APPIANI, Giovanni (detto Vanni)
Figlio di Benvenuto, nacque a Pisa verso la fine del sec. XIII. Come il padre esercitò la professione di notaio, e ricoprì vari uffici nella amministrazione del Comune finché, nel 1328, lo troviamo eletto tra gli Anziani in una elezione imposta dall'imperatore Ludovico il Bavaro dopo il suo ingresso in Pisa che, poco prima, ribellandoglisi, gli aveva vanamente chiuso le porte in faccia. Questo particolare ci permette di definire, grosso modo, quale fosse in quel momento la posizione politica dell'A., visto che la sua elezione in una tale circostanza deve essere attribuita anche e soprattutto al fatto che egli era tra coloro che, proclamandosi favorevoli all'imperatore, avevano costretto i governanti pisani ad accogliere il Bavaro. Come è facile capire, il suo ghibellinismo significava soprattutto opposizione alla fazione capeggiata dai Donoratico, nelle cui mani era il potere. Le cronache contemporanee parlano ancora dell'A. in occasione di un tentativo di abbattere la signoria del conte Fazio di Donoratico (10-11 nov. 1335) cui parteciparono membri delle principali consorterie cittadine: Lanfranchi, Sismondi, Gualandi, Vemagalli, ecc. Il tentativo, che avrebbe dovuto essere coadiuvato dal vicario di Mastino della Scala signore di Lucca, non riuscì; l'A., messosi in salvo, si rifugiò presso i Visconti. Lo ritroviamo sei anni più tardi presente a Milano in qualità di testimone al patto di alleanza concluso il 12 ag. 1341 tra Luchino Visconti e Ranieri conte di Donoratico signore di Pisa. Dopo la conquista di Lucca (2- luglio 1342), che era stata lo scopo principale di quella alleanza, i rapporti fra gli alleati si turbarono: si giunse alla guerra. Un esercito visconteo, infatti, qualche tempo dopo, invase il territorio pisano, minacciò la città stessa e saccheggiò a lungo il contado ma, dopo esservisi trattenuto per qualche mese, decimato dalla guerriglia e più dalle epidemie e dalla fame, dovette ritornare sui suoi passi. Finalmente, il 17 maggio 1345, fu concluso un accordo; tra le condizioni imposte dai Visconti, per una particolare clausola annessa al testo del trattato, ce ne fu anche una secondo la quale il Comune di Pisa dovette richiamare in città l'A., che ne era stato bandito e restituirgli i beni confiscati.
Ciò induce a credere che nella realizzazione della sua politica di espansione in Toscana e in Pisa il Visconti avesse riservato all'A. una parte importante. D'altronde un così personale interessamento in un'occasione solenne e ìmpegnativa come un trattato di pace sta a dimostrare che l'A. era persona influente e probabilmente godeva anche di grande seguito in Pisa.
L'A. dunque ritornò in patria dove, sul finire del 1347, poco dopo la morte di Ranieri di Donoratico, un violento scontro combattuto fra Raspanti e Bergolini portava questi ultimi al potere. Non è improbabile che l'A. prendesse parte anche a questi avvenimenti; in realtà è attestato che il nuovo regime si servì subito della sua opera perché da questo momento lo troviamo sempre in uffici assai importanti tra cui in particolare è da ricordare quello di cancelliere degli Anziani di Lucca, che egli tenne per circa sei anni, con poteri tali (quali erano quelli a lui personalmente attribuiti) che gli davano l'autorità di controllare gli Anziani lucchesi.
Tutto ciò prova non solo che la fazime Bergolina, e più precisamente i Gambacorta, avevano fiducia nell'A., ma fa anche presumere (se si tien conto anche delle precedenti vicende della sua vita) che nella decisione di affidargli per così lungo tempo (dato che di norma il cancelliere rimaneva in carica sei mesi) un così importante ufficio, influisse un fattore diverso dai suoi personali requisiti professionali. Lo conferma in modo assai eloquente una lettera con cui gli Anziani di Pisa disponevano che, dovendo ser Vanni abbandonare Lucca perché chiamato a Pisa da importanti negozi politici (non è possibile stabilire quali), il figlio Iacopo lo sostituisse nella carica di cancelliere. Quindi è legittimo supporre che la considerazione in cui i Gambacorta tenevano ser Vanni era dovuta a motivi di natura politica piuttosto che ad una generica fiducia. È probabile cioè che gli Appiani rappresentassero già allora una fazione che era opportuno tenere amica.
Alla fine del 1354 l'A. non conservò l'ufficio di cancelliere degli Anziani di Lucca. Era atteso l'arrivo di Carlo IV e forse i capi dei Bergolini, che a detta di un cronista coevo "incomincionno forte a dubitare della sua venuta di non perdere lo stato", vollero l'A. a Pisa, dove avrebbe potuto essere più utile in considerazione del seguito che egli godeva. E infatti, nel momento del bisogno, egli si trovò a fianco dei suoi alleati.
L'A. morì, il 20 maggio 1355, per un colpo di lancia che lo raggiunse alla bocca mentre combatteva tra i Bergolini, durante il tumulto sollevato contro l'imperatore Carlo IV di Boemia alla notizia che voleva liberare Luccadalla dominazione di Pisa.
Fonti e Bibl.: R. Roncioni, Delle famiglie Pisane, a cura di F. Bonaini, in Arch. stor. italiano, VI (1848-89), parte 2, suppl. 2, sez. 3, pp. 848-58; O. Banti, Iacopo d'Appiano e le origini della sua signoria in Pisa,in Bollettino storico pisano,XX-XXI (1951-52), pp. 6-16 (con ulteriore bibliografia).