ARMENISE, Giovanni
Nacque a Bari il 24 maggio 1897 da Giuseppe, facoltoso notaio, e da Adriana Milella. Diplomato ragioniere, fu nazionalista nel 1915 e ufficiale dei bersaglieri nella prima guerra mondiale. Nel dopoguerra intraprese un'intensa attività di importazione - fu concessionario in esclusiva per l'Italia dei prodotti farmaceutici Odol - accumulando fin dai primi anni Venti una discreta fortuna che investì nell'acquisto di vasti possedimenti terrieri (circa 2500 ettari) nella zona dei Castelli Romani (comuni di Ariccia, Nemi, Rocca di Papa, Genzano, paese del quale sarebbe stato podestà dal 1936 al 1942). Vi impiantò una grande azienda per la produzione di bulbame da fiori e piante ornamentali, grazie al cui sviluppo contribuì alla sistemazione idrogeologica dei terreni e alla costruzione delle infrastrutture produttive e sociali (acquedotti, strade, abitazioni, ecc.). Per questa iniziativa nell'aprile 1938 funominato cavaliere del lavoro.
Atipica figura di operatore economico che anche nell'attività produttiva agricola si mosse in una logica imprenditoriale di tipo capitalistico, l'A. fu consigliere della Società anonima per l'industria del vetro (SAIV, fabbrica di bottiglie con stabilimento a Fiumicino, costituita nel 1924, con capitale versato di L. 8.000.000) e, a partire dalla metà degli anni Trenta, nell'ambito della produzione agricola e dell'imprenditoria immobiliare, figurò come amministratore unico di diverse società, tra le quali la Società italiana anonima miglioramenti agrari (SIAMA, costituita nel 1931, con capitale versato di due milioni di lire nel 1939), la Immobiliare Roma-Trieste anonima (IRTA, costituita nel 1922, con capitale versato di L. 2.500.000), la Società emiliana immobiliare (costituita nel 1901, con capitale versato di L. 330.000), la Società anonima immobiliare industriale agricola (costituita nel 1935, con capitale versato di L. 600.000), la Società Omnia immobiliare industriale agricola (SOIIA, costituita nel 1935, con capitale versato di L. 2.800.700 nel 1939), la Immobiliare agricola Sorano (con superficie di 2.500 ettari, costituita nel 1937, con capitale di L. 8.000.000), la Monte Pendolo (costituita nel 1940, con capitale di L. 900.000).
Fu inoltre presidente del consiglio di amministrazione dello Stabilimento minerario del Siele (società fondata nel 1905, con sede a Livorno), per la produzione del mercurio dalla miniera Piancastagnaio (Monte Amiata) di proprietà della società stessa, in un periodo di particolare sviluppo dell'attività estrattiva e di esportazione. La società - con stabilimento presso Santa Fiora (Grosseto) - ebbe una ricapitalizzazione nel 1938 che portò il capitale versato da 25.344.000lire a 32.947.200 (per la ricostruzione delle vicende di questa società si veda la serie Taccuino dell'azionista, per gli anni relativi).
Legatosi all'ambiente del corporativismo agrario romano (la probabile data della sua iscrizione al Partito nazionale fascista è l'ottobre 1939), l'A. fupresidente dell'Unione provinciale fascista agricoltori (settembre 1936-febbraio 1940), vicepresidente della sezione agricola e forestale del Consiglio provinciale delle corporazioni, presidente del Consorzio provinciale tra i produttori dell'agricoltura (istituito nel 1939), presidente del Consorzio, orto-floro-frutticolo, presidente del Consorzio laziale produttori latte, membro della Commissione consultiva dei mercati all'ingrosso dei servizi annonari del governatorato di Roma.
Come presidente dell'Unione fascista agricoltori della provincia di Roma pose mano ad un importante intervento nel Velletrano col mutare la colonia perpetua in piccola proprietà, emancipando quindi la figura prevalente del colono dai tradizionali vincoli di dipendenza (in gran parte retaggi feudali) e trasformandolo in piccolo proprietario coltivatore.
