BIANCHI, Giovanni Antonio
Nacque a Lucca il 2 ott. 1686 da Giovanni Francesco e Caterina Felice, cittadini lucchesi. Il suo nome di battesimo fu Carlo Augusto. Entrò a sedici anni nell'Ordine dei minori osservanti, di cui vestì l'abito ad Orvieto il 19 novembre 1703, cambiando il proprio nome in quello di Giovanni Antonio. Inviato a Roma a studiare filosofia e teologia nel convento dell'Ara Coeli, proseguì gli studi intrapresi a Napoli, nel convento di S. Maria Nuova. Sacerdote, ritornò a Roma a insegnare filosofia nel convento del suo Ordine di S. Bartolomeo all'Isola e dopo tre anni venne trasferito al convento della Nunziata di Bologna come lettore di teologia. In questo soggiorno bolognese approfondì la sua cultura nelle direzioni più varie: dalla storia ecclesiastica, al diritto civile, alle scienze naturali. Ebbe incarichi di responsabilità nell'Ordine e fu scelto come teologo dai cardinali Spinola, Falconieri e Cozza. In un conflitto di giurisdizione fra l'arcivescovo di Bologna P. Lambertini e T. Ruffo, arcivescovo di Ferrara, mostrò le sue qualità di politico e di mediatore. Nel 1720 tornò a Roma, dove riprese il suo posto di insegnante di filosofia al convento di S. Bartolomeo all'Isola. Nel 1728 ebbe l'incarico di provinciale per la provincia romana e nel 1729 si recò al capitolo generale a Milano, dove pronunciò un'orazione latina, che fu pubblicata. Aveva vivi interessi letterari e componeva tragedie, ma, ben più interessante della sua attività di poeta arcadico, si faceva intanto luce in lui la sua vera vocazione, che era quella del canonista.
Con l'avvento di Clemente XII il B. si trovò inserito nel nuovo clima politico della Curia, che reagiva con intransigenza ai cedimenti di Benedetto XIII verso le corti soprattutto italiane. Si trovò impegnato contemporaneamente nei confronti del Regno di Napoli e del Piemonte. La sua partecipazione in difesa della S. Sede in entrambi i casi fu di impegno intransigente. Nel Regno dì Napoli era sorta una contesa fra il duca di Gravina e il vescovo della stessa città, accusato con i suoi chierici di aver alienato le franchigie. La denuncia del duca aveva avuto i suoi effetti, stante l'effimera ripresa dello spirito anticurialistico che distinse gli ultimi anni del viceregno austriaco. Alcuni chierici erano stati minacciati di arresto e si erano prese misure contro l'illecita attività economica di quel vescovo. Questi aveva reagito scomunicando il duca e i suoi funzionari e la causa era stata discussa al Collaterale, favorevole al duca Pietro Contegna, un amico del Giannone, alto funzionario del viceregno, aveva preso le difese del duca scrivendo varie consulte e un Trattato sulla regalia, che fu pubblicato a Napoli nel 1732. Quest'opera, lodata dal Giannone e nutrita dell'Istoria civile, preoccupò Roma. Il B. fu incaricato di difendere l'operato del vescovo e scrisse le Lettere di risposta d'un particolare di Roma ad un amico di Napoli sopra le pendenze di Gravina, s.n.t. (ma Roma 1733), un'opera che gli guadagnò subito un posto di rilievo nella cultura canonistica e curiale romana. Il Contegna rispose con le Lettere di replica di un particolare di Napoli ad un amico di Roma (Napoli 1733), accusando fra l'altro il B. di aver falsificato i documenti citati.
