GIOVANNI ANTONIO da Firenze
Nacque a Firenze nel 1657, figlio del senatore e giurista Giovanni Federighi e di Maria Maddalena Gerini; fu battezzato con i nomi di Carlo Francesco.
Avviato alla vita religiosa, nel 1673 entrò tra i novizi cappuccini del convento delle Celle di Cortona. Compì gli studi ad Arezzo, dove ottenne, a ventitré anni, la qualifica di predicatore, dimostrando sin dall'inizio del suo ministero la predilezione per uno stile generalmente meno ampolloso e retorico rispetto all'oratoria del tempo.
Chiamato a predicare a Napoli nel 1681, l'anno successivo ritornò in Toscana, spostandosi tra Pistoia (1682), Firenze (1682-83) e Lucca (1684-85), dove fu lettore e rappresentante nel capitolo. Decisiva, per l'impatto che ebbe sul suo modo di predicare, fu però la nomina a cappellano del contingente navale mediceo che, alleato dei Veneziani, prese parte alla campagna per la conquista della Morea.
Entusiasta dell'incarico, per il quale rinunciò a tutti gli impegni lucchesi, il 28 apr. 1686, prima della partenza per Pisa, indirizzò alle truppe toscane uno dei suoi discorsi più noti, L'idea di un combattente cattolico, nel quale invitava i comuni fedeli a sostenere i militari combattendo anche loro contro le forze del male e i soldati a confidare soprattutto nelle armi dello spirito, meritandosi così la vittoria per la fede. Partito con le galee il 7 maggio, dopo un viaggio segnato dal tempo cattivo il G. approdò nel Peloponneso in tempo per prendere parte, praticamente in prima linea, alla sanguinosa espugnazione di Nauplia, il 29 agosto.
Nel 1687 tornò in Toscana, spostandosi poi in Romagna per riprendere l'attività di predicatore; fu quindi a Cesena nel 1687 e a Rimini nel 1688. Nel 1689 divenne definitore e guardiano del convento fiorentino di Montughi, e in seguito ottenne il provincialato, nel 1698 e nel 1704.
Intanto, con il crescere della sua fama di oratore sacro, si allargò il giro delle località dove andava a predicare: Roma, Parma, Malta, Bergamo, Verona, Mantova, Torino e Venezia. Dopo un soggiorno alla corte di Vittorio Amedeo II di Savoia, il G. fu chiamato a Vienna da Leopoldo I d'Asburgo per predicarvi la quaresima del 1699. Nel 1709 e nel 1712 fu eletto procuratore generale. Vicario generale nel 1710, quando subentrò a Bernardino da Saluzzo, il 26 maggio 1719 ottenne finalmente anche la carica di generale dell'Ordine.
Il G. raggiunse il vertice dell'Ordine dei cappuccini grazie a una dispensa papale, perché le cariche che ricopriva avrebbero altrimenti impedito la sua elezione.
Il suo generalato fu condizionato da continui problemi di salute, che gli impedirono di allontanarsi da Roma per la prescritta visita alle varie province cappuccine, che egli non poté mai effettuare. Provò a supplirvi con una serie di lettere pastorali in cui raccomandava la meditazione, il ritiro, l'osservanza della regola, delle costituzioni e delle ordinazioni dei cappuccini (qualificando le prime, ispirato dai trascorsi militari, "muro fortissimo" e l'ultima "antemurale delle une e delle altre"). Il 21 sett. 1721 decise di dimettersi per malattia, cedendo il governo dell'Ordine al vicario Bernardino da Sant'Angelo fino al capitolo successivo.
Si deve comunque al G. l'ordine, inviato a ogni provincia cappuccina, di eleggere un archivista incaricato di conservare i documenti dei cappuccini e di tramandarne la storia.
Dopo le dimissioni si ritirò a Firenze, dove morì, il 27 sett. 1733, nel convento della Concezione.
Opere. Il G. ha lasciato sette volumi manoscritti di quaresimali, discorsi e lezioni bibliche, raccolti da Sisto da Pisa e custoditi nella Biblioteca provinciale dei cappuccini di Montughi, mentre sono stati pubblicati i suoi sermoni L'interprete del cuore di Lucca, Lucca 1684, Il giuramento di fedeltà a Cesena, Cesena 1687 e La causa di Gesù Cristo, Venezia 1725.
Discepolo, dal punto di vista oratorio, di padre Francesco Casini, il G. impostò le sue prediche, come lui, sul modello dei Padri della Chiesa: la massima morale era enunciata e suddivisa nelle parti principali, collegando queste a casi concreti della vita. Sebbene fosse dichiaratamente ostile agli eccessi retorici, la grande insistenza sul tema della paura della dannazione eterna a motivo dei peccati, la veemenza e l'uso di immagini e citazioni pittoresche, lo portarono a ricadere più di una volta in quei formalismi che pure condannava. Per questa ragione le sue orazioni, pur se interessanti anche al confronto con quelle dei contemporanei, appaiono ormai datate.
Fonti e Bibl.: Sisto da Pisa, Storia dei cappuccini toscani, I-II, Firenze 1906, ad ind.; R. Bizzarri da San Marcello, P. G.A. Federighi da Firenze oratore, in L'Italia francescana, II (1927), pp. 341-360; Memoriale dei frati minori cappuccini della Toscana, a cura di Felice da Porretta, Firenze 1932, pp. 75 s., 164, 676; Felice da Mareto, Tavole dei capitoli generali dell'Ordine dei frati minori cappuccini, Parma 1940, pp. 192 s.; Melchiorre da Pobladura, Historia generalis Ordinis fratrum minorum capuccinorum, Romae 1948, I, pp. 30 s., 122, 470; II, pp. 82, 85 s., 477, 481; G. Carlini, G.A. Federighi predicatore nella cappella imperiale di Vienna, in Fra noi, VIII (1991), pp. 148-165; Mariano d'Alatri, I cappuccini: storia d'una famiglia francescana, Roma 1994, pp. 65, 254; Lexicon capuccinum, Romae 1951, coll. 834 s.