GIOVANNI ANTONIO di Brescia
Incisore. Non si conoscono con precisione i limiti cronologici della sua vita. Firmò le sue stampe IO. ANT. BRIX., o IO. ANT. BR.: due di esse hanno la data: 1507; 1509. Fu confuso con Zoan Andrea da Brexa, xilografo. S'ispirò dapprima al Mantegna, del quale copiò varî esemplari: e a lui forse devono essere ascritte alcune delle molte stampe non firmate, riproducenti disegni mantegneschi. Tuttavia il problema di ciò che propriamente è da ritenersi suo ancora non è risolto. Studiò anche il Dürer, come dimostrano alcune copie di stampe sue; ma, a differenza degl'incisori del tempo, non dimostra di essere stato veramente influenzato da quella tecnica. Egli continuò a serbarsi fedele al Mantegna, ben lontano, tuttavia, dal comprenderne lo spirito; dal sistema esecutivo del maestro, energicamente lineare, deriva infatti una cifra, che applica senza tentarne il superamento attraverso l'ispirazione. Intorno al 1509-1510 pare che si recasse a Roma dall'Italia settentrionale, dove fino allora doveva aver dimorato. A Roma subì l'influsso di Marcantonio: la sua maniera, fino allora un po' antiquata, si fece moderna; aspirò a chiaroscurali effetti di morbidezza, vagheggiò ideali di spirito classicista: il tratteggio s'allargò nei contorni e divenne sottilissimo, abilmente graduato nelle ombre. Tuttavia, quando G. A. dimenticò l'origine lombarda per atteggiarsi a romano, le sue possibilità scoprirono ancor più i loro limiti. L'ammirazione per Marcantonio è provata dalla copia di molte stampe di lui e dall'evidente derivazione dal suo stile di molte altre: il Laocoonte, che riproduce il gruppo famoso prima del restauro, e le grandi stampe da Raffaello, sono fra le cose più incoerenti e impersonali di G. A.
Bibl.: P. Kristeller, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIV, Lipsia 1921 (con bibl. precedente); A. Calabi, in Boll. d'arte, n. s., VI (1926-27), pp. 62-64; VII (1927-28), pp. 422-24; M. Pittaluga, L'incisione italiana del Cinquecento, Milano 1930, pp. 93 e 124; B. Disertori, L'incisione italiana, Firenze 1931, p. 23.