Contemporaneamente il B. prese parte a una polemica, ben più vasta, con la corte piemontese. Con la morte di Benedetto XIII e gli avvenimenti successivi, il concordato del 1727, favorevole alla corte piemontese per l'opera persuasiva del ministro Ormea, di diplomazia e insieme di corruzione dei più influenti cardinali, era stato rimesso in discussione da Clemente XII. Da parte piemontese si era reagito con una grossa raccolta di documenti e memorie, scritta sulla base degli appunti dello stesso Ormea e del Caissotti. Inoltre si erano cercati i soliti appoggi a Roma. Fra l'altro anche il B. aveva avuto concrete offerte dall'Ormea perché scrivesse a favore del Piemonte, ma poi non se n'era fatto nulla, anzi si era dato un giudizio negativo nei suoi confronti. Il B. aveva atteso invece con altri canonisti alla Risposta della Curia, scrivendo completamente uno dei quattro volumi di cui si componeva e mostrandosi il più agguerrito difensore delle pretese della S. Sede. L'intervento del B., riguardante l'"informazione storica", metteva in discussione il privilegio concesso da Niccolò V alla corte sabauda di nominare i propri prescelti ad alcune cariche ecclesiastiche e il diritto di placitazione nei termini favorevoli in cui se li era fatti rinnovare da Benedetto XIII il re Vittorio Amedeo II. La polemica ripropone lo stesso atteggiamento già manifestato dal B. nelle Lettere, l'ostinata volontà di difendere tutti i privilegi della Chiesa di fronte all'incalzare dello Stato moderno. Aveva come compagni in questa polemica Giusto Fontanini, Giuseppe Agostino Orsi e altri canonisti minori.
Quasi come un prolungamento naturale di questa sua attività di difensore ostinato della S. Sede, il B. meditava intanto un'opera che affrontasse insieme tutti i problemi del rapporto fra Stato e Chiesa e desse finalmente alla Curia uno strumento decisivo per lottare contro le erosioni che lo Stato minacciava alla sua potestà millenaria. È interessante, per valutare la fortuna dell'Istoria civile, che il B. abbia pensato a Giannone come al principale avversario da battere. Effettivamente l'Istoria civile, più di ogni altra opera giurisdizionalistica, affrontava concretamente la polemica contro i "diritti divini" della Chiesa.
L'opera del B., Della potestà e della politia della Chiesa trattati due contro le nuove opinioni di P. Giannone..., Roma 1745-1751, rappresentava non solo la più intransigente opposizione alle teorie del Giannone, ma anche la più precisa e coerente esposizione delle dottrine di parte curialista, come l'ha giudicata lo Jemolo. All'inizio del papato di Benedetto XIV, quando si delinea un tentativo di riavvicinamento più cordiale alla cultura illuministica da parte del papa bolognese, un tentativo cioè di recuperare le forze disposte al dialogo, e rinnovare il cattolicesimo, quest'opera è veramente per più versi anacronistica e si può pensare che non sia stata ben vista dalla Curia, o per lo meno da parte di coloro che seguivano l'esperimento di Benedetto XIV, mentre fu appoggiata da coloro che cercavano di ostacolarlo e di opporvisi. La prima testimonianza di ciò può essere ricavata dal fatto che nel 1750, mentre l'opera del B. era per metà pubblicata, la Curia chiedeva a G. Andrea Tria, arcivescovo di Tiro e diplomatico pontificio, buon amico del Lambertini. di stendere le sue Osservazioni critiche sull'opera del Giannone, in cui, anche se è riassunta in gran parte la polemica del B., il tono è mutato e ci si preoccupa più di mostrare che il Giannone si è pentito che di respingerlo, come invece fa il B., verso il protestantesimo. La seconda testimonianza, più interessante il B. stesso, è che la sua opera non venne pubblicata tutta dalla tipografia Pagliarini di Roma, che era la stamperia ufficiale della Curia, ma i due ultimi volumi uscirono presso la tipografia di S. Ignazio, evidentemente perché i gesuiti, che erano stati i più acerrimi nemici del Giannone, ne vollero continuare la pubblicazione presso la loro tipografia nonostante il clima mutato. L'opera del B. si rivolge non solo contro l'Istoria civile ma anche contro gli Anecdotes ecclésiastiques che ne erano stati tratti dai protestanti, probabilmente per suggerimento del pastore Vernet di Ginevra, anche se il più recente storico delle edizioni ginevrine del Giannone, il Bonnant, sostiene che l'opera fu elaborata e pubblicata ad Amsterdam.
