ZERBI, Giovanni Antonio.
– Nacque a Milano il 19 marzo 1562 da Francesco; non si conosce il nome della madre. Benché la famiglia Zerbi (Acerbi in latino) fosse annoverata da Giovanni Sitoni di Scozia tra i casati illustri della città di Milano, e alcuni membri della famiglia avessero fatto parte, nei secoli precedenti, del Collegio dei giureconsulti, non risulta che Giovanni Antonio fosse un patrizio milanese. Doveva essere, anzi, un semplice cittadino, riconosciuto, tuttavia, per la particolare dedizione alla città.
Carlo Beretta riporta le parole lusinghiere che i contemporanei tributarono a Zerbi, «uomo non mai abbastanza lodato (Alessandro da Rho), cittadino benemerito della patria sua, versato ed esperto in ogni genere di affari (Dugani), introduttore in patria di alcunché, migliore del quale non si poteva inventare (Cantoni)» (Beretta, 1924, p. 14).
Zerbi aveva casa, insieme al fratello Gerolamo, nella parrocchia di S. Pietro in Camminadella. Tale casa, secondo una fonte genealogica ottocentesca, fu confiscata nel 1625 a seguito di un processo per frode cui fu sottoposto Gerolamo.
Zerbi sposò una Di Negro, figlia di Francesco, appartenente a una nota famiglia mercantile genovese, e mantenne intensi legami commerciali con la Repubblica ligure. Non si conoscono il nome della moglie e la data del matrimonio, tuttavia, si può dedurre dai documenti che fosse stato celebrato prima del 1599, dal momento che nel Discorso in forma di dialogo, scritto da Zerbi in quell’anno, compaiono come interlocutori Francesco Negro, suocero, e Giovanni Antonio Zerbi, suo genero. Zerbi e la moglie ebbero una figlia che aveva poco meno di tre anni alla morte del padre nel 1601.
In giovane età, Zerbi viaggiò molto, anche fuori dallo Stato di Milano, per acquisire conoscenze e pratica delle negoziazioni mercantili. Era esperto di questioni concernenti la mercatura in genere e interessato ai problemi di finanza pubblica e privata, avendo approfondito le conoscenze in questo campo con soggiorni nelle città italiane e straniere sede delle più importanti istituzioni bancarie del tempo, tra le altre Venezia, Napoli, Palermo, Genova, Barcellona e Valencia. Da una prima ricognizione negli archivi spagnoli non è stato possibile reperire informazioni relative ai suoi soggiorni nella penisola iberica, ma sappiamo che nel 1592 rientrò a Milano, dopo un periodo passato in Spagna a Barcellona e a Valencia, e fu riconosciuto in qualità di ‘professore delle pratiche e ragioniere delle scritture mercantili’.
Il 16 giugno 1592 presentò una supplica al tribunale di Provvisione proponendo la creazione di un banco pubblico su modello del Banco di S. Giorgio di Genova, e ispirandosi a una precedente proposta fatta a Madrid alla corte del re di Spagna, Filippo II. Con la perseveranza che lo contraddistinse nel propagandare la bontà del suo progetto per il bene della città, Zerbi delineò fin dalla prima supplica le principali funzioni del banco pubblico: raccolta di capitali a titolo di deposito, senza interesse, da effettuare attraverso una sezione chiamata cartulario e accettazione di capitali a partecipazione attraverso la sottoscrizione di titoli chiamati luoghi o multiplici; utilizzazione dei depositi come fonte per i pagamenti diretti in moneta o giroconto e impiego dei capitali raccolti attraverso i titoli come prestiti all’amministrazione della città.
Supportato da numerosi ammiratori, tra cui il giurista Alessandro da Rho, che ebbe a scrivere «lo Zerbi, a perfezione di tutti i mezzi finanziari economici già esistenti, poté introdurre la novità del banco, a sollievo della città e a beneficio del privato» (Beretta, 1924, p. 46), il 14 settembre 1593 ottenne l’approvazione per la creazione della sua impresa dal governatore dello Stato di Milano, Juan Fernández de Velasco. Nello stesso anno fu nominato ‘ragionato generale’ del banco. Questa carica aveva tra i suoi numerosi compiti quello di stabilire le somme disponibili per gli investimenti, di calcolare gli utili e ripartirli fra i soci e di controllare la regolare tenuta delle scritture.
