SANTARELLI, Giovanni Antonio
– Nacque a Manoppello (Pescara) il 20 ottobre 1758 da Francesco, agricoltore, e da Maria Angela Casagena (Bindi, 1883, p. 258).
Dopo aver superato le resistenze della famiglia che voleva indirizzarlo al mestiere paterno, iniziò nel 1778 il suo apprendistato artistico presso Nicola Ranieri, un pittore di Guardiagrele, che lo introdusse alle norme del disegno e lo assistette nell’esecuzione dei primi gessi e sculture lignee. Dopo due anni, grazie alle cure del mecenate Francesco Saverio Blasioli, si trasferì a Chieti presso la bottega del cesellatore Clemente Castelli, e qui prese a incidere i primi ritratti in cammei e corniole (Blasioli, 1882, pp. 10-14; Bindi, 1883, pp. 258 s.).
Proprio su consiglio del maestro teatino, Santarelli decise di recarsi nel 1785 a Roma, dove operavano i più noti incisori italiani e stranieri del tempo, capeggiati da Giovanni Pichler, acclamato intagliatore di gemme, presso il cui studio il giovane venne meritoriamente accolto per un tirocinio formativo, dopo aver mostrato la propria abilità nell’incidere una pietra con un «ordigno» da lui stesso fabbricato (Tipaldo, 1837, p. 25). La produzione glittica degli anni romani riscontrò ampio successo sul mercato, ma è oggi di difficile individuazione e datazione, poiché i molti esemplari commissionati a Santarelli da Pichler vennero venduti dal maestro a proprio nome e, benché se ne distinguessero per un intaglio molto profondo, o molto alto, a seconda dell’oggetto lavorato, trattavano spesso gli stessi soggetti iconografici (Pirzio Biroli Stefanelli, 1984, p. 110).
Il lutto per la fine del matrimonio con la pittrice miniaturista Vincenzina Ghesman, sposata nel 1794 e morta tre anni dopo, e ancor più l’animata concorrenza romana nel campo della glittica, già in passato cagione della diaspora di molti incisori, indussero Santarelli a trasferirsi nel 1797 a Firenze, dove venne prontamente accolto come membro dell’Accademia di belle arti (Gallo Martucci, 1988, p. 23) ed ebbe l’occasione di rinnovare l’amichevole legame con il pittore François-Xavier Fabre, già conosciuto a Roma, e autore, nel 1812, di un suo celebre ritratto, oggi conservato alla Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti.
Introdotto da Fabre presso uno dei più illustri salotti dell’alta aristocrazia fiorentina, quello di Luisa Stolberg contessa d’Albany, Santarelli avviò l’ingente produzione di ritratti e copie dall’antico che ne consacrarono, anche Oltralpe, la fama di ceroplasta, medaglista e intagliatore. A documentare il suo corpus d’intagli e cammei, andati in gran parte dispersi e presumibilmente ancor oggi celati in raccolte private, restano le collezioni ottocentesche di impronte a opera di Tommaso Cades (Roma, Istituto archeologico germanico) e Pietro Paoletti (Roma, Museo di Roma a palazzo Braschi), una raccolta, quest’ultima, costituita da centinaia di matrici in vetro, usate per eseguire calchi in zolfo o gesso poi messi in commercio nel laboratorio di piazza di Spagna, e che, capillarmente catalogata (Pirzio Biroli Stefanelli, 2012), rappresenta uno strumento indispensabile per ricostruire l’attività di Santarelli.
Altro importante repertorio per indagare la rete di conoscenze e l’ambiente fiorentino in cui operò Santarelli è la raccolta delle sue cere – nel 1888 le Gallerie fiorentine ne acquistarono un nucleo di trecentottantacinque, oggi conservate al Museo nazionale del Bargello (Ritrattini in cera, 1981) –, monocrome o modellate con pigmenti colorati (in genere rosa o giallo) montate su sfondi di vetro, che oltre a servire da modello preliminare per l’intaglio o la fusione in metallo, costituivano di per sé un manufatto compiuto, presentato dall’artista come campionario di bottega a disposizione della clientela per l’ordinazione di repliche.
