SCARAMUCCIA, Giovanni
(Gian) Antonio
‒ Nacque intorno al 1570, forse a Montecolognola di Magione (Perugia), presunta località d’origine della famiglia. La data di nascita, fissata al 1580 circa a partire dalla biografia di Lione Pascoli (1732, p. 180), può essere anticipata almeno di un decennio grazie ai registri contabili della compagnia perugina di S. Domenico, dai quali si apprende che, nel 1585-86, l’esordiente artista (perlomeno quindicenne) venne ricompensato per un S. Sebastiano e un S. Domenico «di rilievo» da portarsi in processione, purtroppo perduti.
«In tal modo l’identità di generazione con artisti da sempre considerati suoi predecessori [...] accentua il carattere per così dire anomalo della sua arte, [...] in un ambiente persistentemente dominato dall’ascendente figurativo» di Federico Barocci (Mancini, 1981, p. 369), che nel duomo di Perugia aveva lasciato un capolavoro esemplare, la Deposizione del 1569: nelle opere di Giovanni Antonio, infatti, il baroccismo cede il passo a formule stilistiche di ascendenza romana, spiegabili con una formazione proseguita in ambito metropolitano e, significativamente, assenti dall’unico dipinto che sembra precedere tale soggiorno, la Madonna col Bambino e angeli del Museo capitolare di Perugia (una lunetta proveniente dalla sacrestia dell’oratorio di S. Francesco, già coronamento di una pala d’altare).
Stando ancora a Pascoli (1732, p. 180), il pittore umbro frequentò prima la scuola romana di Annibale Carracci, quindi quella di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, al cui seguito è documentato nel 1603, mentre il maestro era impegnato nella Resurrezione per la chiesa di S. Giacomo in Augusta (o degli Incurabili), e nel 1606, dopo il trasferimento a Loreto, dove Roncalli lavorava agli affreschi della sala del Tesoro (o sagrestia nuova) nella basilica della S. Casa (1605-09): se nessuna tra le opere note di Scaramuccia può essere riferita a quel primo soggiorno romano (la Giuditta della Galleria Pallavicini-Rospigliosi dovrebbe infatti risalire a un momento successivo), viceversa il periodo lauretano è testimoniato dalla bella pala della cattedrale di S. Flaviano a Recanati (firmata e datata 1610) – «tra le più appassionate prove roncalliane del giovane Giovanni Antonio» (Barroero et al., 1980, pp. 94 s.) – e dalla tela, anch’essa firmata, eseguita per la chiesa di S. Francesco a Pergola con il Riposo nella fuga in Egitto (1606-10). È molto probabile che gli spostamenti del pittore venissero facilitati dall’influenza del cardinale Antonio Maria Gallo, vescovo di Perugia (1586-91) e poi di Osimo (sua città natale), quindi protettore della S. Casa, il cui palazzo marchigiano sarebbe stato affrescato da Pomarancio a conclusione dell’impresa lauretana.
Un primo rientro di Scaramuccia a Perugia, da collocarsi entro il 1608-09, coincise con il suo coinvolgimento nella trasformazione della cappella di S. Onofrio (o Vagnucci) nella cattedrale di S. Lorenzo (quella che ospitò l’omonimo capolavoro di Luca Signorelli), riconsacrata a S. Stefano per volere del canonico Salvuccio Salvucci, protonotario apostolico e vicario generale del presule perugino, e inaugurata il 26 dicembre 1609.
Nella circostanza il pittore poté aggiornare, sul naturalismo di matrice caravaggesca, la sua iniziale formazione tardomanierista, poiché la tela con il Martirio di s. Stefano, commissionata per la nuova mostra marmorea e tuttora in loco, venne fornita dal romano Giovanni Baglione, ex seguace e biografo di Caravaggio. Diversamente sono andati perduti i due «quadri a fresco» con Storie del Protomartire che Giovanni Antonio eseguì nella testata della cappella, ai lati dell’altare: definiti «le più belle [pitture] che habbi fatte» (Morelli, 1683, p. 40), erano praticamente illeggibili già sul finire del Settecento.
