SOGLIANI, Giovanni Antonio
‒ Nacque a Firenze nel quartiere di Santo Spirito, popolo di S. Felice in Piazza, il 16 settembre 1492 e fu battezzato lo stesso giorno in S. Giovanni (Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze, Battezzati in S. Giovanni, 6, c. 8v), figlio del fabbricante di cinghie Francesco di Paolo di Taddeo (Firenze, 1448-1529) e della moglie Maddalena (morta nel 1534).
L’anno di nascita era noto sulla base della notizia riportata da Giorgio Vasari, secondo cui al momento della scomparsa nel 1544 Sogliani aveva cinquantadue anni, ma non era stata rintracciata la registrazione del battesimo.
Per individuarlo occorre trarre spunto dall’albero genealogico dei Sogliani allegato da Gaetano Milanesi alle Vite vasariane, dal quale si apprende che il ramo familiare del pittore era imparentato con quello dell’orafo Paolo di Giovanni di Andrea Sogliani (cfr. Vasari 1568, 1880, V, p. 133, e D. Liscia Bemporad, L’oreficeria a Firenze nella prima metà del Cinquecento: Paolo di Giovanni Sogliani, in Studi di storia dell’arte sul Medioevo e il Rinascimento nel centenario della nascita di Mario Salmi. Atti del Convegno..., Arezzo-Firenze... 1989, II, Firenze 1992, pp. 787-795). Ma mentre le tracce dell’orafo e dei suoi congiunti sono facili da seguire, poiché nei documenti essi sono sempre citati con il cognome, ciò non accade per il pittore e i suoi familiari. Lo si riscontra appunto nei Battezzati in S. Giovanni, dove il padre, i fratelli e le sorelle di Giovanni Antonio sono annotati soltanto con il patronimico e si confondono in parte con i figli di un Francesco di Paolo fornaio. Sogliani fu battezzato con il nome di Antonio e Romolo, ma fu chiamato Giovanni Antonio in seguito alla morte di un fratello di nome Giovanni.
Sul finire del Quattrocento la famiglia cambiò spesso abitazione, e tra il 1486 e il 1493 risedette nel popolo di S. Felice, dove era nato anche Lorenzo di Credi (il 22 dicembre 1465), nella cui bottega avvenne la prima formazione artistica di Giovanni Antonio. La scelta del maestro fu certo dovuta alla conoscenza tra le loro famiglie, e Sogliani risulta già garzone del Credi nel 1501 (Padoa Rizzo, 1987, p. 457). Nel 1502 è documentato tra i novizi della Confraternita fiorentina di S. Maria della Pietà, detta Buca di S. Girolamo (Sebregondi, 1991, p. 190). Stando a Vasari, Giovanni Antonio rimase a fianco di Lorenzo per ventiquattro anni; tuttavia nel 1515 era immatricolato in autonomia all’Arte dei medici e degli speziali e titolare di bottega propria dietro la cattedrale di S. Maria del Fiore. Tra i due vi fu un legame di amicizia che si protrasse fino alla morte del maestro (1531), il quale lo nominò tra i propri esecutori testamentari. Sogliani mantenne la bottega presso la cattedrale fino al 1541, quando la cedette al proprio allievo Zanobi Poggini (Archivio di Stato di Firenze, Decima granducale, 3784, c. 114r; Colnaghi, 1928, p. 251; Nesi, 2015, pp. 489 s.).
