CASTAGNOLA, Giovanni Antonio
Discendente da una nobile famiglia ligure, di cui si trovano le prime memorie alla fine del XIV sec. in Sori, Genova e La Spezia, nacque a Napoli nella seconda metà del sec. XVII. Discepolo nello studio della giurisprudenza di Gennaro Cusano, dopo aver conseguito la laurea iniziò l'attività forense. Uditore di Gaetano Argento, sostenne cause di notevole importanza, ma ottenne la fama soprattutto con una "legazione" scritta in difesa del diritto alla successione di Filippo V contro Carlo d'Asburgo, pubblicata a Napoli nel 1704 col titolo: FilippoV Monarca legittimo delle Spagne, ovvero dimostrazione dei diritti del Cattolico e glorioso Monarca Filippo V per la successione della monarchia di Spagna, e di tutti i Regni e domini a quella uniti, divisa in tre parti.
Nella prima l'autore analizzava le leggi favorevoli a Filippo V e gli eventi storici nella seconda confutava l'argomentazione che la rinuncia della regina madre Teresa potesse costituire impeffimento, nella terza esaminava, per la legittimità della suddetta successione, itestamenti di Ferdinando il Cattolico, di Carlo V, di Filippo II, di Carlo II, di Filippo III e di Filippo IV, i quali due ultimi egli riteneva apertamente a favore della causa di Filippo V. Il C., nel dare alla stampa lo scritto, ne annunciava anche una seconda parte, che tuttavia rimase inedita.
L'opera, che si inserisce validamente nella pubblicistica napoletana contemporanca (Francesco D'Andrea, Serafino Biscardi, Amato Danio), fu tenuta in conto, per la sua crudizione, anche presso la corte di Vienna, a cui Napoli pochi anni dopo (7 luglio 1707) sarebbe stata soggetta, ed aprì al C. l'accesso alla magistratura ed al ceto dei professori (tra i suoi alunni, alcuni dei quali divennero poi suoi colleghi, furono Angelo Cavalcante e Domenico Mirra). Presso lo studio del C. trovò lavoro anche il Metastasio, quando, alla metà del 1719, dopo la morte dei Gravina, giunse a Napoli. Definito secondo una leggenda maligna "fiero nemico di poeti e di poesie", il C. gli avrebbe fatto promettere di non scrivere più versi. In realtà nella casa del C. si radunava già da allora un'accademia letteraria presieduta dall'avvocato Giannantonio Sergio. I componimenti che venivano letti erano per lo più poesie d'occasione (tra le quali va segnalata una raccolta, nel 1731, per la morte di G. Argento: cfr. Benedikt, p. 593); l'attività letteraria del circolo, satireggiata dall'abate Galiani nei Componimenti vari per la morte del carnefice di Napoli, non dovette essere quindi priva d'importanza, se si pensa che in casa del C. il Vico lesse, alcuni anni dopo, il suo sonetto alla Vergine.
Il 13 nov. 1700 il C. sposò Attilia Di Rinaldo, che morì il 31 maggio dei 1721. Poco dopo, il 15 sett. 1721, il C. sposò donna Giuseppa Gonzales, già vedova di Bernardo D'Apuzzo, che però si spense molto presto, il 25 febbr. 1722, all'età di soli ventisei anni. In breve il C. passò a terze nozze: l'8 giugno 1722 contrasse matrimonio con Elena Salone Caracciolo. vedova di Giovanni Sanità, patrizio della città di Sulmona.
La carriera del C. fu, agevolata, finché durò il dominio austriaco (8 maggio 1734) soprattutto dal viceré d'Harrach, che lo stimava tanto da inviarlo nel 1731 a Lecce con l'incarico di indagare sulla attività di contrabbando del principe di Francavilla. Consigliere del Sacro Consiglio (il tribunale supremo della giurisdizione ordinaria, che continuava a dirsi di S. Chiara, benché trasferito dal sec. XVI a Castelcapuano), nel 1730, alla morte del Pisacane, il C. sperava di ottenere la nomina a reggente del Collaterale, seguendo l'esempio di Gaetano Argento, eletto a tale carica senza essere mai stato giudice di Vicaria. Il suo desiderio rimase, però, irrealizzato. Promosso giudice della Vicaria, fece parte della Giunta speciale, nominata dal viceré per la riforma perequativa dei tributi e per una nuova numerazione dei fuochi, disposte con urgenza contro la riluttanza del Consiglio collaterale da Vienna il 22 dic. 1731. La Giunta, presieduta da Galiani della Sommaria e composta, oltre che dal C., dal luogotenente conte de Aguirre, dal Rocca, pari al C. per grado, e da tre fiscali (De Ferrante, De Sarno, Paziente), iniziò i lavori il 22 marzo 1732, dopo l'invio di rigorose istruzioni, ma non li portò a termine.