L'A. venne rapidamente edificando una potenza economica che gli consentì di inserirsi nei ruoli del potere politico previsti dall'ordinamento corporativo, fino al compimento della sua maggiore impresa economica: il salvataggio e il potenziamento della Banca nazionale dell'agricoltura, operazione nella quale concorsero in modo determinante il prestigio imprenditoriale, la notevole disponibilità di liquidità e i forti legami politici.
Allorché fu manifesta la crisi della Banca nazionale dell'agricoltura (istituto di credito sorto nel 1921 con prevalenti finalità di finanziamento del credito agrario), le sorti della banca, probabilmente per intervento dello stesso Mussolini, vennero affidate (alla fine del 1936) alla Confederazione fascista degli agricoltori che, a sua volta, nel giugno 1937, nominò l'A. amministratore delegato con pieni poteri. L'A. - che partecipò anche in proprio all'operazione sottoscrivendo una forte quota azionaria (fece acquistare dallo Stabilimento minerario del Siele, del quale possedeva circa un terzo delle azioni, il trenta per cento delle azioni della banca) - manifestò particolari capacità gestionali ed amministrative, tanto da inserire nel volgere di pochi anni la BNA tra i più importanti istituti di credito italiani.
Con l'A. la BNA svolse un'attiva campagna a sostegno delle iniziative di politica economica del governo: partecipò alla politica autarchica, in particolare degli ammassi agricoli (grano, canapa, riso, lana, cruscami, bozzoli e granoturco), cooperò all'emissione di prestiti obbligazionari sotto l'egida dell'IRI ed operò un sussidio tecnico-finanziario per la raccolta e la distribuzione dei prodotti alimentari (soprattutto nel settore zootecnico). Con la guerra, la BNA partecipò al finanziamento bellico con un cospicuo assorbimento in proprio dei buoni del tesoro ed il rastrellamento di prestiti presso la clientela.
La BNA ebbe infatti due ricapitalizzazioni nel 1938. La prima (10 febbraio) portò il capitale versato da 30 a 50 milioni e la seconda (30 marzo) a 60, in entrambi i casi mediante l'emissione di azioni privilegiate nel dividendo. Il quotidiano romano IlMessaggero del 4 dic. 1940, nel dare notizia di un incontro tra l'A. e Mussolini, riportava un sintetico paragone tra le cifre del 1937 e quelle del 1940: "I titoli di proprietà sono passati da 66 milioni a 272, i depositi a risparmio e in conto corrente da 347 milioni a un miliardo e 120 milioni, i finanziamenti di credito agrario da 61 a 87 milioni, i finanziamenti degli ammassi da 184 a 434 milioni, il numero dei libretti di deposito da 100 mila a 136 mila".
Un giudizio sull'operato finanziario della BNA durante l'amministrazione dell'A., può rinvenirsi nella relazione del commissario straordinario Ezio Vanoni all'assemblea degli azionisti del 26 ott. 1945: "L'esame analitico che ho fatto effettuare dei fatti caratteristici e dei risultati degli esercizi successivi al 1936 ha … confermato … il costante sviluppo e il notevole consolidamento della vostra banca. Nel periodo considerato la banca non solo riusciva a colmare il disavanzo patrimoniale residuato dalla crisi che l'aveva travagliata negli anni precedenti, ma perveniva ad affermarsi in una posizione preminente tra gli istituti di credito interregionali e per l'ammontare delle disponibilità e per il volume degli affari e per la bontà dei risultati economici. Tutto questo va certamente ascritto a merito delle amministrazioni che si sono succedute e in particolare del conte G. Armenise che ne ha diretto l'azione" (Banca nazionale dell'agricoltura, Relazioni e bilancio al 31 dic. 1944, p. 10).
Nel 1938, l'A. divenne presidente del consiglio d'amministrazione delle società editrici Il Giornale d'Italia (società della quale fu pure consigliere delegato, comprendente anche le testate Il Piccolo, La Voce d'Italia e IlGiornale d'Italia agricolo) e La Tribuna (comprendente anche le testate Tribuna illustrata e Il Travaso delle idee), colmando in pochi anni il disavanzo che si era prodotto con le precedenti amministrazioni. I giornali, acquistati dalla Confederazione fascista degli agricoltori, nel 1942 sarebbero stati rivenduti alla Banca nazionale dell'agricoltura.