Agli eventi calamitosi che flagellarono Perugia tra il 1609 e il 1613 (Bonazzi, 1879, p. 272) va riferita una piccola tela proveniente dalla chiesa di S. Domenico e ora conservata nella Galleria nazionale dell’Umbria (Madonna col Bambino tra s. Domenico e la beata Colomba da Rieti), che affidava l’invocazione degli abitanti («Parce Domine, parce populo tuo») al cartiglio sorretto da un angelo in volo sopra un meticoloso panorama della città, vista da Monteluce: l’opera, ispirata all’iconografia quattrocentesca dei gonfaloni umbri (tra cui quello della Beata Colomba in S. Domenico), nasceva come «efficace combinazione di un’idea compositiva di Annibale Carracci, quale appare nella Madonna in gloria sopra la città di Bologna [...], con un impianto alla Cristoforo Roncalli» e non senza «la persistenza di ricordi barocceschi» (Mancini, 1981, p. 372).
Negli stessi anni e, forse, nel medesimo clima, Scaramuccia otteneva uno degli incarichi più prestigiosi della sua carriera: la Madonna col Bambino tra i ss. patroni Lorenzo, Costanzo ed Ercolano e i ss. protettori Domenico, Agostino e Francesco, questi ultimi titolari delle tre principali confraternite della città. Commissionata dai Decemviri nel 1610 (bozzetto in collezione privata) per la cappella del Comune nella basilica di S. Maria degli Angeli (Assisi) e realizzata con la partecipazione finanziaria delle tre compagnie, l’opera venne terminata solo nel 1616 (data che si legge sul dipinto), per essere poi trasferita «in pompa magna» nella chiesa perugina del Gesù (novembre 1617): qui rimase fino al 1650, quando, accantonato il progetto originario, andò a occupare la parete di controfacciata della cattedrale, dove tuttora si lascia ammirare nella sua splendida cornice.
La pala segna un momento di svolta nel percorso dell’artista, accogliendo motivi formali ormai lontani dal gusto manierista e piuttosto orientati verso modelli carracceschi, reniani e lanfranchiani, nonché in direzione del luminismo e del realismo caravaggeschi, questi ultimi mediati da «personaggi di varia collocazione come [Ippolito] Borghesi [...] e il Baglione, due specialisti del gioco su due tavoli (della maniera e della natura)» (Toscano, 1989, p. 24).
Tra la tela della Galleria e l’avvio della pala dei Decemviri può essere collocato un gruppo fondamentalmente omogeneo di quattro opere: la Madonna del Rosario a Pieve di Compresseto (Gualdo Tadino), la grande Sacra Conversazione nel convento dei Cappuccini di Montemalbe (Perugia), l’Immacolata Concezione dal monastero di S. Lucia a Perugia (oggi nel Museo capitolare cittadino) e il S. Carlo Borromeo dal monastero di S. Giuliana (ora nei depositi della Galleria).
Il progetto della cappella del Comune, dovuto all’architetto perugino Valentino Martelli, facilitò la decisione della Compagnia di S. Francesco di affidare a Gian Antonio – sotto la supervisione, tra gli altri, dello stesso Martelli – un ciclo di otto tele, destinate alle pareti dell’omonimo oratorio, con i fatti della vita di Cristo, dall’Annunciazione alla Resurrezione.
Eseguite tra il 1611 e il 1624, ben oltre il termine contrattuale (1617), comportarono un grave dissidio tra le parti, sfociato in una vertenza conclusasi sostanzialmente a favore dell’artista (con un compenso aggiuntivo di 200 scudi), costretto però a dipingere ex novo il quadro della Resurrezione (1627-28) e a vedersi espunto dal ruolo dei confratelli (1628). Nelle otto storie, per giunta, l’equilibrio maturato con la pala del duomo «non soccorse fino in fondo lo Scaramuccia», quasi a voler «celare nelle foschie di una tavolozza fortemente ribassatta un che di ambiguo e di irrisolto» (Toscano, 1989, p. 24).