Zerbi fu, dunque, promotore di un innovatore modello di banca e si impegnò nella creazione di una struttura capace di sostenere le attività economiche nella città di Milano, in un momento in cui l’esigenza di finanziamento della spesa di uno Stato era diventata, per ragioni di politica internazionale, uno dei maggiori problemi che i governi dovevano affrontare. Infatti, il debito pubblico era diventato la fonte principale dalla quale trarre le risorse necessarie per realizzare una politica estera che gli interessi dei singoli Stati rendevano sempre più costosa. In assenza di una politica fiscale efficiente, l’indebitamento sembrava essere l’unica via percorribile per raggiungere lo scopo. Per questo motivo Zerbi propose la creazione di un banco pubblico a due sezioni interconnesse: la prima di deposito e giro, in modo da rispondere alle esigenze degli scambi; la seconda di prestito a medio e lungo termine alla città di Milano attraverso la raccolta di capitali. I vantaggi principali che la proposta di Zerbi portava con sé riguardavano l’abbattimento degli elevati costi di indebitamento con i banchieri di professione, in primis milanesi e genovesi, che erano intervenuti fino ad allora a sostegno delle crescenti richieste di Madrid, affinché i territori dipendenti contribuissero al finanziamento della politica estera della monarchia spagnola, che nello stato di guerra quasi permanente aveva il principale consumo di risorse finanziarie. L’alto tasso di indebitamento significava per le grandi case bancarie un aumento del rischio, anche a fronte dei numerosi casi di insolvenza del principe, e la richiesta di elevate garanzie che si concretizzavano nell’acquisizione diretta di tutto o di parte del gettito delle diverse imposte.
Il banco, inoltre, veniva incontro a un altro problema di natura economica, ovvero far fronte alle esigenze dell’economia milanese, i cui prodotti, tratti da un’agricoltura ad alta produttività e da un nucleo manifatturiero di eccellenza, specie nei settori tessile e metallurgico-meccanico, erano oggetto di scambi intensi sia sul mercato urbano sia su quello di altri Stati italiani ed europei. Questi scambi richiedevano strumenti monetari e creditizi adeguati.
Come si è detto, gli sforzi profusi da Zerbi nel difendere le sue idee, anche a mezzo stampa, furono premiati nel settembre del 1593, dopo intense discussioni del Consiglio generale che più volte si dichiarò contrario alla creazione di un banco, avendo presentato già in maggio una controproposta per la raccolta di 200.000 scudi necessari a estinguere i debiti della città. Il denaro sarebbe stato prestato da facoltosi banchieri in deposito gratuito per cinque o sei anni a garanzia del denaro trattato nel cartulario del banco, e solo al termine del tempo stabilito la città si sarebbe espressa sull’utilità del cartulario e sulla sua istituzione permanente. Nonostante le molte riserve, il Banco di Sant’Ambrogio fu istituito di lì a pochi mesi nella sola forma di banco di deposito con la creazione della sezione denominata cartulario. Si stabilì inoltre che Zerbi e gli altri ministri venissero pagati solo sulla metà degli utili scaturiti da questa impresa. Inoltre, Zerbi, sostenuto dal forte idealismo con cui aveva perseguito i suoi scopi, decise di intraprendere la funzione di ragionato senza ricevere salario per sei anni, poiché, come egli stesso scrisse negli statuti del banco, «coll’opera sua [il ragionato generale] principalmente tendeva al servizio di Sua Maestà e del pubblico» (Beretta, 1924, p. 29).
Visto lo scarso entusiasmo dimostrato dalla città di Milano e la decisione di accantonare per il momento il versamento di azioni fruttifere attraverso partecipazioni in denaro e la funzione di banco giro, che Zerbi aveva previsto per il Banco di Sant’Ambrogio, la sua opera propagandistica proseguì per tutto il decennio.
Tra il 1593 e il 1599, Zerbi scrisse quattro opere in forma di dialogo che servivano da un lato a rispondere alle numerose critiche che l’erezione di un banco pubblico aveva suscitato tra i banchieri milanesi, e dall’altro ad approfondire l’utilità di luoghi e multiplici come strumenti per la raccolta di capitali necessari a sovvenire alle necessità finanziarie del Ducato.
La prima opera è il Dialogo del Banco de Santo Ambrosio de Gio Antonio Zerbi (Milano, per Gratiadio Ferioli, 1593), un opuscolo piuttosto breve, consistente di dodici carte non numerate, dialogo fra lo stesso autore e un immaginario Alessandro, posto a rappresentare il cittadino che vuole essere istruito sullo scopo e la natura del progetto di Zerbi.
