VOLPI, Giovanni Antonio (Giannantonio). – Nacque il 10 novembre 1686 a Padova da Giovanni Domenico, droghiere di origini bergamasche, e da Cristina Zeno, veneziana. Fu primo di otto figli: ebbe tre fratelli (Giambattista, Gaetano Cristoforo, Giuseppe Rocco, del quale v. la voce in questo Dizionario) e quattro sorelle (di cui due furono monache benedettine del convento di S. Sofia)
Indirizzato subito agli studi umanistici dal padre, ebbe quale primo insegnante l’abate Vincenzo Zaccheloni, maestro delle scuole pubbliche di Padova. Mostrò immediatamente una spiccata propensione per gli studi classici, che poté coltivare successivamente nelle locali scuole gesuitiche, come era prassi all’epoca per l’istruzione dei giovani di buona famiglia. Ivi ebbe quali insegnanti di materie letterarie due dotti ecclesiastici, Giampaolo Guglienzi e Gregorio Gabellotto, che oltre a perfezionare il possesso della lingua latina gli permisero di acquisire le basi del greco. Successivamente passò alla scuola di Michele Viero, professore del seminario di Padova che in seguito avrebbe ricevuto anche la cattedra di logica presso l’università. Volpi approdò infine agli studi giuridici, seguendo le lezioni di Giambattista Ceffis per due anni.
Risalgono a questo periodo (tra il 1705 e il 1708) le sue prime prove letterarie. In particolare tradusse alcuni versi del De rerum natura (che però non ci sono pervenuti) e iniziò una traduzione in latino della Gerusalemme liberata, e anche se probabilmente in un primo momento ebbe l’ambizione di portare a termine l’impresa alla fine si fermò a nove canti, peraltro perduti, poiché, insoddisfatto dell’esito, li diede alle fiamme. Più successo ebbe invece la seconda prova letteraria: un’edizione critica ancora piuttosto acerba dei versi di Catullo, Tibullo e Properzio (Catulli, Tibulli, et Propertii carmina ex recensione Jo.Antoni Vulpii..., Patavii 1710) che meritò le lodi del Giornale de’ letterati d’Italia.
Questa edizione lo rese noto negli ambienti culturali padovani e veneziani, nei cui circoli si inserì poi attraverso l’iscrizione all’Accademia dei Ricovrati, in cui entrò ufficialmente il 27 aprile 1712 e nella quale sarebbe rimasto per cinquantaquattro anni, ricoprendo le cariche di segretario e ‘principe’ (cioè presidente, dal 1743 al 1745). Primo compito importante che portò a termine per l’Accademia fu la stesura del panegirico del protettore della stessa, s. Francesco di Sales (Padova 1716), segno evidente di quanto egli fosse tenuto in considerazione nonostante la giovane età.
In quello stesso anno, dal confronto con il fratello Gaetano, iniziò a prendere forma il progetto di avviare un’impresa editoriale, che fu effettivamente realizzata l’anno successivo, quando i fratelli Volpi fondarono una tipografia nella loro residenza, palazzo Vezzù (nel centro di Padova, e specificamente nell’odierna via Dante), che affidarono alla direzione tecnica di un giovane libraio padovano che si era formato nell’officina di Giambattista Conzatti: Giuseppe Comino. Se Gaetano si occupava in particolare del reperimento del materiale e della correzione delle bozze, Giovanni Antonio aveva invece il compito di mettere a punto il testo, corredandolo di note esplicative, e solitamente di una raffinata prefazione accompagnata da notizie biografiche sull’autore.
Le edizioni ‘Volpi-Cominiane’, come sarebbero state note da quel momento in poi, erano di lusso, stampate su carta di ottima fattura, contraddistinte dalla grande eleganza dei caratteri e dalle pregevoli illustrazioni. Il valore dell’edizione, unito alla particolare ricchezza del commento, degli apparati di note e al rigore della ricostruzione testuale, comportava inevitabilmente un prezzo piuttosto alto, accessibile a un pubblico ristretto di specialisti, data anche la tiratura di stampa limitata: si trattava di una scelta piuttosto audace, dettata dalla volontà di non asservirsi alle limitanti logiche di mercato. Le prime due opere a essere pubblicate (entrambe nel 1717), poi, furono il De motu acquae mixto, di Giambattista Poleni, e l’Adversaria anatomica altera, di Giovanni Battista Morgagni, segno che la linea editoriale della neonata impresa prevedeva l’attraversamento dei vari campi del sapere e di autori contemporanei o poco noti, oltre che dei grandi classici (specialmente latini e greci). Tale linea fu confermata dalla pubblicazione seguente, la prima del 1718: l’opera omnia del poeta e botanico Andrea Navagero (Andreae Naugerii patricii veneti oratoris et poetae clarissimi opera omnia, Patavii), in cui si legge quasi un manifesto programmatico: «Typographiam domi nostrae instituimus, eique hominem diligentem praefecimus, ad egregios in omni disciplinarum genere libros edendos; praesertim vero ad illorum memoriam renovandam, qui sanioris eloquentiae, atque eruditionis laude floruerunt» (pp. I s.).