Le prime opere note di Giovanni Antonio sono in tutto prossime al repertorio del Credi, giungendo fino alla completa immedesimazione stilistica in dipinti come l’Adorazione dei pastori già nelle Gallerie di Kassel e oggi perduta. Quest’opera, che Vasari ricorda eseguita per la chiesa fiorentina di S. Salvatore al Monte, replicava un quadro dello stesso soggetto dipinto da Lorenzo per il seguace del Savonarola Jacopo Bongianni (Firenze, Galleria degli Uffizi). Il contatto con la spiritualità savonaroliana, avvenuto tramite il maestro, portò Sogliani ad avvicinarsi all’ambiente della Scuola di San Marco creata da fra Bartolomeo e Mariotto Albertinelli. Di quest’ultimo Sogliani rilevò nel 1515 per qualche tempo la bottega in via Valfonda a Firenze, e negli stessi anni lavorò nel vicino convento delle domenicane di S. Giuliano (affreschi con i Ss. Brigida, Giovanni Battista e Giuliano e i Ss. Sebastiano e Rocco), per il quale Albertinelli aveva realizzato alcune opere. Gli effetti dell’accostamento stilistico e ideologico alla Scuola di San Marco si manifestano dall’Annunciazione (1517 circa) oggi conservata su un altare laterale della chiesa di S. Maria degli Innocenti a Firenze, ma quasi certamente proveniente dal monastero di S. Brigida del Paradiso in Pian di Ripoli, e nella quale Sogliani inserì la frase «ORATE PRO PICTORE» come facevano il Frate e l’Albertinelli. Il passaggio dal retaggio crediano a quello della Scuola di San Marco si nota mettendo a confronto ad esempio l’Adorazione del Bambino della Galleria regionale della Sicilia di Palermo col più maturo quadro dello stesso soggetto nell’Alana Collection di Newark (Nesi, 2011), o la giovanile Madonna col Bambino passata presso Christie’s a New York il 30 gennaio 2013 (lotto n. 125) con più tarde versioni del tema nel Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto a Firenze o nel palazzo reale di Copenaghen, scampoli di una vastissima produzione soglianesca di non facile censimento perché in gran parte di collezione privata e circolata più volte sul mercato. Ma il mutamento stilistico si nota soprattutto nel ciclo di affreschi del refettorio di S. Maria di Candeli a Firenze (oggi caserma Vittorio Tassi), datato 1514 e composto da sette lunette con Annunciazione, Ultima Cena, Santi agostiniani (Agostino, Monica, Nicola da Tolentino e Tommaso da Villanova) e S. Antonio di Padova. Degli stessi anni è l’Adorazione dei Magi nella chiesa di S. Domenico a Fiesole, iniziata verso il 1515, ma lasciata incompiuta, e terminata verso la metà del secolo da Santi di Tito.
La vicinanza alla Scuola di San Marco comportò anche l’accettazione di prototipi figurativi a essa peculiari, come emerge, per esempio, dai dipinti con Angeli adoranti, in origine ante di un tabernacolo o di un altare e oggi suddivisi tra l’Alana Collection di Newark e la Yale University Art Collection di New Haven, e da quelli identici che accentrano un’Effusio sanguinis in un trittico di collezione privata (Nesi, 2016, p. 11). Derivanti da un disegno di fra Bartolomeo (Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen), considerato preparatorio per la sua Visione di s. Bernardo agli Uffizi (1504-06), furono riproposti anche da fra Paolino e da altri appartenenti alla scuola.
Per la formazione artistica di Giovanni Antonio fu decisivo anche l’influsso di Leonardo, riscontrabile nelle prime pale d’altare e in quadri da devozione privata come il S. Giovanni Battista del Museo Mandralisca di Cefalù (Palermo), nel quale sono evidenti la citazione dal dipinto leonardesco dello stesso soggetto oggi al Louvre, da cui deriva anche l’uso del chiaroscuro e dello sfumato.
L’avvicinamento a Leonardo si spiega con il profondo influsso che questi ebbe sulla pittura fiorentina d’inizio Cinquecento e con la formazione presso Credi, che del vinciano era stato compagno e collaboratore presso Andrea del Verrocchio. Dominati dallo sfumato leonardesco sono altri dipinti giovanili di Sogliani, come il S. Martino vescovo dipinto per il pilastro dell’Arte dei vinattieri nella chiesa di Orsanmichele e il S. Biagio in trono del Museo della Collegiata di Empoli (Firenze). Tra le opere del primo periodo Vasari ricorda inoltre l’affresco col Crocifisso e i dolenti eseguito sulla cantonata del palazzo Taddei in via Ginori a Firenze, improntato a un pathos raro nella compassata pittura soglianesca. Un altro esempio di forte patetismo si ha comunque nel dipinto su embrice con il Cristo coronato di spine già nel convento domenicano fiorentino della Crocetta e oggi nel Museo di San Marco (Bencistà, 1996, pp. 248-251).