Oggetto della polemica del B. sono proprio i primi libri da cui sono tratti tutti i brani tradotti negli Anecdotes. Questo particolare è interessante: se protestanti e cattolici si trovano d'accordo nel considerare più importanti, soprattutto per un discorso teorico, tutti i libri riguardanti la disciplina della Chiesa fino al secolo VIII, significa che in essi veramente si trova l'elemento di maggiore novità dell'opera giannoniana almeno dal punto di vista della storiografia religiosa. L'opera del B., che è una confutazione di ogni forma di laicismo, trova il suo idolo polemico nei primi libri del Giannone, in cui è implicito tutto il discorso successivo.
Sin dalla prefazione il B. avverte che egli combatterà fino in fondo il Giannone e le sue teorie che ritiene suggerite dai protestanti, e condivise dai gallicani, alla cui confutazione egli dedica i primi due tomi. Solo nel terzo tomo, sgomberato il campo dalle affermazioni generali, inizia la polemica contro l'Istoria civile del Regno di Napoli, polemica condotta implacabilmente confutando passo passo l'opera giannoniana. Il B. afferma di polemizzare in particolare con il Giannone perché è l'autore moderno che ha raccolto materiale contro la Chiesa "con azione più scaltra e frodolenta maniera". Inoltre ha scritto in italiano, e quindi la sua opera ha avuto troppa diffusione, tanto da influenzare contro la Chiesa una parte dell'opinione pubblica contemporanea.
Il B. in sostanza accusa il Giannone di aver voluto demolire i "diritti divini" della Chiesa mostrando la totale storicità del suo sviluppo. A questa tesi egli contrappone la sostanziale identità delle origini e del presente. È il potere sovrano, il diritto dello Stato a mutare, a essere transeunte e dominato dalle vicende storiche. La Chiesa è immutabile e forte. Anzi il B. ribatte che il vero compito del sovrano è quello di rappresentare la parte dell'avvocato dei diritti della Chiesa. Il Giannone invece ha voluto presentare il cristianesimo come una realtà che prima ha turbato profondamente ed eversivamente la compagine dell'Impero, poi vi si è inserita subendone le strutture fino a disporsi geograficamente secondo le province dell'Impero. Contro questa tesi del Giannone, che risale al Di Marca e al Dupin, il B. afferma che la Chiesa non ha avuto altro modello che la volontà di Dio.
Il Giannone aveva seguito con attenzione le vicende di quest'opera. Fin dal 1736 era a conoscenza dell'attività del Bianchi. Ne parlò infatti in una lettera al principe Trivulzio del 19 marzo 1736, da Ginevra (Roma, Bibl. Naz.,Epist. Giannone, 358, c. 350). Quando fu pubblicata, il napoletano, che aveva avuto notizia dal fratello della sua diffusione a Napoli (Archivio di Stato di Torino, Mss. Giannone, mazzo V, ins. 7), la lesse parzialmente mentre era in carcere a Torino. Ne ebbe in mano i primi due tomi e li commentò con asprezza (Torino, Biblioteca Reale,Var. 303, c. 63 ss.).
Il B. non arrestò la sua multiforme attività a questi impegni canonistici, storici e politici. Partecipò, come era tipico nel suo tempo, a più di una polemica in difesa del suo Ordine e per l'attribuzione di questo, o quel santo agli osservanti, come testimoniano le sue Lettere di un cordiale amico a Filalete Adiaforo di qual Ordine de' Minori sia il beato Andrea Caccioli, Torino (ma Roma e Lucca) 1727. Letterato di un certo gusto, egli fu autore di un notevole numero di tragedie. La prima raccolta è del 1725 Sotto lo pseudonimo di Farnabio Gioachino Annutini,Tragedie sacre e morali, cioè Matilda, Jefte Elisabetta e Tommaso Moro, Bologna 1725. Come si vede tutti i temi sono scelti con un gusto che rivela il futuro difensore dei diritti della Chiesa. Seguono Virginia, Bologna 1732, Dina, Bologna 1734, Demetrio, Bologna 1734, Attalia, Bologna 1735, David perseguitato da Saul, Bologna 1735. Quest'ultima opera suscitò polemiche (Theodori Parthenii Iudicium De Tragoedia F. Annutini), a cui il B. rispose con le sue Osservazioni controcritiche, Venezia 1752, che ebbero in risposta una Lettera apologetica, Venezia 1753. Tutte le tragedie del B. furono raccolte insieme in una edizione postuma di Roma del 1761, che contiene anche una sua breve biografia.