Nel giro di due anni la tipografia dei fratelli Volpi si affermò come una delle più importanti realtà dell’editoria veneta, riscuotendo ampie lodi da parte di diverse testate specialistiche, in primis dal già citato Giornale de’ letterati d’Italia, che dedicò numerose recensioni alle edizioni Volpi-Cominiane. Nel 1719, seguendo l’impianto già definito per le opere di Navagero, Volpi redasse una ricca biografia di Iacopo Sannazaro per l’edizione delle sue rime che fu molto apprezzata anche al di fuori dei confini italiani, al punto che sarebbe stata ripresa interamente in una successiva edizione pubblicata ad Amsterdam nel 1728. Da segnalare, poi, una nuova edizione del De rerum natura di Lucrezio, che uscì nel 1721, ulteriore riprova dell’audacia di alcune scelte editoriali dei Volpi. L’opera di Lucrezio, infatti, era stata oggetto di un’aspra diatriba sorta intorno a una traduzione del matematico Alessandro Marchetti uscita postuma nel 1717, che pur caratterizzata da un pregevole ed elegante stile di impronta arcadica fu considerata un manifesto del razionalismo cartesiano, nonché accusata di diffondere tesi atee e materialiste. Volpi decise di riproporre a soli quattro anni di distanza una nuova versione dell’opera, forse per cercare di ricomporre la frattura che in un certo senso si era prodotta tra il poema lucreziano e l’etica cattolica. Fu questa d’altronde una marca connotativa di tutta la sua esperienza di studioso, poeta e filologo.
Mentre la produzione della tipografia si intensificava, Volpi continuò la sua attività di accademico: fu autore di diverse prolusioni, tra le quali la discussa Che non debbono ammettersi le Donne allo studio delle scienze e delle Belle arti, tenuta all’Accademia dei Ricovrati nel giugno del 1723. Proprio in questo periodo fu inoltre cooptato in Arcadia, con il nome di Ulipio Granejo.
Furono questi gli anni maggiormente intensi per la tipografia, che pubblicò undici opere all’anno nel triennio 1723-25. Tra il 1726 e il 1727 fu pubblicata una delle opere più importanti dei Volpi: la Divina Commedia di Dante Alighieri già ridotta a miglior lezione dagli accademici della Crusca e ora accresciuta di un doppio rimario e tre indici copiosissimi.
Nel 1733 fu pubblicata l’importante edizione delle Opere volgari e latine di Baldassarre Castiglione, che recava la dedica a Marco Cornelio Bentivoglio d’Aragona, nella quale si ponevano in risalto i punti di contatto tra Castiglione e il porporato stesso (la carriera diplomatica, la vena letteraria e persino una lontana parentela). L’intento per Volpi era chiaramente quello di identificare Bentivoglio come l’incarnazione degli ideali di Castiglione.
Sei anni prima, in Inghilterra, era stata pubblicata un’altra edizione delle opere di Castiglione, da un suo presunto antenato (tale A.P. Castiglione, Il Cortegiano, or the Courtier, written by count Baldassar Castiglione..., London 1727). L’edizione dei Volpi si poneva inevitabilmente in ‘concorrenza’ con questa, come si deduce anche dalla prefazione, dove Volpi pone in risalto la propria accuratezza filologica e la maggior ricchezza di apparati paratestuali rispetto alla versione inglese, in cui mancava finanche un regesto dei testimoni. E il discorso si allarga ulteriormente quando, constatando l’esclusione di due particolari elegie e dell’epigramma Ad amicum dall’edizione londinese, si prende spunto per un raffronto tra le pratiche censorie italiane e inglesi, sostenendo che mentre in Italia «si troncano i libri ingenuamente o per modestia, o per religione, o per ubbedienza», in altri Paesi «ciò spesso si fa o per incuria, o occultamente per malignità, o per altre cagioni, e forse simili alle nostre, ma scarsamente dissimulate» (B. Castiglione, Opere volgari e latine, Padova 1733, p. 414).