Altri affreschi avvicinabili a Giovanni Antonio sono i due santi martiri e il S. Giuseppe della collegiata di Empoli, e quelli che decorano un grande tabernacolo nella chiesa di S. Maria in Selva a Borgo a Buggiano (Pistoia), con la Madonna col Bambino e santi, il Padreterno e gli Evangelisti (Nesi, 2007). Perduti sono invece quelli con i Ss. Girolamo penitente e Giovanni ricordati da Vasari nella chiesa fiorentina di S. Jacopo Soprarno ai lati della grande pala con la Trinità e i ss. Jacopo, Maria Maddalena e Caterina d’Alessandria, che è oggi conservata nel Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto. Opera di vasto impegno, la tavola è databile circa al 1524, anno in cui Dianora degli Albizi fondò la cappella in cui era conservata in origine (Waldman, 2008, pp. 69 s.). Le si possono avvicinare alcune Madonne di collezioni private, ad esempio diverse tra quelle riprodotte nel lavoro di Christian von Holst (1971, pp. 32 s.), e lo stendardo della Confraternita fiorentina di S. Niccolò del Ceppo, databile tra il 1517 e il 1521 (Sebregondi Fiorentini, 1985, pp. 49-51) e raffigurante su un lato la Visitazione e sull’altro S. Nicola di Bari e due fanciulli membri del sodalizio, quest’ultimo preceduto da disegni preparatori nella Christ Church di Oxford e negli Uffizi (Pace, 1973, p. 66).
Con il Martirio di s. Acasio (1521) oggi in S. Lorenzo a Firenze, ma eseguito su richiesta di Alfonsina de’ Medici per la cappella della Confraternita dei Diecimila martiri nella chiesa fiorentina di S. Salvatore in Camaldoli, inizia a manifestarsi il profondo interesse per la pittura di Andrea del Sarto, che condusse Giovanni Antonio a una decisiva svolta stilistica, evidente già dalla successiva pala con S. Brigida che impone la regola. Questa, oggi nel Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto, fu dipinta per il convento del Paradiso in Pian di Ripoli, e vi ritroviamo la dicitura «ORATE PRO PICTORE», accompagnata dalla data 1522. Altri frutti della svolta sono la Madonna della cintola coi ss. Tommaso, Giovanni Battista, Miniato, Francesco e Jacopo, datata 1521, per la chiesa di S. Giuseppe alla Porta a Pinti (Bencistà, 1996, pp. 256 s.), e la Madonna col Bambino, l’arcangelo Raffaele con Tobiolo e s. Agostino, documentata al 1520-22, per la Confraternita fiorentina del Raffa (Venturini, 2000), oggi entrambe nel Museo di San Marco. Per la seconda si conoscono anche i disegni preparatori, tra cui quello d’insieme, di ubicazione ignota (Pace, 1973; Bencistà, 1996, pp. 230-233). Allo stesso periodo sono riconducibili anche il raffinato Arcangelo Raffaele e Tobiolo del Musée des beaux-arts di Nancy e la Madonna col Bambino e i ss. Donato vescovo e Antonio abate dipinta per la chiesa di S. Donato in Greti a Vinci (Firenze; Benassai, 2003; Nesi, 2013). Da questo momento la pittura di Giovanni Antonio tende a farsi più schematica e algida, guadagnando in nitidezza nella costruzione delle figure mediante un uso attenuato dello sfumato leonardesco. Così i panneggi divengono più definiti e complessi, organizzati in ampie pieghe spezzate e geometriche, e i colori si orientano verso una gamma di acceso timbro manieristico.
Ne sono esempi eloquenti soprattutto le opere databili nel corso degli anni Trenta, come le sfavillanti tavole con i Sacrifici (di Noè, di Caino e di Abele) per l’abside del duomo di Pisa, la Disputa sull’Immacolata Concezione, oggi nella Galleria dell’Accademia di Firenze ma concepita per la cappella Serristori in S. Salvatore al Monte a Firenze (Appuhn-Radtke 1992), e la splendida S. Caterina d’Alessandria «Virgo Sapiens» della Pinacoteca di Brera a Milano, firmata, e preceduta da un disegno conservato nella Biblioteca reale di Torino.
