XVI creò il B. legato a latere con potestà illimitate: la scelta era giustificata dal fatto che il B., in qualità di vescovo di Osimo, poteva senza sospetti entrare nella zona insorta, e dall'essere egli in fama di "moderato".
Lasciata Roma il 15 febbraio, il B. si diresse verso Temi e Spoleto; evitò Foligno, già in mano agli insorti, e si portò ad 0suino, che però era occupata anch'essa dai rivoluzionari. Questi intercettarono una lettera del Bernetti al B., che faceva piena luce sulla missione antirivoluzionaria a lui affidata (minuta in Arch. Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, 1831, Interni, R. 16511, B. 822).Si decise l'immediato arresto dei B. (18 febbraio) e la sua traduzione a Bologna, con l'intenzione di espellerlo dal territorio delle Provincie Unite; ma si preferì poi accogliere la proposta del governo rivoluzionario di Forlì, che suggeriva di trattenere il B. come ostaggio per ottenere la liberazione dei detenuti politici di Civitavecchia e Civitacastellana. Il papa indirizzò, il 24, una protesta al corpo diplomatico; intervennero subito a chiedere la liberazione i governi spagnolo e francese. Convinti dell'utilità di avere nelle mani il B., i rivoluzionari risposero negativamente anche alle ingiunzioni austriache, e, abbandonando Bologna, il gen. Zucchi fece portare il B. ad Ancona. Qui, giudicata problematica ogni resistenza, per suggerimento del gen. P. D. Armandi, il governo provvisorio decise di negoziare una capitolazione con il B.; a tale scopo una commissione, composta dall'Armandi, da Cesare Bianchetti, Lodovico Storani e Antonio Silvani, Stipulò il 25 marzo una convenzione in dodici articoli, il giorno dopo ratificata da tutti i componenti del govemo ad eccezione del Mamiani. Con questa si ristabiliva il governo pontificio, veniva concessa ai compromessi una piena e completa amnistia, veniva fornito di passaporto chi desiderava emigrare, si assicuravano agli impiegati, pensionati e militari, tutti i diritti di cui godevano prima della rivoluzione. La convenzione non fu però riconosciuta né dal governo pontificio, che la considerava estorta al B. con la violenza in quanto questi si trovava in stato di detenzione, né dagli Austriaci, che entrarono in Ancona il 29 marzo ed il 30 catturarono quei rivoluzionari che, con il permesso del B., si erano imbarcati verso Corfù. Invano il B. fece presente al Bernetti che la sua azione, compiuta in piena libertà, era stata giustificata dalla necessità di impedire una guerriglia sanguinosa ad opera delle truppe dello Zucchi, che intendeva ritirarsi sulle montagne, e di bloccare G. Sercognani, che progettava di marciare verso Roma. Pur sconfessato e deposto dalla carica, il B. continuò fino al 9 aprile a lavorare all'esecuzione della convenzione: ripristinò l'amministrazione civile nelle Marche e nell'Umbria ed ottenne il disarmo delle truppe dello Zucchi e del Sercognani, agevolato nella sua opera dallo stesso generale austriaco M. Geppert, che pur non riconosceva la validità dei patto.
Infine, obbedendo agli ordini della segreteria di stato, fece piena sottomissione.
Conclusasi con un completo fallimento politico e con la sconfessione della segreteria di stato quest'ultima sua missione, che pure sul piano pratico aveva raggiunto gli scopi, il B. il 10 apr. 1831 partì per Osimo. Logorato nel fisico, trascorse gli ultimi anni nelle cure pastorali, provvedendo con particolare zelo al Collegio Campana e ai seminari di Cingoli ed Osimo. Dal 1836, impossibilitato a continuare ogni attività, fu sostituito dal card. Ostini, vescovo di Iesi, in qualità di amministratore delegato. Ad Osimo il B. morì il 14 nov. 1838.
