MARZANO, Giovanni Antonio
– Nacque probabilmente nell’ultimo decennio del sec. XIV da Giacomo, duca di Sessa, conte di Squillace e grande ammiraglio, e da Caterina Sanseverino. Alla morte del padre, nel 1402, il M. fu posto sotto la tutela dello zio paterno Goffredo, conte d’Alife, che fortificò il castello di Sessa, la rocca di Mondragone e Teano, poiché temeva che Ladislao d’Angiò Durazzo, re di Napoli, si vendicasse per il sostegno dei Marzano a Luigi II d’Angiò, suo avversario. Ladislao preferì agire d’astuzia: fatti portare il M., la madre e le sorelle a Capua con uno stratagemma, li catturò, li rinchiuse nel Castelnuovo di Napoli e s’impossessò del ducato di Sessa. Il M. fu tenuto a lungo in prigione con la madre e le sorelle e furono infine scarcerati grazie all’intervento della sorella Margherita, divenuta amante di Ladislao. Il 1° genn. 1404 il re aveva autorizzato il M. a citare i suoi debitori presso qualsiasi tribunale. Secondo Della Marra, dopo la liberazione il re restituì al M. il ducato di Sessa, con i castelli e le fortezze, e permise alla madre di amministrare da sola la tutela; secondo Di Costanzo, Ladislao liberò il M. all’età di dodici anni, ma non gli restituì il ducato.
Alla morte di Ladislao (6 ag. 1414) la sorella Giovanna II divenne regina di Napoli e riconobbe al M. la carica di grande ammiraglio, che consentiva di sedere alla destra del re dopo il gran conestabile.
Il grande ammiraglio allestiva e comandava la flotta, provvedeva alla difesa delle coste, controllava la sicurezza dei mari, autorizzava la guerra di corsa, amministrava la giustizia penale e civile per tutto il personale delle navi regie e dell’arsenale, ma non svolgeva mansioni militari. La regina fece giurare al M. di non occupare o fare ribellare contro di lei nessuna terra, pena un’ammenda di 40.000 ducati. Il M. riuscì a guadagnarsi la fiducia di Giovanna II, che fece revocare la penale fissata in caso di ribellione. Nel 1416 la regina restituì al M. il ducato di Sessa (che comprendeva Teano, Calvi Vecchia, Marzano Appio, Roccamonfina, Conca di Campania, Tora, Sianello); la contea di Squillace e Sarriano, in Calabria; Novi Velia, Gioia, Baronia, Rocca d’Aspro, nel Principato citeriore. Inoltre, Giovanna II rinnovò le concessioni che Ladislao aveva fatto al padre del M. e allo zio Goffredo e successivamente il secondo marito della regina, Giacomo II di Borbone, conte di La Marche, al Marzano. Nel 1421 il M. acconsentì al matrimonio tra la sorella Maria, vedova di Nicola, conte di Celano, e Muzio Attendolo Sforza, capitano di ventura passato al servizio di Giovanna II. L’8 luglio 1421 la regina adottò Alfonso V d’Aragona come erede, mentre papa Martino V sosteneva Luigi III, duca d’Angiò. Nel 1422 Muzio Attendolo Sforza si recò a Sessa e convinse il M. a favorire Alfonso V. Il M. donò Alife, Rocca Mondragone, Sant’Angelo d’Alife e Raviscanina alla madre, per compensare le perdite economiche subite alla morte del marito, quando parecchi castelli che Caterina aveva ricevuto in dote erano stati venduti; il 21 ott. 1422 Giovanna ratificò questa donazione e nel 1423 confermò al M. la contea di Alife.
Nel gennaio 1423 il M. andò a Napoli per rendere omaggio a Giovanna II e trovò la città assediata dalle truppe di Alfonso V, ma non osò intervenire in difesa della regina. Il 1° luglio 1423 Giovanna II revocò l’adozione di Alfonso e designò suo erede Luigi III d’Angiò. Nel 1424 il M. preparò un attacco terrestre contro la guarnigione aragonese di Napoli, a sostegno di Giovanna e Luigi, insieme con Francesco Sforza, mentre i Genovesi dovevano supportare le truppe angioine dal mare.