Una sola volta nella vita toccò al B. il ruolo del moderatore e fu quando scrisse, con dedica a P. A. Cappello, ambasciatore veneto a Roma,De' vizi e dei difetti del moderno teatro e del modo di emendarli. Ragionamenti sei di Laurisio Tragiense, Roma 1753, in polemica con il teologo Daniele Concina che aveva affermato che il teatro era fonte di ogni corruzione. Il B. afferma che a proposito del teatro corrono due opinioni: "o che assolutamente l'approvano, o senza riserba il condannano". Egli vuole percorrerne una terza, che concili teatro e morale cristiana, "onde si conservasse illibata la purità del cristiano costume". I ragionamenti, che affrontano il problema dell'esecuzione delle commedie e delle tragedie, la necessità dell'intervento della magistratura per castigare le opere poco corrette, rivelano un gusto ancora attardatamente arcadico.
Nel 1744 il B. era stato nominato consultore della S. Inquisizione da Benedetto XIV. Come si èdetto, però, il clima del papato di Lambertini non era più il suo. Nel 1756, custode della provincia romana, si recò al capitolo generale del suo Ordine a Madrid. Tormentato da calcoli renali e da podagra, morì a Roma il 17 genn. 1758 e fu sepolto nella chiesa di S. Bartolomeo all'Isola.
Il B. lasciò alcuni manoscritti che sono alla Biblioteca Vaticana di Roma. Il Vat. lat. 7355, Dissertationes variae, contiene manoscritti e opuscoli a stampa in difesa dell'Ordine francescano. Il Vat. lat. 7356, dal n. VI al n. X, opuscoli riguardanti la polemica fra Ferrara e Bologna per le acque del Taro. Segue un manoscritto intitolato Del primato del romano Pontefice, che in realtà non sembra un'opera autonoma, come era parso al De Tipaldo, ma un frammento dell'opera Della potestà e politia della Chiesa (cc. 212-337). A c. 338 un'inedita Relazione delle turbolenze di religione per le controversie tra il clero e il Parlamento di Francia, che è frutto di un viaggio a Parigi, dove probabilmente il B. conobbe l'abate Galiani. A c. 375 segue la inedita Vita del venerabile Sebastiano Apparizio, scritta nel 1738.
Il Vat. lat. 7357, Consultationes variae, riguarda argomenti diversi, dai riti cinesi alle cause matrimoniali, alla consanguineità nei matrimoni. Esamina, inoltre il contenuto di libri giurisdizionalistici, giansenistici e di varia cultura. Fra l'altro analizza il Neuvième discours dell'abate Fleury (1753). La relazione più interessante però fra tutte queste è quella sull'edizione 1746 dell'Henriade di Voltaire (cc. 492-496). Il B. è contro una proibizione del libro motivata dalle osservazioni maligne e polemiche sui pontefici. Per questo motivo, egli osserva, bisognerebbe allora censurare e punire anche Dante o Petrarca. È invece da proibire perché gli eroi, a cominciare da Enrico IV, sono tutti protestanti. Inoltre le guerre civili e le discordie del regno di Francia sono tutte attribuite alla corte di Roma ed al machiavellismo di Caterina de' Medici.