L’anno successivo apparve De’ grossi interessi dei cambi tra la R. Ducal Camera, la città di Milano e i negozianti (per Gratiadio Ferioli, 1594), l’unico dei quattro opuscoli che non è stato possibile reperire in originale, ma del quale parla diffusamente Carlo Beretta sottolineandone lo stile «immaginoso e strambo» (Beretta, 1924, p. 38) secondo la moda dell’epoca. Il saggio è un dialogo tra la Città di Milano, personificatasi, e la Regia Real Camera, la quale, interrogata la Città sul suo stato ‘malinconico’, suggerisce di accettare le risoluzioni di Zerbi circa l’erezione del Banco di Sant’Ambrogio. A sostegno delle parole della Regia Real Camera intervengono anche negozianti esperti in materia.
Pochi anni dopo Zerbi pubblicava Del Banco di S. Ambrosio Proposto all’inclita Città di Milano [...] Libri due (Milano, per Pandolfo Malatesta stampatore della magnifica communità, s.d). La data, 14 giugno 1597, si deduce dalla lettera dedicatoria al vicario di Provvisione e ai Sessanta del Consiglio generale. Quest’opera, la cui consistenza è di ventidue carte, è una prima redazione dei primi due dialoghi che sarebbero comparsi in apertura del successivo e più completo testo di Zerbi.
Nel 1599 infine apparve il Discorso in forma di dialogo intorno al banco S. Ambrosio della città di Milano. Di Gio. Antonio Zerbi ragionato generale di detto banco. Diuiso in quattro giornate (Milano, per Pandolfo Malatesta, stampatore Regio Camerale). L’opera è dedicata al governatore dello Stato di Milano, Juan Fernández Velasco, e vede come interlocutore di Zerbi il suocero, Negro, possibile cliente del Banco. Consiste di ottantadue pagine numerate più otto iniziali non numerate con dedicatoria e tavola. Il tono di questo dialogo è più disteso: molti dei pregiudizi erano stati superati e ci si accingeva a completare il Banco con l’istituzione di luoghi e multiplici. In quest’opera Zerbi intende approfondire alcuni temi di natura bancaria, trattando gli argomenti con maggiore diffusione e ampiezza di particolari.
Nonostante il suo impegno di divulgatore e banchiere, Zerbi non abbandonò mai l’attività mercantile. In una supplica – respinta – del dicembre del 1594, Zerbi e il fratello, nel chiedere un prestito di 300 scudi (poiché il Banco non aveva fatto utili per il primo anno), menzionavano i propri meriti, ovvero di avere sempre servito Alessandro Schiaffenati, conservatore del Patrimonio della Città, nella vendita del dazio del vino e nell’avere trovato compratori per gli incanti, e di avere impiegato i denari del Banco in fiera con lo scopo di ottenere interessi vantaggiosi per la città. Ancora nel 1597, Zerbi fu invitato per conto della città di Milano a recarsi a Genova per contrattare un prezzo favorevole per l’acquisto di olio di oliva, pagato con lettere di cambio spiccate dal milanese Filippo Morosini, in virtù della diligenza che Zerbi aveva già dimostrato in passato e della segretezza con cui avrebbe trattato con i mercanti genovesi, per ottenere un prodotto di buona qualità al prezzo che la città aveva stabilito per quell’affare.
Morì a Milano il 14 aprile 1601.
Zerbi fu sepolto nella chiesa parrocchiale di S. Pietro in Camminadella e sulla sua tomba fu apposto, per ordine della Congregazione dei governatori del Banco di Sant’Ambrogio, un epitaffio scolpito in marmo bianco.
Il fratello Gerolamo gli successe nella carica di ragionato generale e successivamente l’eredità del Banco fu accolta dal nipote, Antonio, il quale, avendo compiuto diciotto anni nel 1621, divenne coadiutore del padre, senza tuttavia percepire uno stipendio.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Atti di Governo, Commercio p.a., cart. 66; Milano, Archivio storico civico, Fondo Famiglia, cart. 1616; Dicasteri, Consiglio generale, cart. 22.
P. Rota, Storia delle banche, Milano 1874, pp. 146-149 e passim; U. Gobbi, L’economia politica negli scrittori italiani del sec. XVI-XVII. Studio, Milano 1889, pp. 257-264; C. Beretta, Un fervente propagatore dei principii della banca moderna vissuto a Milano nel sec. XVI, Milano 1924; A. Cova, Le operazioni di raccolta e di impiego del Banco di Sant’Ambrogio negli scritti di G.A. Z. (1593-1599), in Economia e storia, XV (1968), 1, pp. 48-74; Id., Il Banco di Sant’Ambrogio nell’economia milanese dei secoli XVII e XVIII, Milano 1972, ad ind.; Id., Banchiere e banche nell’Europa moderna e contemporanea. G.A. Z. e John Law, Milano 2009.