Il decennio si era aperto per Sogliani con la commissione delle grandi tavole con il Cenacolo (ispirato al prototipo di Andrea del Sarto nel monastero di S. Salvi a Firenze) e la Lavanda dei piedi, destinate all’oratorio della Confraternita dei Neri di Anghiari (Arezzo) e oggi nella collegiata di S. Bartolomeo. Fu il periodo di maggior gloria per il pittore, che nel 1531 venne chiamato a Pisa per eseguire i dipinti della tribuna in cattedrale. Inizialmente gli furono allogati tutti, ma a causa della sua eccessiva lentezza nel lavoro, evidenziata anche da Vasari, terminò solo i tre quadri citati con i Sacrifici, e il resto dell’impresa passò a Domenico Beccafumi, a Niccolò Pisano e al Sodoma. Narra lo storiografo aretino (e i documenti lo confermano) che la calma metodica di Giovanni Antonio nel dipingere portava spesso i committenti a perdere la pazienza e a togliergli i lavori. Nel caso della Disputa sull’Immacolata per Giovanni Serristori accadde invece che durante la lunga elaborazione il committente morì e il quadro fu portato a termine per il suo genero ed erede Alamanno Salviati, che lo destinò alla chiesa di S. Luca anziché a S. Salvatore al Monte come previsto (Waldman, 2008, pp. 76-78). Insieme ai quadri della tribuna, Sogliani ricevette dagli operai della cattedrale di Pisa la commissione delle pale destinate agli altari laterali, ma sempre a causa della sua lentezza riuscì ad eseguirne soltanto quattro prima che gli subentrasse lo stesso Vasari. Oggi resta in loco soltanto la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista, Pietro, Paolo, Maria Maddalena, Francesco, Giorgio, Margherita, Barbara e due angeli, mentre di un’altra pala si conservano i frammenti con la Madonna col Bambino, i Ss. Andrea, Nicola di Bari e Antonio abate e due Angeli, ripartiti tra l’interno della cattedrale stessa (Madonna) e il Museo nazionale pisano di San Matteo (gli altri). Le altre due sono perdute. A Pisa Sogliani godé di notevole stima e fu chiamato anche a completare una importante Sacra Conversazione lasciata interrotta da Andrea del Sarto alla morte (1530), e destinata alla Confraternita di S. Francesco presso l’omonima chiesa, ma dall’Ottocento conservata proprio in cattedrale.
Datato 1536 è il grande affresco con la Provvidenza di s. Domenico, la Crocifissione e santi, alla testata del Refettorio Grande del convento di S. Marco a Firenze, con il quale Giovanni Antonio rinnovò il rapporto con l’ambiente savonaroliano. La richiesta gli procurò comunque qualche dissapore con i frati domenicani, poiché l’artista inizialmente aveva progettato una Moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma i disegni approntati per questo tema risultarono troppo caotici e affollati di personaggi a detta dei committenti, che preferivano «cose ordinate e semplici» (Vasari, 1568, 1880, V, pp. 129 s.; Muzzi, 1992), e dunque dovette mutare soggetto. Nello stesso decennio fu attivo anche per conventi francescani, eseguendo opere in S. Maria a Ripa a Empoli (Immacolata Concezione, 1530 circa) e in S. Girolamo sulla Costa a Firenze (S. Francesco e S. Elisabetta d’Ungheria, oggi nel Museo di San Marco).
Sogliani si sposò con Lucrezia di Piero da Soli di Mugello, detta Nannina (morta nel 1587), andando ad abitare in via della Colonna a Firenze, presso il monastero di S. Maria degli Angiolini. Da lei ebbe una figlia di nome Alessandra, ma gli nacque anche un figlio fuori del matrimonio, di nome Benedetto (morto nel 1559). Il 19 ottobre 1543 spartì i beni familiari rimasti con il fratello Filippo, l’unico ancora in vita, e il 18 aprile 1544 fece testamento, nominando eredi la moglie e i due figli (Archivio di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 1259, cc. 201r, 304r-306r, e cfr. Bencistà, 1996, p. 249, senza rimandi archivistici).
Morì il 17 luglio 1544 e venne tumulato nella chiesa di S. Maria Novella, dove poi furono sepolti anche Nannina e Benedetto.
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