ARGIROPULO, Giovanni
L'anno della sua nascita, avvenuta certamente a Costantinopoli, sembra potersi fissare con buona approssimazione intorno all'anno 1415. Nulla si sa della sua prima giovinezza e, in genere, della sua vita prima che eglivenisse initalia, a parte la notizia (da lui stesso fornita in una lettera al Trapezunzio) che fin da fanciullo si era dedicato con ardore allo studio della filosofia. In Italia egli comparve per, la prima volta nel 1438, in occasione del concilio di Ferrara e di Firenze, e certo fin d'allora ebbe modo di entrare in rapporto col Filelfo, che gli rimase poi sempre amico, e con altri umanisti italiani. Dopo un breve soggiorno a Costantinopoli nel 1441, ritornò nello stesso anno in Italia, e precisamente a Padova, dove fu ospite di Palla Strozzi e frequentò l'università fino ad ottenere il titolo onorifico di "rector artistarum et medicorum" e a conseguire, nel 1444, il dottorato. Fra il 1448 e il 1452 lo si ritrova ancora a Costantinopoli, insegnante di filosofia nello Xenon (qui in particolare tenne, come egli stesso ricorda nella citata lettera al Trapezunzio, lezioni intorno alla fisica e alla logica di Aristotele) e fautore dell'unione della Chiesa greca con la romana, come documenta, fra l'altro, una sua ᾿Αναϕορά a Niccolò V, scritta appunto in questo periodo, e che contiene una esplicita professione di fede cattolica romana. Dopo la caduta di Costantinopoli, anch'egli, come tanti altri dotti bizantini, cercò rifugio in Italia, e infine, dopo varie traversie, trovò onorevole sistemazione a Firenze, dove venne nominato, nell'ottobre del 1456, pubblico insegnante nello Studio, incarico che egli mantenne per quindici anni, fino al 1471.
Il merito di aver proposto e sostenuto questa nomina deve essere riconosciuto soprattutto a Donato Acciaiuoli, il quale, aiutato dal fratello Pietro, da Alamanno Rinuccini e da altri giovani fiorentini desiderosi di istruirsi essi stessi e di elevare il tono culturale della loro città, riuscì a vincere le resistenze opposte dai rappresentanti della vecchia generazione umanistica, come Poggio Bracciolini, e di altri, come il Landino, invidiosi forse della fama del dotto bizantino.
Come già a Costantinopoli, i suoi corsi pubblici nello Studio furono dedicati, per quanto si sa, esclusivamente alla lettura e al commento di testi aristotelici, all'Etica Nicomachea anzituttoe poi al De anima, alla Fisica, alla Metafisica, al De coelo;e altri scritti aristotelici, i logici, costituirono l'argomento di lezioni da lui tenute, privatamente ad un ristretto gruppo di scolari, capeggiati naturalmente dall'Acciaiuoli. Ad integrazione appunto di queste lezioni pubbliche e private egli tradusse in latino l'Etica Nicomachea, il De anima, la Fisica, i primi dodici libri della Metafisica, il De coelo, il De interpretatione, gli Analitici, i Praedicamenta: traduzioni che ebberogrande diffusione tra gli studiosi non solo fiorentini, ma anche italiani ed europei. Non bisogna tuttavia credere che la filosofia aristotelica costituisse per l'A. l'"unica" filosofia degna di insegnamento. Il suo interesse andava al pensiero greco inteso nel suo complessivo svolgimento, "come una riflessione che si approfondisce, si integra e si completa, ma non rappresenta scuole o posizioni contrastanti o, tanto peggio, inconciliabili" (Garin). Pertanto, nei suoi corsi pubblici e privati, mentre da un lato cercava di interpretare, traducendo e commentando, Aristotele in modo storicamente