Fonti e Bibl.: Oltre le fonti e la bibl. alle voci Angiolini Gaetano (in Diz. Biogr. d. Ital., III, pp. 286-289) e Arezzo Tommaso (ibid., IV, pp. 108-112), si veda: Arch. Segr. Vat., Proc. Dar., vol. 191, ff. 5-15; Ibid., Nunz. Napoli, 385 F.: Missione dell'ab. Benvenuti; Ibid., Segr. Stato Interni 1824, Rubr. 154, buste 559, 607, 608, 642, 643; Ibid., Segr. Stato, Interni 1831, Rubr. 165/1, buste 822, 823; Notizie per l'anno 1806, Roma 1807, pp. 62, 89; P. D. Armandi, Ma Part aux événements importants de l'Italie centrale en 1831, Paris 1831, pp. 49 s., 53 s., 71, 73-76; P. Masi, Mémoires de Gasparoni, célèbre chef de bande de la Province de Frosinone, Paris 1867, pp. 294 s.; P. Dardano, Diario dei conciavi del 1829 e del 1830-31, a cura di D. Silvagni, Firenze 1879, pp. 23, 33, 38, 44, 51, 60, 70, 74, 90; F. von Krones, Zur Gesch. der Jahre 1804-1806. Aus dem handschriftlichen Depeschen des Abbate G.A.B., Agenten der Republik Ragusa in Rom. in Historisches Jahrbuch, X (1889), pp. 302-333; Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di F. Comandini e di altri Patriotti del tempo, a cura di A. Comandini, Bologna 1899, p. 22; Nonciatures de Russie, II, Nonciature de Litta (1797-1799), a cura di M. J. Rouët de Journel, Città del Vaticano 1943, pp. IX, XXXV, LXII, LXV, 211, 349, 385 s., 396, 411; V, Interim de B., a cura di M. J. Rouët de Journel, ibid. 1957; L. Pásztor-P. Pirri, L'Archivio dei Governi provvisori di Bologna e delle Provincie unite del 1831, Città del Vaticano 1956, passim;A.Leoni, Ancona illustrata, Ancona 1832, pp. 430, 432, 438, 454, 458, 460; A. Vesi, Rivoluzioni di Romagna del 1831, Firenze 1851, pp. 30-32, 50-56, 63; F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplomatique des conclaves, IV, Bruxelles 1866, pp. 366, 367, 374-376, 380, 396, 404-407; C. Facchini, La capitolazione di Ancona del MDCCCXXXI, Bologna 1884, pp. 2, 15, 20 s., 24, 27 s., 34, 69, 71, 73-80, 82 s.; S. Bernicoli, Governi di Ravenna e di Romagna, Ravenna 1898, p. 118; I. Rinieri, Napoleone e Pio VII, Torino 1906, p. 238; M. Rosi, L'Italia odierna, II, Torino 1923, pp. 111, 128, 129, 131, 144, 145; O. Montenovesi, Il1831 nei territori della Chiesa e i documenti dell'Archivio di Stato di Roma, in Archiginnasio, XXII (1927), pp. 63, 65 s.; R. Del Piano, Roma e la rivoluz. del 1831, Imola 1931, pp. 15, 113, 114, 151, 191, 192, 226, 234, 237, 241; J. Schmidlin, Papstgeschichte der neusten Zeit, I, München 1933, pp. 83, 326, 381, 384, 455, 457, 474 s., 477 s., 487, 511, 513, 515, 523 s.; F. Falaschi, La rivoluz. in Ancona, in Le Marche nella rivoluz. del 1831, Macerata 1935, pp. 117. 119, 122, 130 s., 133 s., 146, 151; E. Morelli, La Politica estera di T. Bernetti segretario di Stato di Gregorio XVI, Roma 1953, pp. 32, 173; L. Pásztor, I cardinali Albani e Bernetti e l'interv. austriaco nel 1831, in Riv. di storia d. Chiesa in Italia, VIII (1954), pp. 114 s.; G. Berti, Russia e Stati ital. nel Risorgimento, Torino 1957, passim;S.Celli, Il card. G.A.B. legato "a latere"nella rivoluz. del 1831, in Riv. di storia d. Chiesa in Italia, XIV (1960), pp. 48-93; M. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, III, Città di Castello 1960, pp. 83 s., 92-97; P. Pieri, Storia milit. del Risorgimento, Torino 1962, pp. 123, 125; R. Colavietra, Il diario Brunelli del conclave del 1829, in Critica storica, I (1962), pp. 530, 532, 536, 640, 645 ss., 651 s., 655, 658 ss.; Id., La Chiesa tra Lamennais e Metternich, Brescia 1963, pp. 120, 160, 173, 216-220 e passim; Dict. d'Histoire et de Géographie Ecclés., VIII, col. 288.