ARGENTERIO, Giovanni
Nacque a Castelnuovo d'Asti nel 1513. Iniziò gli studi di medicina ed arti nello studio di Torino e li completò a Parigi, dove s i addottorò il 22 giugno 1534. Subito dopo prese ad esercitare la medicina a Lione, chiamato in questa città dal fratello maggiore Bartolomeo, anch'egli medico. Nel 1540 si trasferì ad Anversa e vi esercitò la professione sino al 1543, allorché, preceduto da una grande rinomanza di pratico, decise di tornare in Italia, indottovi anche dal cardinale Nicolò Gaddi, vescovo di Fermo. A Venezia l'A. fu ospite del patrizio fiorentino Pietro Carnesecchi, alla cui amicizia dovette l'incarico, affidatogli da Cosimo de' Medici nel 1543, di professore di medicina teorica nello Studio di Pisa. Nel 1548 fu trasferito alla cattedra di medicina pratica, ma nel 1555, preoccupato per la guerra di Siena che travagliava la Toscana, accettò l'invito di insegnare a Napoli, rinunziando ad un contemporaneo invito dell'università di Torino.
Nel 1560 Emanuele Filiberto gli offrì la cattedra di medicina teorica ordinaria nello Studio di Mondovi, allora in formazione, e l'A. abbandonò l'importante sede di Napoli per la piccola università piemontese, con l'intento di costituirvi, nella piena libertà d'azione concessagli da quel principe, una nuova scuola medica. L'A. prese possesso della cattedra, dopo un breve periodo trascorso a Roma per tenervi alcune lezioni, il 6 genn. 1561. Nel 1566 Emanuele Filiberto lo chiamo alla cattedra di medicina pratica di Torino, dove l'A. morì il 13 maggio 1572.
L'opera dell'A. si pone in una complessa e delicata fase dello sviluppo della nuova scienza, non quella che si rifà per lo più a una diretta osservazione dei fatti più salienti della natura, bensì quella che dall'interno di un pensiero scientifico legato a forme tradizionali opera una profonda ed a volte rivoluzionaria revisione critica dei suoi principi. Non manca certamente all'A. una chiara consapevolezza dell'importanza dell'osservazione e spesso un esplicito impegno a perseguirla. Questa non viene però da lui rivolta al campo dell'anatonùa, bensì al campo dell'arte medica, ai fenomeni dell'uomo sano e malato che questa incontra. Ma la stessa raccolta e riflessione sui nuovi dati d'osservazione non poteva fare a meno di scherni di inquadramento e di concetti generali che erano arora, necessariamente, quelli della tradizione galenica. Il compito che si offriva quindi all'A. e ad altri suoi contemporanei era quello di supe~ rare i presupposti teorici della fisiologia e della patologia già formulati da Galeno e strettamente legati alla fisica e alla cosmologia aristotelica e stoica. Si trattava di trovare concetti e teorie forse meno rigidamente concatenati in una costruzione sistematica, forse più superficiali e generici, ma comunque più adatti nella loro empiricità a sostenere e raccogliere i dati sempre più numerosi dell'osservazione.
La critica più importante dell'A. si rivolge alla fisiologia dei tre spiriti (naturale, vitale e animale) ed alla loro gerarchica localizzazione nel fegato, nel cuore e nel cervello. Le insufficienze non solo della trattazione galenica a loro rìguardo, ma anche di valide conferme empiriche spingono il medico piemontese a preferire una concezione più direttamente ispirata ad Aristotele, le cui opere biologiche venivano sempre più diffondendosi dall'inizio dei secolo sedicesimo. Egli sostituisce così ai tre spiriti galenici un solo spirito vitale costituito dal calore innato e risiedente nel sangue.
Oltre la critica alla fisiologia pneumatica di derivazione stoico-galenica, egli rivolge una critica alla fisiologia delle quattro qualità elementari (caldo, freddo, secco e unìido), qualità che tradizionalmente spiegavano con il loro vario combinarsi le molteplici proprietà empiriche dell'organismo. Queste proprietà come la durezza, l'asprezza e simili debbono essere accettate come tali, costituendo, nella loro irriducibilità a qualità più elementari, la materia stessa di cui l'organismo è costituito nelle sue parti solide. Queste parti materiali solide, che con i quattro umori della tradizione ippocratica compongono tutta la fabbrica del corpo, non sono sede di facoltà specifiche direttive (come lo erano per Galeno il fegato, il cuore ed il cervello), ma sono dotate di facoltà più omogeneamente distribuite e presentanti caratteri più esplicitamente empirici (facoltà attraente, ritenente, alterante ed espellente). Per quanto riguarda i quattro umori (sangue, bile giaua, bile nera, flemma), essi svolgono ancora un ruolo importante, ma fra essi domina il sangue, attraverso il quale si diffonde per tutto l'organismo lo spirito o calore vitale. Il sangue inoltre non viene più ad essere prodotto dal fegato bensì direttamente dalle vene e lo spirito vitale, che attraverso esso si diffonde, dirige e condiziona le varie funzioni corporee, determinando così il sonno e la veglia con la sua diminuita o accresciuta influenza sugli organi di senso e di movimento, o altre funzioni come quella della cozione degli umori. Questo spirito è una sostanza vaporosa più densa dell'aria nella quale viene espirato, ma non possiede per l'A. quella proprietà' che il suo contemporaneo Giovanni Fernel gli attribuiva, di mezzo fra l'anima divina ed il corpo.