La galleria di volti da lui effigiati sin dal primo decennio dell’Ottocento è imponente. Ritrasse, tra i molti, Fabre e Vittorio Alfieri, procurando loro due corniole con l’incisione di uomini illustri del passato: Nicolas Poussin per Fabre, e per Alfieri il profilo di Dante Alighieri (Montpellier, Bibliothèque municipale), incastonato in un anello che il poeta era solito indossare quale sigillo e con il quale venne più volte ritratto da Fabre, oltre a un cammeo con Omero, ricordato nella sua autobiografia (Mannini, 2003).
A testimonianza dei rapporti proficui e cosmopoliti con letterati e colleghi incontrati in questi anni a Firenze sono le cere con i ritratti di Antonio Canova (1805; 1812-20), Ugo Foscolo (1806), Raffaello Morghen, che più volte s’ispirò per le proprie incisioni a modelli santarelliani, e Berthel Thorvaldsen (post 1813), con cui l’incisore mantenne anche rapporti di corrispondenza (lettere conservate al Museo Thorvaldsen di Copenaghen). Dall’epistolario di Canova resta invece traccia del rapporto confidenziale con Santarelli, più volte destinatario delle missive del grande scultore, e probabilmente suo ospite durante il soggiorno fiorentino del 1802, quando, proprio grazie all’amico incisore, Canova ebbe modo di conoscere Fabre, resosi poi fautore del monumento alfierano di S. Croce (Antonio Canova. Epistolario (1816-1817), a cura di H. Honour - P. Mariuz, Roma 2002, pp. 295 s., 319, 570).
L’ascesa di Santarelli venne tuttavia definitivamente sancita dalla preferenza accordatagli dalla famiglia Bonaparte, dopo la prova nel 1805 del ritratto a busti affrontati di Elisa Bonaparte e Felice Baciocchi, appena insediatisi come principi di Lucca e Piombino, da utilizzarsi per la medaglia destinata ai concorsi dell’Accademia lucchese, rinominata in quell’anno Accademia di Napoleone (M. Casarosa Guadagni, scheda n. 12, in Ritrattini in cera, 1981, p. 41). Ottenuto il plauso di Elisa, Santarelli venne investito di molteplici commissioni: cammei incastonati in anelli, spille, diademi e coperchi di piccole scatole che si prestavano ai reciproci scambi di doni in famiglia e che alimentarono una vera e propria moda nei cabinets delle dame della corte napoleonica e dell’alta società europea (cfr. il santarelliano diadema con cammei appartenuto a Georgiana Cecil, prima baronessa Cowley, 1809-10, Londra, Victoria & Albert Museum). Con il ritratto della piccola Napoleona Elisa, donato da Elisa al fratello Luciano, Santarelli si guadagnò la stima del futuro principe di Canino, recatosi nel 1808 a Firenze assieme alla moglie Alexandrine e ai figli per farsi ritrarre dal vero di mano dell’artista (Pirzio Biroli Stefanelli, 1995).
Del sodalizio con la corte napoleonica restano ritrattini di squisita fattura, nel formato di cere (Roma, Museo Napoleonico), cammei (Ajaccio, Musée de la Maison Bonaparte), monete e medaglie coniate dalle zecche di Roma e Milano, in occasione di eventi quali la nomina di Elisa a governatrice generale della Toscana con il titolo di granduchessa (1809) o l’ingresso ufficiale a Parma il 20 aprile 1816 della duchessa Maria Luigia d’Austria (Pirzio Biroli Stefanelli, 2009, pp. 243-253). L’elezione di Santarelli nell’entourage di artisti operanti al servizio di Elisa è esemplificata dal grande quadro dipinto da Pietro Benvenuti, Elisa Baciocchi fra gli artisti della sua corte (1813, Versailles, Musée de Versailles), in cui l’incisore figura nell’atto di mostrare un ritrattino della granduchessa, in cera o cammeo, probabilmente all’amico Raffaello Morghen.