Il M. sposò Covella, figlia di Carlo Ruffo, conte di Montalto e Corigliano, e di Ceccarella Sanseverino. Alla morte della sorella Polissena, nel 1419, Covella aveva ereditato un vasto patrimonio feudale e portò in dote al M. il principato di Rossano e la contea di Montalto. Secondo Di Costanzo, Covella era una «donna terribilissima, che per li costumi suoi ritrosi, poco dopo che fu sposata al Duca essendo gravida d’un figlio s’appartò dal marito, et visse sempre non solo lontana da lui, ma con animo di nocerli come nimica capitale» (p. 340). Covella esercitò una straordinaria influenza sulla cugina Giovanna II e la spronò a punire l’amante Gianni Caracciolo che aveva usurpato il potere della regina e l’aveva offesa e ingiuriata. Quando il 19 ag. 1432 il Caracciolo fu ucciso in una congiura, davanti al cadavere Covella ne ricordò l’arroganza e le umili origini. Dopo l’assassinio del Caracciolo, Covella divenne ancora più potente e influente e Alfonso V decise di intervenire su di lei perché sperava potesse convincere la regina Giovanna II ad adottarlo nuovamente.
Il 30 sett. 1432 Alfonso V mandò in segreto Gispert de Isfar e Arnau Sans dal M., che invitò il re a spostarsi nel Napoletano. Lasciata Messina, a dicembre Alfonso V sbarcò a Ischia, e Giovanna II, messa alle strette, si rivolse a papa Eugenio IV, che indirizzò una bolla ai baroni napoletani affinché difendessero la regina. Quando il M. espose nelle sue terre le bandiere di Alfonso V, la moglie Covella lo accusò e convinse il Consiglio supremo a spedire una guarnigione di soldati nel ducato di Sessa per impedire che il M. sostenesse il re d’Aragona. Dopo il ritorno a Messina di Alfonso V, Eugenio IV inviò il vescovo di Treviso dal M. per chiedergli di tornare a sostenere la regina. Il 4 apr. 1433 Giovanna II revocò l’adozione di Luigi e adottò nuovamente Alfonso. Firmata una tregua decennale con il re d’Aragona, la regina perdonò il Marzano.
Il 24 apr. 1434 Giovanna II approvò le disposizioni di Giovanna di Celano, che non avendo figli aveva nominato suo erede il M.; il 1° luglio donò alla cugina Covella e agli eredi i beni sequestrati a Guglielmo e a Francesco Del Balzo. Nello stesso anno Covella convinse Giovanna II a nominare Giovanni Cossa viceré della Calabria, per ridurre in suo potere il ducato.
Alla morte di Giovanna II (2 febbr. 1435) si aprì la lotta tra Alfonso V e Renato, duca d’Angiò, Provenza e Lorena, fratello del defunto Luigi III, designato alla successione da Giovanna II e proclamato re. Ma Renato non poté raggiungere Napoli, perché prigioniero a Digione di Filippo, duca di Borgogna. Il M. abbandonò il Consiglio di reggenza, si schierò con Alfonso V e ottenne la resa di Capua con l’aiuto di Giovanni di Caramanico, governatore delle fortezze. Il re confermò al M. la carica di grande ammiraglio, affidando le funzioni tecniche a esperti di origine catalana e lasciando al M. il titolo, gli emolumenti e i privilegi. Il M. e i suoi alleati mandarono a Messina Rinaldo d’Aquino per comunicare al re che avevano conquistato Capua, ma occorrevano rinforzi per evitare che la città cadesse nuovamente nelle mani degli Angioini. Alfonso V inviò Caraffello Carafa e Raimondo Boyl, governatore dei castelli di Napoli e Ischia, ad avvisare il M. e i conti di Fondi e Loreto che era in procinto di andare nel Regno di Napoli. Giunto presso la marina di Sessa, Caraffello fu accolto dal M., il quale gli riferì che i principali baroni, sdegnati per il testamento di Giovanna II, non volevano obbedire a Renato d’Angiò, ma ad Alfonso V. Riuniti a Sessa, i baroni misero a punto un piano e passarono subito all’attacco. Giunto a Ponza, Alfonso V inviò Caraffello al M., affinché si preparasse ad attaccare Gaeta. Il M. rispose che non poteva lasciare Capua, perché temeva un attacco di Giacomo Caldora, ma era disposto a incontrare il re. Poco dopo, il M. e i baroni affidarono la difesa di Capua a Francesco d’Aquino e si recarono a Sessa. Il 7 maggio 1435 Alfonso V arrivò a Scauri, nel litorale di Sessa, accolto dal M. con ogni onore. Dopo l’incontro, il re tornò a Ischia, il M. e gli altri baroni a Capua.
Su suggerimento del M. e di alcuni baroni napoletani e col parere contrario dei consiglieri aragonesi e catalani, Alfonso V decise di attaccare Gaeta, in mano ai Genovesi. Il M. partecipò alla battaglia navale con la sua galea e il 5 ag. 1435 fu fatto prigioniero dai Genovesi insieme con Alfonso V, presso l’isola di Ponza. I Genovesi portarono la flotta aragonese a Porto Venere.