esatto, mostrandone le connessioni con i pensatori che lo avevano preceduto o da lui avevano preso le mosse, e, in particolare, rispondendo alle esigenze di quegli scolari che rappresentavano, come l'Acciaiuoli, la tendenza "civile" dell'Umanesimo fiorentino, illustrava l'Aristotele morale e politico; dall'altro veniva esponendo con impegno non meno vivo, negli stessi corsi aristotelici e in conversazioni private, le teorie filosofichee specialmente teologiche di Platone ("Platonis opiniones atque arcana illa et reconditam disciplinani diligenter aperuit" testimonia l'Acciaiuoli stesso; e sappiamo anche che spiegava il Menone) e dei neoplatonici (curò un'edizione del testo completo delle Enneadi plotiniane), e dava cosi un impulso decisivo a quell'orientamento platoni zzante ed evasivo che era destinato a prevalere nei decenni successivi con Lorenzo il Magnifico, col Ficino, col Landino, col Poliziano, i quali tutti, non bisogna dimenticarlo, furono anch'essi suoi allievi o assidui ascoltatori. In tal modo l'insegnamento dell'A. viene ad assumere un posto assai importante nel complesso quadro della cultura fiorentina della seconda metà del Quattrocento: importanza del resto già esplicitamente riconosciuta dagli esponenti dell'una e dell'altra tendenza a cui si è accennato, come l'Acciaiuoli, che poneva quell'insegnamento al centro di tutto il rinnovato fervore intellettuale e artistico della sua città, e il Poliziano, che in un noto epigramma greco (XII) supplicava il maestro lontano, in nome di "quanti erano ricercatori della sapienza immortale", affinché tornasse a Firenze a scacciare dai loro occhi "le tenebre e la caligine".
Quando il Poliziano scriveva questo epigramma, nel 1473, l'A. era infatti a Roma, dove si era trasferito verso la metà dell'agosto del 1471. Le ragioni di questo trasferimento non sono del tutto chiare. Sembra certo che esse non debbano ricercarsi in contrasti con l'ambiente fiorentino, con il quale l'A. rimase in ottime relazioni anche dopo la sua- partenza, come testimonia, oltre all'epigramma ricordato del Poliziano, il tono cordialissimo delle lettere scambiate con Lorenzo il Magnifico. Molto probabilmente egli fu spinto a recarsi a Roma - e la data della sua partenza lo confermerebbe - dalla notizia dell'elezione al pontificato di Sisto IV, suo antico compagno-di studi a Padova, e dalla speranza di ottenere, con l'aiuto di lui, una sistemazione davvero soddisfacente presso la corte papale. In realtà questa speranza non dovette realizzarsi. Il Reuchlin ricorda di averlo ascoltato leggere e spiegare Tucidide a Roma, ma nessuna notizia si ha di un suo insegnamento regolare né di altri incarichi a lui affidati in questa città. Si sa invece che egli già verso il 1475 tentò, per mezzo del Filelfo, di farsi richiamare a Firenze: dove potè ritornare in effetti nel 1477, per rimanervi, insegnante di nuovo nello Studio, fino al 1481. Intorno a questo secondo insegnamento fiorentino mancano particolari; così come resta ignota la ragione per cui, appunto nel 1481, fece di nuovo ritorno a Roma, a meno che non si debba pensare a rivalità col Calcondila, insegnante nello Studio dal 1475, e soprattutto col Poliziano, il quale nel 1480 aveva cominciato a tenere i suoi corsi di eloquenza greca e latina. A Roma trascorse gli ultimi anni della sua vita, assai miseramente, se è vero che, come afferma il Lascaris, "era costretto a vendere i suoi libri per cambiarli col pane quotidiano"; e qui si spense il 26 giugno 1487.