Grazie all’interessamento del generale francese Jacques-François Menou, Santarelli ottenne nel 1808 la nomina a professore della Scuola di incisione di gemme e cammei istituita in quell’anno presso l’Accademia di belle arti di Firenze, e per il cui insegnamento si avvalse di banchi di glittica ancora oggi esistenti e che lui stesso contribuì a perfezionare (Il museo dell’Opificio delle pietre dure, a cura di A.M. Giusti - P. Mazzoni - A. Pampaloni Martelli, Firenze 1978, schede nn. 681, 682, 683, pp. 357 s.). Quale premio ufficiale per i concorsi maggiori triennali in Accademia, venne distribuita dal 1812 la sua medaglia con l’effigie di Michelangelo nel diritto, e nel rovescio l’antico emblema delle tre corone intrecciate, il cui conio era stato richiesto a Santarelli al tempo dalla reggenza di Maria Luisa di Borbone, ed eseguito sotto Elisa (1812): ne restano numerose cere preparatorie ed esemplari, coniati in varie leghe, che acquisirono carattere di ufficialità per decorare gli attestati dei diplomi accademici (Duchamp, 1988 e 1991).
Al secondo decennio risalgono ulteriori ritratti di personaggi in vista del mondo politico e culturale: Giuseppe Pelli Bencivenni (ante 1813), la cui effigie venne poi replicata a incisione sul frontespizio di un saggio intitolato Elogio a Teresa Pelli Fabbroni di Giovanni Rosini, letterato per il quale Santarelli incise anche una corniola con il ritratto di Erasmo da Rotterdam (1818), Klemens von Metternich (1817-19 circa), il re di Francia Luigi XVIII (1820), e il suo potente ministro Pierre-Louis-Jean-Casimire duca de Blacas d’Aulps (1820), assiduo collezionista d’arte, entrato in possesso, nel 1816, di una serie di cammei santarelliani, di grandi dimensioni, oggi dispersa, e raffigurante un’illustre rosa di uomini del passato (Michelangelo, Machiavelli, Galileo, Dante, Bocaccio e Petrarca; Duchamp, 2005).
In linea con i dettami del Neoclassicismo, Santarelli non mancò di coltivare lo studio dell’antico attraverso cere e cammei ispirati ai capolavori della glittica e della statuaria classica (tra le molte fonti riconosciute vi sono il cammeo con l’Ercole Strozzi, l’Apollo del Belvedere, l’Alessandro morente e l’Apollino degli Uffizi), mostrandosi al contempo aggiornato sulle recenti scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei, che si ritrovano citate, attraverso la mediazione delle tavole di Le pitture d’Ercolano (1760) e della Storia delle arti del disegno presso gli antichi di Johann Joachim Winckelmann (1764), in cammei raffiguranti Arianna abbandonata da Teseo (S. Pietroburgo, Ermitage), una Danzatrice (collezione Carafa Jacobini a Genzano di Roma) e Amorini che danzano (New York, Metropolitan Museum of art).
Nel corso della sua carriera Santarelli venne nominato socio di merito di molte istituzioni accademiche, tra cui l’Accademia Colombaria (1800), l’Accademia di scienze, lettere ed arti di Livorno (1808), l’Accademia di S. Luca a Roma (1816), l’Accademia di belle arti di Lucca (1819). Napoleone lo investì del cavalierato dell’Ordine della Riunione a titolo di gratitudine per il cammeo in cui l’aveva ritratto, e Luigi XVIII lo insignì della Légion d’honneur nel 1820 (Blasioli, 1882, p. 21).
Nel 1799 Santarelli si era risposato con Teresa Benini, da cui ebbe quattro figli: Agnese, Carolina, Carlo, e il famoso scultore Emilio (Firenze, 1801-1886).
