BRUZIO, Giovanni Antonio
Nacque il 12 dic. 1614 da Francesco Bruzio (o Bruzzi) e da Elisabetta Mazzoni, a Sant'Angelo in Vado (Urbino). Nel 1638 ottenne la prebenda teologale del capitolo cattedrale istituita nel 1636. Ancora giovane s'interessò alla storia ecclesiastica sia antica sia contemporanea: ne è testimonianza un Discorso storico sulla erezione a diocesi delle due città di S. Angelo in Vado ed Urbania, composto probabilmente poco dopo l'unificazione di Sant'Angelo in Vado e Urbania in un'unica diocesi, avvenuta il 18 febbr. 1635 (V. Lanciarini, Tiferno Mataurense e provincia di Massa Trabaria, Roma 1890, fasc. 1, nota 2; fasc. II, p. 134).
Si potrebbero trovare tracce di questa prima attività religiosa e intellettuale nei fondi dell'Archivio comunale di Sant'Angelo come anche nell'Archivio comunale di Urbania. In quest'epoca Urbania era una città molto attiva e gli eruditi del sec. XVII vi potevano disporre di una ricca biblioteca affidata ai chierici minori del Crocifisso; solo nel 1667 Alessandro VII la fece trasportare a Roma per arricchire i fondi della Sapienza (E. Liburdi, Urbania. Biblioteca comunale, in Mazzatinti, XXXIV, pp. 125-157).
Il B. conservò la prebenda teologale fino all'8 luglio 1652, quando partì per Roma. Non perse tuttavia nella sua diocesi d'origine né gli amici né i corrispondenti, tra i quali il canonico Scipione Lauri (per la storia di questa diocesi nel sec. XVII, vedi E. Rossi, Mem. eccles. della diocesi di Urbania, Urbania 1936-38, I-II, passim). A Roma il B. prese possesso del rettorato della chiesa di S. Dorotea, a Porta Settimiana, i cui edifici poté restaurare grazie alla generosità di un benefattore (vedi l'appunto dello stesso B., Dello stato della chiesa parrocchiale di Santa Dorotea nel Vat. lat. 11894, ff. 68-86). Indubbiamente ebbe molto a cuore i suoi doveri pastorali, a giudicare dallo spirito di religiosità moralizzatrice che ispirò i suoi appunti di lavoro e che caratterizzò le sue ricerche erudite, che il B. continuò quasi fino alla morte, il 12 ott. 1692, ma con particolare intensità soprattutto durante i pontificati di Alessandro VII, Clemente IX e Clemente X.
In questa epoca fiorivano nella Roma pontificia i circoli eruditi, e la Biblioteca Vaticana costituiva un centro di prim'ordine, per cui fu agevole al B. stringere relazioni con molte personalità dotte, tra cui Joseph-Marie Suarez, proveniente dalla diocesi di Avignone, vescovo di Vaison sotto Urbano VIII, poi prefetto della Vaticana fino alla morte, avvenuta nel 1677. Nel 1663 il B. gli dedicò con espressioni di grande amicizia un trattato De iuribus Romanae Ecclesiae...(Bibl. Apost. Vat., Chigi III. 56, ms. di 149 ff.: altra redazione in Vat. lat. 11894, compiuta il 15 febbr. 1663). Fruendo delle risorse che offriva questa società, di una curiosità veramente alessandrina, ove la critica e persino l'ipercritica coesistevano ancora senza contrasti con la certezza religiosa in ecclesiastici dotti come il Bona, il Fabretti (venuto anch'egli da Urbino), l'astronomo ed archeologo Ciampini, il Pastrizio (la cui universale dottrina è attestata dalla corrispondenza nei fondi borgiani), il B. poté agevolmente acquisire quelle cognizioni, assai vaste e a volte approfondite benché sempre di seconda mano, sulla Roma antica e soprattutto medievale e moderna, centro ormai di ogni suo interesse, che sono alla base della compilazione alla quale egli deve la sua fama.
Le preferenze storiche e letterarie del B., la sua varia cultura, ancora troppo legata a schemi enciclopedici, sono individuabili nel rivelatore Discorso accademico (imperfetto), che si legge nel Vat. lat. 11894, ff. 68-86. Il Discorso fu quasi certamente composto per una delle accademie allora attive (A. Ilari, Le accademie romane dei concili ecumenici, in Rivista diocesana di Roma, III [1962], pp. 395-403), forse l'accademia della regina Cristina, con la quale era in relazione (a proposito di un Trattato dei magistri antichi e moderni che egli avrebbe pubblicato, ma di cui non abbiamo traccia, il B. dichiara: "Io che vivo sotto la di lei protezione, per essere nel distretto di questa mia cura, sono a parte di tutte le consolazioni di questa Real Maestà" [citato da L. Patervecchi, Sinossi biografica..., p. 18]). Sappiamo, da una delle raccolte di Adversaria de diversis auctoribus et argumentis (Vat. lat. 7806), che il B. faceva accurati appunti su argomenti assai diversi, compilando per esempio, a imitazione del Vasari, delle liste delle "pitture di diverse chiese di Roma, per alfabeto con i nomi de' pittori". Si interessò anche alle iscrizioni, per le quali cominciava allora a sorgere un interesse più vivo.