Il Vat. lat. 7358, Orationes, contiene alcune lettere, fra cui quella a stampa ad Antonio Cocchi, del gennaio 1731, una a Giuseppe Aurelio De Gennaro del dicembre 1756, prediche, lezioni di teologia. Il Vat. lat. 7564 conserva i suoi appunti di diritto. Ancora alla Biblioteca Vaticana (Vat. Ferr. 3, f. 113) vi è qualcosa che lo riguarda: La Bonamiceide, sonetto del signor abate Filippo Bonamici contro il p. Bianchi francescano per la sua confutazione della Storia di Napoli di Giannone con diciassette sonetti in risposta al medesimo. La polemica è certamente successiva al 1748: vi si parla del Giannone come morto e si accenna all'opera del Concina e al suo conflitto con Maffei, in cui il B. era alleato a quest'ultimo.
L'opera principale del B., proibita nel Regno di Napoli (le consulte di Nicola Fraggianni dell'11 aprile e 12 ott. 1746, in Società napoletana di storia patria, XX B 5-18, II, pp. 225-244; III, pp. 1-12 e 215-218), sembrò dover essere dimenticata, così anacronistica quale era apparsa a spregiudicati politici come il cardinale De Tencin e Benedetto XIV. O per lo meno, verso la seconda metà del Settecento, la fama del B. si affidava ormai soprattutto all'esile attività di letterato, come testimoniano le due voci del Mazzuchelli e del Fabroni.
Ma non fu così per sempre: nel secolo XIX il B. conobbe alcune significative riprese. Nel ribollire delle polemiche fra Stato e Chiesa del decennio cavourriano, se ne fece a Torino nel 1854 una significativa riedizione completa, ora rarissima, da parte del clero franroniano e in evidente polemica con le leggi Siccardi. Ma prima ancora, in una serie di Dissertazioni spettanti alla storia della Chiesa cattolica contro gli errori correnti raccolte dai compilatori della Biblioteca cattolica Napoli 1852, la prima, Della venuta di S. Pietro in Roma, è del B. ed è tratta dal terzo tomo della sua opera, mentre la seconda di un certo Sabbatini, la terza e la quarta sempre del B., e le ultime tre del gesuita Zaccaria. Anche in Francia l'opera del B. veniva contemporaneamente utilizzata: nel 1857 ne appariva a Parigi una traduzione dei primi due tomi a cura del canonico A. C. Peltrier: Traitéde la puissance ecclésiastique dans ses rapports avec les souverainetéstemporelles.
Era un ultimo sprazzo di fortuna, soprattutto per quanto si riferisce alle due opere italiane, nel clima di ripresa delle polemiche neoguelfe e neoghibelline. Non per niente queste edizioni sono contemporanee alla fortuna ottocentesca del Giannone: un conflitto apertosi più di cent'anni prima si riaccendeva proprio alle conclusioni del processo risorgimentale. E forse, a subirne maggiormente i fraintendimenti, le deformazioni, gli anacronismi, era piuttosto il Giannone (da moderno e sensibile interprete delle inquietudini politiche e religiose del suo tempo, diventò l'ultimo dei ghibellini) che non il minorita lucchese, nel suo tenace misoneismo già fuori stagione al suo tempo.
Fonti e Bibl.: Le lettere di Benedetto XIV al card. De Tencin, a cura di E. Morelli, Roma 1955, I, p. 260; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, p. 138; II, 2, ibid. 1760, p. 1149; A. Fabroni, Vitae Italorum... qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, XI, Pisis 1785, pp. 245 ss. (che è il più ampio profilo del B.); E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, X, Venezia 1845, pp. 241 ss.; F. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di P. Giannone, Bari 1913,passim; C. A. Jemolo,Stato e Chiesa negli scrittori politici italiani del Sei e Settecento, Torino 1914, passim; L. Oliger, Le iscrizioni lapidarie latine del P. G. A. Bianchi da Lucca, in Studi francescani, IX (1923), pp. 1-57; C. A. Jemolo, Il giansenismo in Italia prima della rivoluzione, Bari 1923, p. 203; L. Marini, P. Giannone e il giannonismo a Napoli nel '700, Bari 1950, pp. 98, 139; S. Bertelli, Erudizione e storia in L. A. Muratori, Napoli 1960, pp. 413 s.; G. Ricuperati, Le carte torinesi di Pietro Giannone, Torino 1962, pp. 26, 85.