Un elenco completo delle opere edite dell'A. è nel vol. di G. Cammelli cit. più avanti, pp. 183-87. Qui basterà citare, tra gli scritti in greco, quelli pubblicati da Sp. P. Lampros nel vol. cit. più avanti: l' ᾿Αναρορά già ricordata a papa Nicolò V, una Μοῳδία a Giovanni Paleologo, due consolatorie a Costantino Paleologo, un trattato Περὶ βασιλεία dedicato allo stesso, e alcune lettore, tra cui tre di carattere polemico al Trapezunzio.
Degli scritti in latino sei prefazioni ai corsi fiorentini su Aristotele (fra cui la più notevole è la prima, intorno all'Etica) sono state pubblicate da K. Muellner nel vol. Reden und Briefen italienischer Humanisten, Wien 1899, pp. 3-56. Le traduzioni latine di scritti aristotelici sono state più volte edite (cfr. C. Frati, Le traduzioni aristoteliche di G. A. e un'antica legatura medicea, in La bibliofilia, XIX [1917-18], pp. 1-25; e G. Cammelli, A., in Repertorio degli umanisti italiani, fasc. di saggio, 1943, p. 1; e sulle copie manoscritte si vedano le indicazioni di E. Garin, in Le traduzioni umanistiche di Aristotele nel secolo XV.cit. più avanti). Dei corsi su Aristotele rimangono appunti inediti di Donato Acciaiuoli, conservati nel fondo Strozziano della Nazionale di Firenze (e su cui cfr. ancora l'art. cit. di E. Garin). Di un trattatello inedito De institutione eorum qui in dignitate constituti sunt, compiuto probabilmente nel 1473 e conservato nel Vat. Lat. 5811, ff. 1-31, ha dato notizia A. Perosa, in Leonardo, XV (1946), pp. 265-6. Sul Par. gr. 1970, che contiene le Enneadi trascritte dall'A., cfr. P. Henry, Les manuscrits des Ennéades, Bruxelles 1948, pp. 91-6. Come opera dell'A. è stata pubblicata una Dialectica ad Petrum de Medicis, da D. M. Inguanez e D. G. Müller, Montis Casini 1943, ma recentemente ne è stata sostenuta l'attribuzione al Trapezunzio da C. Vasoli, La "dialectica" di Giorgio Trapezunzio, in Atti e Memorie dell'Accademia La Colombaria, XXIV(1959-60), p. 313.
Bibl.: Opera fondamentale è la monografia di G Cammelli, G.A., Firenze 1941 (alla quale si rimanda anche per più minute indicazioni bibliografiche). Fra i lavori precedenti possono tuttavia essere ancora consultati utilmente G. Zippel, Per la biografia dell'A., in Giorn. stor. d. letter. ital., XXVIII(1896), pp. 92-112 (dove è per la prima volta sottolineata l'influenza dell'A. sul neoplatonismo fiorentino); G. Manacorda, Sull'insegnamento dell'A., ibid., XXXI(1898), p. 464 (sul secondo insegnamento fiorentino); Sp. P. Lampros, ᾿Αργυροπούλεια, Atene 1910 (su cui cfr. N. Festa, in Atene e Roma, XIII [1910], pp. 366-71). Fra i lavori contemporanei o successivi al volume del Cammelli hanno particolare importanza quelli di E. Garin, Ενδελεκεια e ὲντελέκεια nelle discussioni umanistiche, in Atene e Roma, s. 3, V(1937), pp. 177-87 (sulla famosa questione filologica e filosofica iniziata appunto dall'A.); Le traduzioni umanistiche di Aristotele nel secolo XV, in Atti e memorie dell'Accademia La Colombaria, XVI (1947-1950, ma 1951), pp. 55-104 (in particolare, sulle traduzioni aristoteliche dell'A., pp. 82-87); La fortuna dell'etica aristotelica nel '400, in Rinascimento, I (1951), pp. 43-76; e soprattutto Donato Acciaiuoli cittadino fiorentino, in Medioevo e Rinasc., Bari 1954, pp. 221-87 (per la posizione dell'A. nella cultura fiorentina della seconda metà del Quattrocento).