Morì il 30 maggio 1826 nella sua residenza fiorentina, la cosiddetta palazzina Ricasoli di piazza Goldoni, e venne sepolto nella chiesa di S. Salvatore in Ognissanti (Blasioli, 1882, pp. 24 s.).
Fonti e Bibl.: E. Tipaldo, Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII e de’ contemporanei, compilata da letterati Italiani di ogni provincia, IV, Venezia 1837, pp. 24 s.; C. Blasioli, Ricordi biografici di G.A. S., Chieti 1882; V. Bindi, Artisti abruzzesi. Pittori, scultori, architetti, maestri di musica, fonditori, cesellatori, figuli, dagli antichi a’ moderni. Notizie e documenti, Napoli 1883, pp. 258-261; R. Aurini, Dizionario bibliografico della gente d’Abruzzo, V, Teramo 1973, pp. 76-82 (con bibl.); Ritrattini in cera d’epoca neoclassica. La collezione Santarelli e un’appendice sulle cere antiche del Museo Nazionale di Firenze (catal.), a cura di M. Casarosa Guadagni, con la collaborazione di E. Paribeni Rovai, Firenze 1981 (con bibl.); L. Pirzio Biroli Stefanelli, rec. di M. Casarosa Guadagni. Ritrattini in cera di epoca neoclassica, in Bollettino d’arte, s. 6, LXIX (1984), 26, pp. 110-114; A. Gallo Martucci, Conservatorio d’arti e mestieri. Terza classe dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze (1811-1850), Firenze 1988, pp. 23-25; M. Duchamp, G.A. S., modeleur de cires. L’histoire de deux camees retrouvés, in The Medal, XII (1988), pp. 11-16; Id., Du nouveau sur la médaille de Michel Ange par Santarelli, ibid., XVIII (1991), pp. 56-59; Id., L’impératrice Marie Louise telle que l’a gravée Santarelli, ibid., XX (1992), pp. 47-53; L. Pirzio Biroli Stefanelli, Luciano Bonaparte e la glittica, in Luciano Bonaparte, le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840), a cura di M. Natoli, Roma 1995, pp. 239-248; S. Grandesso, schede nn. I.13-17, in Vittorio Alfieri. Aristocratico ribelle (1749-1803) (catal., 2003-2004), a cura di R. Maggio Serra et al., Torino 2003, pp. 37 s.; L. Mannini, schede nn. 176, 190, in Il Poeta e il Tempo. La Biblioteca Laurenziana per Vittorio Alfieri (catal.), a cura di C. Domenici - P. Luciani - R. Turchi, Firenze 2003, pp. 302 s., 322 s.; M. Duchamp, Rencontre avec Casimir duc de Blacas, in The Medal, XLVI (2005), pp. 41-43; R. Gennaioli, Le gemme dei Medici al Museo degli Argenti. Cammei e intagli nelle collezioni di Palazzo Pitti, Firenze 2007, pp. 85 s., schede nn. 157, 628, 704, pp. 218, 412, 447; F. Vannel - G. Toderi, Medaglie italiane del Museo Nazionale del Bargello, IV, Firenze 2007, pp. 17, 21, 79, 84; L. Pirzio Biroli Stefanelli, G.A. S.: ritratti della famiglia Bonaparte nelle Collezioni Comunali (1983), e Addenda, in Studi di glittica, a cura di D. Del Bufalo - A. Giuliano - L. Pirzio Biroli Stefanelli, Roma 2009, pp. 243-253; A.R. Flaten, Medals and plaquettes in the Ulrich Middeldorf collection at the Indiana University Art Museum, 15th to 20th centuries, Bloomington 2012, schede nn. 140-141, pp. 91 s.; L. Pirzio Biroli Stefanelli, La collezione Paoletti. Stampi in vetro per impronte di intagli e cammei, II, Roma 2012, schede nn. 1-200, pp. 124-138.