VIPERANO, Giovanni Antonio
VIPERANO, Giovanni Antonio. – Nacque a Messina nel 1535, da Nicola (morto prima del 1575), esponente di una famiglia della Giurazia cittadina, e da Francesca Armaleo (o Arcoleo, che morì quando Giovanni Antonio era ancora in tenera età). Ebbe tre fratelli, Pietro, Giuseppe e Gaspare, che nella seconda metà del Cinquecento furono spesso giudici della curia stratigoziale di Messina.
Dopo aver ricevuto una prima formazione umanistica dal padre, tra il 1548 e il 1549 entrò nel Collegio mamertino della Compagnia di Gesù (fondato a Messina proprio nel 1548), compiendovi l’anno di noviziato e seguendo gli studi di retorica e filosofia: qui ebbe come docenti Pietro Canisio, Benedetto Palmio e Giovanni Battista Passarini. Nel 1549, previa approvazione di Ignazio di Loyola, fu ammesso nell’Ordine dal rettore del Collegio Girolamo Nadal. Giovane brillante, alla fine dell’anno scolastico 1553 fu incaricato per alcuni mesi di sostituire il docente di retorica; nel settembre di quell’anno fu inviato a Roma presso l’anziano fondatore della Compagnia, che dopo un mese lo mandò con altri due compagni al Collegio di Gubbio, ove insegnò sempre retorica.
Nell’aprile del 1554, a causa di una non definita malattia, si trasferì nella casa dei gesuiti di Firenze, dove era rettore Diego Laínez: appena ristabilitosi, ad agosto, fu inviato al Collegio di Perugia, presso cui insegnò retorica e greco e realizzò pubbliche recite oratorie e poetiche. Dall’anno accademico 1556-57 ebbe la cattedra delle medesime discipline presso l’Università cittadina. Alla fine dell’anno scolastico 1558, dopo aver esternato alcuni malcontenti e delusioni sulla gestione dell’Ordine, fu mandato a Messina. Nella città dello Stretto, a settembre, recitò l’orazione funebre per la morte dell’imperatore Carlo V (Laudatio funebris Caroli V, Messanae 1558). Tornò nuovamente a Perugia a novembre e vi rimase meno di due anni: tanto per motivi di salute, quanto per una crisi spirituale (sorta dopo l’incontro con Nicolás Bobadilla, uno dei primi seguaci di Ignazio e che alla sua morte criticò fortemente la nuova direzione dell’Ordine), nel gennaio del 1560 lasciò la città umbra e si recò prima a Roma e poi di nuovo a Messina.
Nei due soggiorni perugini Viperano ebbe modo di stringere stretti rapporti tanto con le autorità cittadine – tra cui il cardinale Fulvio Della Cornia, vescovo del capoluogo umbro, e il governatore Giovanni Battista Castagna (poi papa Urbano VII) –, quanto con le famiglie dei suoi allievi nobili, tra i quali un rampollo di casa Farnese e i nipoti di papa Marcello II Cervini. Abbandonato quindi l’insegnamento, maturò l’idea di uscire dalla Compagnia di Gesù e, entro il 1564, Viperano lasciò in effetti l’Ordine, dedicandosi quindi alla scrittura e alla pubblicazione di opere storiche, retoriche, poetiche, filosofiche.
Continuò comunque a spostarsi tra l’Urbe, Perugia, dove pubblicò diversi suoi scritti, e Messina, dove nel 1568 declamò le orazioni funebri di Don Carlos e Isabella di Valois, rispettivamente figlio e moglie di Filippo II di Spagna (stampate insieme all’orazione a Carlo V in Laudationes III habitae Messanae, Perusiae 1570).
Importante fu la rete relazionale che ebbe modo di tessere nei luoghi ove soggiornò, nonché la fama che si procurò con le orazioni funebri e il trattatello De bello Melitensi del 1565 (Perusiae 1567, dedicato a don Giovanni d’Austria). Nella seconda metà degli anni Sessanta guadagnò la protezione del cardinale Antoine Perrenot di Granvelle, il potente ministro di Filippo II che, allontanato dal governo dei Paesi Bassi, soggiornò a Roma a partire dai primi mesi del 1566. A lui dedicò il De scribenda historia liber (Antuerpiae 1569) e il De poetica libri tres (Antuerpiae 1579), opere pubblicate entrambe con Christoph Plantin, l’editore di Anversa con il quale Granvelle era in costante rapporto e con cui Viperano avrebbe pubblicato anche altre opere.