Nella sua concezione delle malattie egli non manca di riconoscere, con la tradizione galenica, quelle dovute a una alterazione del "temperamento" fra le qualità elementari (intemperies), ma vi pone accanto quelle altre che colpiscono solo le sue singole parti (materia laxa aut stricta, mollis aut dura, ecc.). Ciò che risulta più importante è tuttavia la sua convinzione, forse derivata dal Femel' dell'esistenza di un terzo tipo di infernùtà, alle quali aveva già fuggevolmente accennato Galeno, e cioè dei morbi totius substantiae.Queste erano infermità che colpivano l'organismo globalmente e non in qualche sua parte o qualità; un esempio tipico di esse era costituito dai morbi venefici e contagiosi. L'importanza di questo morbus totius substantiae non consisteva soltanto nel riconoscimento che l'organismo si comporta come una totalità, ma soprattutto nel dischiudere una problematica nuova della ricerca causale. Ci si disponeva cioè ad ammettere l'esistenza di nuove cause esterne delle malattie o addirittura di cause occulte di esse, via quest'ultima che porterà all'enorme valorizzazione della magia per lo studio dell'uomo. Un particolare interesse filosofico sulla definizione e suddivisione delle cause è d'altronde presente nell'A. come pure in Fernel, forse per un indiretto influsso degli scritti di Pietro Ramo.
Un altro significativo elemento di distacco del nostro autore dalle concezioni galeniche si rivela nel modo di agire dei farmaci, non più considerati come apportatori di qualità elementari componentisi con quelle dell'organismo, bensì come principi ad esso estranei ed ai quali l'organismo reagisce in base ad un principio di antipatia o simpatia.
Un carattere indubbiamente peculiare di tutta l'opera dell'A., manifestantesi anche negli scritti che seguono la forma letteraria tradizionale (come il commento all'Ars parva di Galeno, ritenuto il suo capolavoro), è costituito dal suo impegno logico formale e dalla sua preoccupazione metodologica. Egli giunge così a definire quale metodo piùadatto alla medicina quello risolutivo (analitico, induttivo). La medicina riesce infatti difficilmente a formulare le sue conoscenze in modo dimostrativo con il metodo compositivo (sintetico, deduttivo) e perciò non può considerarsi propriamente scientia.Da ciò deriva la preminenza della ricerca empirica, la quale sola ci permette di classificare le malattie in base ai segni che è possibile raccoglierne. Il diverso carattere e la diversa combinazione dei segni raccolti permettono cosi all'A. una esposizione delle malattie e dei sintomi sulla base delle distinzioni tradizionali del genus, della differentia e ove possibile della causa.
Opere: De erroribus veteruni medicorum, Venetiis 1533 (l'esistenza di questa edizione è dubbia), Florentiae 1553; De morbis libri XIV, Lugduni 1548, 1558, Florentiae 1556; De consultationibus medicis, sive, ut vulgus vocat, de collegiandi ratione, Florentiae 1549, 1551, Parisiis 1552, 1557; De causis morborum et de officiis medici, Florentiae 1549; Opera varia, Florentiae 1550; De calidi significatione et de calido nativo liber, Parisiis 1550, Venetiis 1606; In artem medicinalem Galeni commentarii tres nempe de corporibus de signis et de causis salubribus, Parisiis 1553, 1578, 1618, Monteregali 1566, Florentiae 1568; Oratio Neapoli habita in initio suarum lectionum anno 1555, Neapoli 1556; De somno et de vigilia, item de spiritibus et de calido innato libri duo, Florentiae 1556, 1566, Lugduni 1560, Monteregali 1566, Parisiis 1568; Methodus dignoscendorum morborum tradita ab Argenterio, nunc aucta a Francisco Le Thilleux, Nannetibus 1581; De urinis liber, Ludguni 1591, Lipsiae 1682; Opera omnia, Venetiis 1592, 1606, Hanoviae 1610 (l'edizione più completa), Francofurti 1615; nell'edizione di Venezia del 1606 curata dal figlio Ercole furono aggiunti gli scritti inediti De febribus in librum Galeni; De febribus ad Glauconem; De peste et pestilentibus febribus; De febribus malignis non contagiosis; De febribus hecticis; De vi purgantium medicamentorum.
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