Il 25 agosto il re, il M. e i prigionieri più importanti furono condotti nel castello di Savona, gli altri a Genova. Ai primi di settembre Filippo Maria Visconti, duca di Milano, ordinò di trasferire a Milano Alfonso V, il M. e i prigionieri di alto rango. Passati da Pavia, il 15 settembre i prigionieri giunsero a Milano.
La prigionia si trasformò in un soggiorno, perché il Visconti, affascinato dalla personalità di Alfonso V, accolse il re e i suoi uomini con ogni onore, raggiunse un compromesso per la spartizione della penisola italiana, del quale fu testimone anche il M., e decise di liberare i prigionieri. Il 5 ottobre Alfonso V comunicò che aveva concluso un accordo col duca di Milano e, dopo la stipula dei capitoli, mandò nel Regno di Napoli il M. e il principe di Taranto, per riprendere la guerra contro Renato d’Angiò. Frattanto Giacomo Caldora aveva saccheggiato e incendiato terre e castelli del M., aveva occupato il ducato di Sessa e si accingeva a espugnare anche la città di Sessa ma, quando gli abitanti sventolarono le bandiere del duca di Milano, il Caldora decise di desistere.
Renato d’Angiò inviò a Gaeta la moglie Isabella di Lorena e i suoi due figli, scortati dagli ambasciatori napoletani. Giunta a Napoli, il 27 nov. 1435 Isabella fu accolta come regina, ma poco dopo perse Gaeta, dove il 2 febbr. 1436 s’insediò Alfonso V. Il 17 febbraio Eugenio IV investì Renato d’Angiò re di Napoli e inviò in suo aiuto Giovanni Vitelleschi, patriarca d’Alessandria, con 3000 cavalli e 3000 fanti. A fine ottobre Alfonso V si recò a Sessa, dove concluse un accordo con Raimondo Orsini, conte di Nola, poi convocò il M. e gli altri baroni a Capua per organizzare la campagna militare. Tornato in libertà, dopo il pagamento di un grosso riscatto, Renato giunse a Napoli il 19 maggio 1438. Nel carnevale 1439 Renato organizzò una giostra alla quale partecipò anche il M. con cinque cavalieri. Nel 1440 Alfonso concesse al M. l’Onore di Monte Sant’Angelo, secondo le modalità con le quali l’aveva posseduto il duca di Durazzo.
Il 2 giugno 1442 i soldati di Alfonso V entrarono a Napoli e Renato, dopo una vana resistenza, s’imbarcò per Genova. Il M. partecipò all’assedio di Napoli, all’ingresso trionfale di Alfonso (22 febbr. 1443) e al Parlamento tenuto poco dopo; il 31 gennaio fu convocato al Parlamento di Benevento; tra il 28 febbraio e il 9 marzo prese parte al Parlamento generale tenuto a Napoli. Il 9 marzo appose la sua sottoscrizione nei capitoli placitati a Napoli da Alfonso V. Il legame tra il M. e Alfonso V era ormai talmente stretto che nel 1444 Eleonora, figlia naturale del re, sposò Marino, figlio del M., che ebbe in dote il principato di Rossano e gran parte della Calabria. Nel 1445 Covella morì e nel 1447 il M. sposò Maria Francesca Orsini, figlia di Giovanni conte di Manoppello.
Sebbene il M. accusasse Alfonso di non avere mantenuto le promesse fattegli prima della conquista di Napoli e di avere privilegiato gli aragonesi nelle assegnazioni delle cariche, il rapporto tra lui e il re rimase sempre buono. Invece, i vassalli del M. tentarono di ridurre il suo potere muovendogli spesso addebiti dai quali dovette difendersi.
Nel 1451 il re deferì Francesco Sanseverino, duca di Scalea e conte di Lauria, a un tribunale di pari del quale il M. faceva parte. Il 15 marzo 1452 con il figlio Marino assistette a Roma all’incoronazione imperiale di Federico III d’Asburgo da parte di papa Niccolò V. Federico III e la moglie Eleonora di Portogallo, nipote di Alfonso V, sostarono nel castello di Sessa, accolti con grande sfarzo. Ad aprile il M. si recò a Napoli per partecipare ai festeggiamenti organizzati in onore della coppia imperiale, che durarono dieci giorni.
Il M. morì tra il luglio e il dicembre del 1453 e fu sepolto a Sessa, nella chiesa di S. Francesco.
In base all’inchiesta di Giacomo Andrea Coco, maestro razionale di Napoli, gli eredi avrebbero dovuto pagare una tassa di successione di 426 onze, 25 tarì e 18 grani alla Sommaria. Oltre a Marino, unico figlio avuto da Covella, il M. ebbe un figlio naturale, Altobello, al quale aveva donato i castelli di Rocca Romana, Baia e Latino, il feudo di Castropignano a Carinola e il feudo di Casafreda a Teano.
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