Tra il 1575 e il 1576 tenne tre omelie al cospetto di Gregorio XIII. Seguendo forse il suo protettore, il cardinale Granvelle, nominato presidente del Consiglio d’Italia nel 1579, si portò in Spagna presumibilmente nello stesso anno. A Madrid il re Filippo II (a cui dedicò il De rege et regno, Antuerpiae 1579) lo insignì dei titoli di regius capellanus e regius historicus.
Viperano continuò a irrobustire la sua rete relazionale, come dimostrano le dediche delle opere stampate tra gli anni Settanta e Ottanta. A Giacomo Boncompagni, figlio naturale di Gregorio XIII e capitano generale delle genti d’armi di Filippo II, dedicò la stampa delle tre omelie (Orationes III, Perusiae 1579) e le Orationes VI (Antuerpiae 1581). A Gaspar de Quiroga y Vela, inquisitore di Spagna e vescovo di Cuenca, offrì il De summo bono (Neapoli 1575) e il De componenda oratione (Antuerpiae 1581, scritto tuttavia in gioventù e offerto al dedicatario tra il 1573 e il 1577). Al cardinale Alberto d’Austria indirizzò il De obtenta Portugalia (Matritii 1583; Neapoli 1588) e il De ratione docendi (Romae 1588).
Il clima iberico però non giovò alla cagionevole salute di Viperano, che nel 1581 su consiglio dei medici dovette lasciare la corte di Madrid per tornare alle più miti arie italiane. Così, il 17 luglio di quell’anno il re lo nominò ciantro del capitolo della collegiata di S. Pietro nel Palazzo Reale di Palermo, assegnandogli anche una ayuda de costa (una ulteriore merced cui si sommarono altre gratificazioni nel 1584); governò la Cappella Palatina per mezzo del fratello Gaspare, suo procuratore. Sempre il sovrano gli assegnò, il 23 febbraio 1587, un canonicato a Girgenti (oggi Agrigento). Viperano era a Napoli quando il 6 maggio 1589 fu eletto vescovo di Giovinazzo da Sisto V (cui aveva dedicato il De divina providentia, Romae 1588): nella città partenopea emise la professione di fede nelle mani del nunzio apostolico Marcantonio Bizzoni (che ricoprì tale incarico sino al 26 maggio 1589).
Il suo episcopato nella piccola diocesi pugliese fu caratterizzato da una particolare attenzione all’istruzione e alla riforma dei costumi del clero nonché alla riparazione delle chiese non più agibili. Viperano, aderendo al modello del vescovo tridentino, istituì nuove confraternite, indisse un sinodo diocesano (1592) e svolse due sacre visite (1600, 1607); ebbe tuttavia contrasti con l’arcipretura nullius di Terlizzi, che godeva dell’esenzione e dell’autonomia dal potere episcopale.
Continuò a dedicare opere a esponenti della corte spagnola: al principe Filippo d’Asburgo (figlio di Filippo II) il De virtute (Neapoli 1592); a Pedro Fernández de Cabrera y Bobadilla (figlio di Diego, maestro di casa del sovrano) i Poemata (Neapoli 1593), che forniscono uno spaccato delle sue amicizie.
I buoni rapporti che continuava a intrattenere con esponenti di spicco della corte di Madrid gli permisero poi di essere indicato nelle terne per le provviste di tre diocesi di patronato regio (nel 1593 la sede metropolitana di Reggio di Calabria e il vescovado di Cassano allo Jonio, quello di Monopoli nel 1598): tuttavia il sovrano promosse sempre altri candidati (Spedicato, 1996).
Nonostante l’obbligo della residenza, Viperano fu spesso fuori la sua diocesi: indicative sono le partecipazioni a consacrazioni episcopali che si tennero nel 1591 a Messina (dove celebrò pure i funerali del principe di Butera Francesco Santapau), nel 1594 a Roma e nel 1606 a Napoli. Ma sono soprattutto le visite ad limina che testimoniano i suoi spostamenti e il suo operato a Giovinazzo. Andò a Roma per quelle del 1600 (quando segnalò la necessità di lavori per la cattedrale, la mancanza di un seminario dei chierici e la conseguente ignoranza del clero) e del 1603 (comunicando disturbi nella diocesi per la decisione di un preposito di svincolarsi dalla giurisdizione vescovile); le visite del 1606 e del 1609 furono effettuate per procura: la prima perché dimorava in Napoli, la seconda a causa dell’anzianità.
Infatti, già il 26 giugno 1606 a Viperano, «ob ingravescentem aetatem, oneribus pastoralibus iam inhabili», fu affiancato un coadiutore con diritto di successione, il benedettino Gregorio di Santa Croce, eletto vescovo titolare di Dragobizia (Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Archivio Concistoriale, Acta Camerarii, 14, c. 40r).
Il 25 maggio 1608 fu l’unico testimone nella diocesi di Giovinazzo per il processo di beatificazione di Ignazio di Loyola.