Divenuto consigliere regio il 14 apr. 1733, dopo qualche tempo il C. fu nominato presidente della Camera, ufficio che resse da solo, con onore. All'arrivo di Carlo di Borbone; in occasione della restaurazione del dominio spagnolo in Napoli, tra i ventidue ministri presenti il C. veniva giudicato; con i soli Magiocca, Vitale di Vitale, Crivelli, Porcinari, fornito della dottrina adeguata alla carica ed esente da ignoranza o corruzione. Fu, con l'Ulloa, il Santoro e pochi altri, tra "i ministri accolti con qualche distinzione", nel momento in cui la conferma delle cariche era ancora sospesa (Napoli, Bibl. della Soc. nap. di storia patria, ms. XXI, A. 7: Memoria al viceré Visconti).
Però, nell'Informazione fatta. al marchese dì Francavilla per farla presente a S. M. di tutti i Ministri che componevano i tribunali al di lui felice arrivo in questo Regno (Napoli, Bibl. della Soc. napol. di storia patria, ms. I, 3.50), redatta in ambienti a lui ostili, il C. era definito "dotto abbastanza, ma affatto incapace dell'esercizio del ministero, per essere anche nelle cose minime dubbioso"; veniva posta in dubbio anche la sua probità, al di là della fama di cui godeva, per la sua fedeltà "al suo Promotore nella carica di ministro, il segretario di guerra Peralta" e per la sua appartenenza al "partito tedesco". Nello stesso tempo venivano ricordate la sua "affettazione" ed alcune ornissioni commesse nell'esercizio del suo ufficio.
Ciò non impedì, tuttavia, che nella seduta della Real Camera di S. Chiara dell'11 ott. 1738 venisse proposta - e poi accolta - la sua nomina a governatore di Capua, al fine di accelerare l'iter del procedimento giudiziario contro il nobile don Silvio Azia, che aveva ferito il gioielliere Lorenzo Cipulli. Egli avrebbe dovuto rimettere in carcere l'Azia ed occuparsi dell'andamento delle altre cause.
Il 20 nov. 1739 entrò nel tribunale del Sacro Consiglio di S. Chiara, in sostituzione del Ventura, come addetto al commercio. Nel marzo 1740 fu prescelto come caporuota dello stesso tribunale, nel quale rimase per vent'anni. Il C. continuò a distinguersi non solo nell'attività ordinaria, testimoniata da numerose "legazioni", ma anche nell'opera prestata, dal 1742, in qualità di consigliere della Giunta dei giureconsulti, costituita per unificare la legislazione civile del Regno. Si trattava di un'opera ambiziosa, che avrebbe dovuto porre un argine alla crisi dell'amministrazione della giustizia, che la cura di B. Tanucci non aveva potuto impedire. L'attività dei componenti, presieduti inizialmente dal consigliere Cattaneo, ostacolata dall'inesperienza e dal conservatorismo del segretario perpetuo G. Pasquale Cirillo, lettore di diritto municipale dell'università, produsse, però, nel 1752, un corpus inadeguato alle esigenze dei tempi.
Il C. morì, in tarda età, a Napoli nel 1760.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Liber descendentiarum omnium regiorum consiliariorum alphabetico ordine (repertorio del volume intitolato Hic notantur omnia quae pro tempore lata fuerunt decreta causarum omnium generalium commissarum regiis consiliariis S.R.C. Neapolitani, a die vigesimo octavo ianuarii anni 1566), ad nomen;Ibid., Acta Origlia, pandette correnti, n. 1153, e f. 167,1, VI dei Matrimoni di S. Maria d'Ognibene ai Sette Dolori; G. B. Vico, Opere, VI, Milano 1836, p. 459 nota 2; G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, II, Napoli 1754, pp. 183 s.; V. Ariani, Comment. de claris iureconsultis, Napoli 1769, pp. 89, 115; L. Giustiniani, Mem. stor. degli scritt. legali del Regno di Napoli, I, Napoli 1787, pp. 226 s.; N. Cortese, I ricordi di un avvocato napoletano del '600: F. D'Andrea, Napoli 1923, p. 174; M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Napoli 1923, I, pp. 48, 55; II, p. 133; G. Natali, Il Settecento, Milano 1926, p. 126; H. Benedikt, Das Königreich Neapel unter Kaiser Karl VI., Wien-Leipzig 1927, pp. 131, 134, 456, 593, 640 ss.