Al 1727 va fatto risalire l’ingresso di Volpi nell’Università di Padova, come professore di filosofia; nel 1736 lasciò la cattedra di filosofia per prendere quella ben più prestigiosa di umanità greca e latina, ove succedette a Domenico Lazzarini, che lo aveva espressamente designato quale suo erede. L’orazione di insediamento fu sostanzialmente un’accorata apologia dello studio classico, e segnatamente della lingua latina, che andava preferito a quello delle letterature straniere.
Nel 1737 la tipografia Volpi pubblicò una nuova edizione del liber catulliano (C. Valerius Catullus Veronensis, et in eum Jo. Antonii Vulpii, Eloquentiae Professoris in Gymnasio Patavino, Patavii), dotata di un commento imponente in cui confluirono i ventisette anni di esperienza aggiuntiva che Volpi aveva maturato rispetto all’edizione del 1710 (che comunque non era dedicata al solo Catullo), per giunta apertamente sconfessata (pp. XV s.). L’opera si apre con una dedica a Michele Rambaldo e Gaspare Bevilacqua Lacisio, cittadini di Verona, che veniva definita «magnifica civitas». Quello stesso anno, in segno di riconoscenza, la città scaligera insignì Volpi di una medaglia d’oro: le dediche prefatorie erano d’altronde uno ‘strumento’ che i Volpi impiegavano abilmente per stabilire e rinsaldare legami strategici.
Il 7 agosto 1739 Volpi fu cooptato nell’Accademia dei Concordi, di cui, nel 1746, avrebbe elaborato il motto (Mens omnibus una est, citazione dalle Georgiche). Tra il 1743 e il 1744 scrisse e pubblicò due saggi di estetica poetica: il Liber de utilitate Poetices, in cui asseriva con convinzione la necessità di un fine morale e civilizzatore per la poesia, e il Liber de Satyrae latinae natura et ratione, monumentale storia della letteratura in cui è patente l’influsso della precettistica aristotelica e dell’Ars poetica oraziana. Sempre in questo periodo la sua attività accademica si fece particolarmente intensa: partecipò frequentemente alle sessioni dell’Accademia degli Orditi e di quella dei Filoamati di Cesena, ma soprattutto il 7 settembre 1754 entrò in Crusca.
Erano però anni in cui la tipografia versava in condizioni di crisi: la politica volpiana votata alla predilezione per le edizioni di pregio, seppur vincente in un primo momento, a lungo andare palesò i propri limiti sul piano economico. Nel 1756, così, i Volpi uscirono di scena, lasciando la direzione al solo Comino.
Nel 1760, ormai gravemente provato da alcuni problemi alla vista, Volpi lasciò la cattedra universitaria che aveva occupato per ventiquattro anni. Di lì a poco divenne cieco e dovette abbandonare ogni attività letteraria.
Morì per un colpo apoplettico la notte del 25 ottobre 1766 e fu inumato nella chiesa di S. Lucia, a Padova, in un sepolcro la cui costruzione aveva commissionato qualche anno prima per sé stesso e per la moglie, la veronese Margherita Moschina.
Fonti e Bibl.: Volpi ci ha lasciato alcuni manoscritti che aprono uno scorcio inedito sul periodo della sua formazione, sino alla fondazione della tipografia (grosso modo 1710-17). Si tratta dei cosiddetti quaderni marciani: Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Marc. Lat. XIII 78, 4224-4227. Il fondo contiene altri manoscritti di Volpi: Marc. Lat. XIII 100-104 (cc. 4419-4423), 129-134 (cc. 4690-4695), 135-136 (cc. 4696-4697).
Per un elenco esaustivo delle edizioni Volpi-Cominiane cfr. G. Fiesoli, G. V. lettore di Catullo: i modelli, il metodo, la fortuna, in Seicento e Settecento, I (2006), pp. 105-148 (in partic. pp. 136-138).
F. Federici, Annali della tipografia Volpi-Cominiana colle notizie intorno la vita e gli studi de’ fratelli Volpi, Padova 1809 (in partic. pp. 3-38); D. Nardo, G.A. V. filosofo, latinista, editore (1686-1766), in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, XX (1987), pp. 101-115; C. Bracchi, G.A. V.: una riflessione sulle Satire di Q. Orazio Flacco nella prima metà del Settecento, in Orazio e la letteratura italiana: contributi alla storia della fortuna del poeta latino. Atti del Convegno..., Licenza... 1993, Roma 1994, pp. 345-371; M. Callegari, Dal torchio del tipografo al banco del libraio. Stampatori, editori e librai a Padova dal XV al XVII secolo, Padova 2002, passim.