Negli anni dell’episcopato si dedicò alla produzione di sacre orazioni e omelie (Dominicalium Ecclesiae orationum expositio, Neapoli 1597; Conciones aliquot celebrioribus anni festivitatibus habitae, Venetiis 1599; Sermones doctissimi, Venetiis 1608) e alla predisposizione della raccolta di tutti i suoi scritti (Operum pars prima [-tertia], I-III, Neapoli 1606-1607, offerta nell’insieme a Filippo III di Spagna), ove talvolta cambiò dedicatari delle singole opere (per esempio il De summo bono fu indirizzato al fratello Pietro).
Morì a Giovinazzo il 23 marzo 1610 e fu sepolto nella sua cattedrale.
Viperano, oltre che pastore impegnato nell’applicazione dei dettami del Concilio di Trento, fu soprattutto un intellettuale sfaccettato del secondo Cinquecento. Con un pensiero intriso di aristotelismo elaborato in chiave controriformistica (esplicitato anche nella produzione omiletica e a tema religioso) difese ardentemente i privilegi della sua patria, come, per esempio nella Pro Messanensium seu Mamertinorum immunitatibus declamatio (in Operum, cit., I, pp. 158-164), propose un’esplicita enciclopedia del sapere ancorata a forme classiche e non fu distante da preoccupazioni esortatorie e pedagogiche (Dollo, 1984, pp. 105-115). Nelle opere storiche indicò la necessità di piacevolezza nella narrazione, così da invogliare il lettore nella scoperta dei fatti narrati e – contemporaneamente – rappresentargli, anche a scopo celebrativo, le affectiones animi dei protagonisti (Menchini, 2008; Caputo, 2012, pp. 142-144).
In edizione moderna i Carmina, a cura di M.L. Picklesimer Pardo, Madrid 2001.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Archivio Concistoriale, Acta Camerarii, 14, c. 40r; Acta Miscellanea, 50, c. 142rv; Congr. Concilio, Relationes Dioecesium, 424, cc. n.n., 1r-4r.
A. Mongitore, Bibliotheca sicula, II, Panormi 1714, pp. 321 s.; R. Pirri, Sicilia Sacra, II, Panormi 1733, pp. 1365 s.; [F. Peccheneda], Dimostrazione del libero diritto collativo [...] sopra la cantoria... della regia Cappella collegiata del palazzo regal di Palermo, Napoli 1761, pp. CI-CIX; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, II, Venezia 1873, pp. 211 s.; L. Marziani, Istorie della città di Giovenazzo, I, Napoli 1878, pp. 125 s.; C.D. Gallo, Gli annali della città di Messina, III, Messina 1881, ad ind.; E. Springhetti, Un grande umanista messinese. G.A. V. (cenni biografici), in Helikon, I (1961), pp. 94-117; E. Kessler, Theoretiker Humanistischer Geschichtsschreibung, München 1971, pp. 56 s. e passim; P. Burgarella, La serie «Consultas» nel primo ventennio di attività del Consiglio d’Italia (1562-1586), in Rassegna degli Archivi di Stato, XXIV (1974), pp. 91-156 (in partic. pp. 77, 85); C. Dollo, Modelli scientifici e filosofici nella Sicilia spagnola, Napoli 1984, ad ind.; G. Roccaro, Pietro Calanna: una lettura platonica del XVI secolo, in Francescanesimo e cultura in Sicilia (secc. XIII-XVI). Atti... 1982, Palermo 1987, pp. 227-252 (in partic. pp. 230-232); Id., Il commento di G.A. V. al «De anima» di Aristotele, in Platonismo e aristotelismo nel Mezzogiorno d’Italia (secc. XIV-XVI). Atti... Carini... 1987, a cura di G. Roccaro, Palermo 1989, pp. 187-208; M. Spedicato, Il mercato della mitra, Bari 1996, ad ind.; R. Moscheo, I gesuiti e le matematiche nel secolo XVI, Messina 1998, ad ind.; M. Zanfedrini, V., G.A., in Diccionario històrico de la Compañìa de Jesùs, IV, Roma-Madrid 2001, p. 3985; G. Roccaro, I canti mariani di G.A. V., in La Sicilia e l’Immacolata... Atti... 2004, a cura di D. Ciccarelli - M.D. Valenza, Palermo 2006, pp. 359-376; C. Menchini, Storiografia italiana e storia portoghese tra Cinque e Seicento: Gerolamo Conestagio de’ Franchi e G.A. V., in Studi secenteschi, XLIX (2008), pp. 147-183; V. Caputo, Ritrarre i lineamenti e i colori dell’animo, Pisa 2012, ad indicem.