Nonostante tutto, le tre maggiori compagnie della città presto rinnovarono la propria fiducia al pittore, commissionandogli uno stendardo processionale oggi conservato nella sacrestia dell’oratorio di S. Agostino (1625-27): si tratta di un’«edizione ridotta» della grande tela del duomo (Madonna col Bambino tra i ss. Francesco, Agostino e Domenico), benché sostenuta «dall’ormai consolidata sensibilità ai valori costruttivi della luce [...] oltreché, naturalmente, dalla chiara e sintetica capacità di definizione delle forme» (Mancini, 1981, p. 400).
Appartengono alla tarda attività del pittore, talvolta basata sulla stanca riproposizione di cose già viste, una Sacra Conversazione nell’ex chiesa di S. Francesco a Corciano (riferita a Scaramuccia da due visite pastorali del 1765 e 1819), la pala d’altare della chiesa perugina di S. Luca, datata 1632 da un’iscrizione dedicatoria, e due tele conservate nelle chiese di S. Teresa degli Scalzi e S. Giuseppe dei Falegnami o S. Croce (la seconda proveniente dalla chiesa di S. Claudio del Collegio di Pietra e Legname, al quale il pittore era iscritto dal 1614).
Molte opere documentate dalle fonti sono andate perdute, mentre discusse rimangono alcune attribuzioni: un Padre Eterno in gloria nel timpano dell’altare dell’oratorio di S. Agostino (Orsini, 1784, p. 150), una Madonna col Bambino e quattro santi in S. Benedetto (Casale et al., 1976, p. 77), la pala d’altare e gli affreschi della cappella di S. Agata nella chiesa del Crocifisso a Trevi (Caretta - Metelli, 2000, p. 227), e, in ambito marchigiano, la tela con S. Nicola da Tolentino che intercede per le anime del Purgatorio nella chiesa di S. Agostino a Pesaro (Pulini, 2003, p. 14), tradizionalmente riferita a Pomarancio, e quella con L’elemosina di s. Tommaso da Villanova nel duomo di Pergola (Montevecchi, 1999, p. 200). Quanto al frontespizio miniato del 1606 nell’Archivio capitolare di Perugia, si tratta di un’opera ormai assegnata all’umbro Matteuccio Salvucci.
Giovanni Antonio, residente nel rione di Porta S. Susanna (parrocchia di S. Stefano), sposato a Dianora e padre di sette figli, morì a Perugia il 15 marzo 1633, venendo sepolto in S. Francesco al Prato. Furono suoi allievi il figlio Luigi Pellegrino e i pittori perugini Giovan Domenico Cerrini e Paolo Gismondi, in seguito tutti approdati sulla scena romana, i primi due nella scia del bolognese Guido Reni, il terzo nell’orbita di Pietro Berrettini da Cortona.
Fonti e Bibl.: F. Scannelli, Il microcosmo della pittura..., Cesena 1657, p. 370; L.P. Scaramuccia, Le finezze de’ pennelli italiani..., Pavia 1674, pp. 82-84; G. Morelli, Brevi notizie delle pitture e sculture che adornano l’augusta città di Perugia..., Perugia 1683, ad ind.; P.A. Orlandi, L’abecedario pittorico..., Bologna 1704, p. 205; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni..., I, Roma 1730, pp. 52 s., 87 s.; Id., Vite de’ pittori, scultori ed architetti perugini..., Roma 1732, pp. 180-184; B. Orsini, Guida al forestiere per l’augusta città di Perugia..., Perugia 1784, ad ind.; L. Lanzi, La storia pittorica della Italia inferiore..., Firenze 1792, pp. 301 s.; S. Siepi, Descrizione topologico-istorica della città di Perugia..., I-II, Perugia 1822, ad ind.; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860 (1879), a cura di G. Innamorati, II, Città di Castello 1960, pp. 313, 357, 367; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIX, Lipsia 1935, pp. 530 s.; V. 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