Il B. univa a tali interessi antiquari un notevole impegno pastorale, il che ovviamente lo stimolò a fornire una guida onesta, pratica ed erudita, utile al tempo stesso ai visitatori e ai pellegrini che Roma attraeva sempre in gran numero (per questo periodo vedi i dati raccolti da L. Schudt, Italien Reisen in 17. und 18. Jahrhundert, Wien-München 1959).Avrebbe così illustrato le glorie della Roma cristiana e dei suoi templi con metodo critico ma anche esplicitamente apologetico. Le circostanze che portarono il curato di S. Dorotea a scrivere sono state riassunte da un suo contemporaneo e vale la pena di citarne l'essenziale: "La causa e motivo che hebbe... Giov. Antonio Bruzio... di scrivere diffusamente i seguenti volumi sopra l'antichità, chiese, conventi, monasterij, conservatorij, collegi, hospitali, arciconfraternità, compagnie et altro di Roma, fu che la S. M. di Alessandro VII per insinuatione di mons. Luca Holstenio, canonico di S. Pietro e primo custode della libraria Vaticana, desiderava si facesse un ristretto dell'opere pie di Roma e si stampasse per darlo a forestieri che venivano a Roma..." (Vat. lat. 11891, ff. I-II, edito da C. Hülsen, Le chiese di Roma..., p. LI). Il B. lavorò venti anni per realizzare questa compilazione, cui diede il titolo di Theatrum Romanae Urbis o, in italiano, Il Teatro: dal 1655(elezione di papa Alessandro VII) al 1661(morte di Holstenio) al 1679, quando chiese ed ottenne dal maestro del Sacro Palazzo l'imprimatur per la terza redazione in latino (Vat. lat. 11891, f. 8v e passim). I numerosi rimaneggiamenti cui il B. sottopose il progetto iniziale, forse diventato meno attraente nella più chiusa Roma di papa Odescalchi, tanto ritardarono l'opera che il B. non poté trovare un editore. Lasciò i ventisette volumi in 4º che componevano l'opera in eredità a Matteo Egittij, procuratore del capitolo e dei canonici della Rotonda. Già in rapporti d'amicizia coi canonici, il B. personalmente aveva loro donato il volume XXIV attinente al Pantheon (Vat. lat. 11892).Tutta l'opera, tranne questo volume, fu acquistata nel 1709, per 100 scudi, dall'Archivio Segreto Vaticano per ordine di Clemente XI e, immediatamente integrata con il Pantheon illustratum consegnato dai canonici della Rotonda al papa il 9 nov. 1709, fu collocata nelle serie dei Miscellanea (Arm. VI, tt. I-XXVII), dalla quale fu trasferita ai fondi Vaticani latini della Vaticana quando ne era prefetto il Mercati (Hülsen, ibid., p. LI). La data di questo tardo trasferimento spiega perché questa compilazione non fu utilizzata maggiormente nel sec. XIX, epoca in cui la consultazione delle collezioni dell'Archivio vaticano era praticamente impossibile (V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edificij di Roma, Roma 1869, I, p. X, che non poté consultare il Theatrum).
L'insieme dell'opera del B., in italiano e in latino, è stato analizzato dettagliatamente dallo Hülsen e a lui si rinvia chi non voglia smarrirsi nell'intreccio delle varie redazioni. Il piano seguito è classico e comodo: per ogni chiesa o istituzione si procede a un rapido cenno storico, seguito dalle caratteristiche della Congregazione religiosa o Compagnia pia detentrice, dall'elenco della mobilia e degli oggetti d'arte, dall'enumerazione delle reliquie e in certi casi dalla registrazione delle iscrizioni. Il valore del Teatro è scarso per l'antichità, perché il B. opera sempre, come si è detto, di seconda mano e con scarso senso critico, tanto da giustificare il severo giudizio espresso su questo "prolixum tractatum" da G. B. De Rossi (Inscriptiones christianae Urbis Romae…, Romae 1861, p. XXIV). Esso è di scarso valore anche per il Medio Evo, a detta di specialisti come Hülsen e M. Armellini (Le chiese di Roma..., Roma 1942, pp. 854 ss.).Di contro, l'opera del B. costituisce ancora oggi una fonte importante e utilizzabile per la storia di Roma nei secoli XVI e XVII: privo di genio ma onesto, nonostante i pregiudizi del suo stato e del suo tempo, l'autore nelle sue descrizioni-inventario fornisce utilissime indicazioni sullo stato dei monumenti e le pratiche religiose.
La compilazione del B. è da porsi, insomma, allo stesso livello dell'Eusevologioromano di Carlo Bartolomeo Piazza: è una testimonianza dello spirito che animava il clero zelante e, entro certi limiti, erudito, della Roma della seconda metà del sec. XVII, quando, tra religiosità e critica storica, si manifesta un equilibrio relativo, fecondo per gli studi.
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti manoscritte precedentemente citate, vedi L. Patervecchi-G. Rinaldi-A. Dini, Sinossi biografica degli uominiillustri e distinti di Sant'Angelo in Vado, Roma 1902, pp. 17-18; C. Hülsen, Le chiese di Romanel Medio Evo. Catal. e appunti, Firenze 1927, pp. XLVII-LIII.