Nel 1939 entrò nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni (XXX legislatura, 1939-1943). Fu membro della commissione Bilancio e relatore di alcuni disegni di legge. In quegli stessi anni era divenuto membro del collegio sindacale della giunta esecutiva del consiglio nazionale della Confederazione fascista agricoltori e rappresentante per l'agricoltura dei datori di lavoro nella Corporazione della previdenza e del credito.
Con la caduta del fascismo (luglio 1943) e il successivo modificarsi del fronte interno a mano a mano che gli alleati risalivano la Penisola, l'amministrazione della BNA predispose un complesso meccanismo di deleghe che non fece gravare se non temporaneamente sulla banca la divisione del territorio nazionale. Il 10 ag. 1944, poco dopo la liberazione di Roma, l'A. presentò le proprie dimissioni da amministratore delegato dell'istituto ed il 14 agosto la sottocommissione finanziaria del comando alleato di controllo nominava Vanoni commissario della banca. L'A. non avrebbe comunque reciso i rapporti con l'istituto di credito (che, anzi, continuò nella sostanza a dirigere nella qualità di consulente finanziario, mantenendo una quota rilevante del pacchetto azionario) e seguitò a controllare, anche tramite suoi uomini di fiducia, il gruppo editoriale e lo stabilimento minerario.
Il 13 ott. 1944 l'alto commissario per le sanzioni contro il fascismo spiccò contro l'A., che si sottrasse con la latitanza, un mandato di cattura per il reato di collaborazionismo con i Tedeschi durante l'occupazione di Roma, in relazione all'atteggiamento tenuto dal Giornale d'Italia, dalla Tribuna e dal Piccolo; ma il Tribunale di Roma, con sentenza del 15 febbr. 1945, prosciolse l'A. "per non aver commesso il fatto". Lo stesso alto commissario, sulla base di una relazione della polizia tributaria, il 5 dic. 1945 ipotizzò per l'A. reati relativi a operazioni speculative su titoli e a profitti di regime; il 27 febbr. 1946 la sezione istruttoria della Corte d'appello di Roma ritenne doversi ordinare l'archiviazione della pratica.
L'A. - che, tra le varie onorificenze, aveva ricevuto dal re il titolo di conte dell'Artemisio - non subì che in lieve misura il crollo del fascismo (del resto, come finanziere, egli non fu ritenuto, per quanto risulta dalle rispettive sentenze, organicamente fascista, pur essendo riuscito a creare un fortunato tramite tra politica e potere economico). Pertanto, dopo la Liberazione, eccetto un breve periodo di isolamento in concomitanza con i processi, egli poté riprendere speditamente l'attività imprenditoriale.
Fu infatti presidente del consiglio d'amministrazione della Leo - Industrie chimiche farmaceutiche s.p.a. (società costituita il 19 giugno 1947, con stabilimento a Roma al decimo chilometro della via Tiburtina, la prima azienda italiana produttrice di penicillina, che ebbe l'effetto di rendere l'Italia sostanzialmente autosufficiente nella produzione del farmaco, inaugurata nel settembre 1950 alla presenza di Alexander Fleming che la giudicò tra le più grandi e moderne fabbriche di antibiotici d'Europa.
La Leo, costituita con capitale di L. 1. 200.000 - in azioni da L. 1.000 - fu ricapitalizzata dall'assemblea del 23 sett. 1947, che portò il capitale a L. 99.996.000, da quella del 2 luglio 1949 (L. 350.000.000), e da quella del 29 ott. 1949 (L. 500.000.000).
L'A. morì improvvisamente a Roma il 20 febbr. 1953.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del Duce (carteggio ordinario), b. 398, f. 147633; b. 1222, f. 509709; Banca nazionale dell'agricoltura, Relazioni e bilancio, esercizi 1937, 1938, 1939, 1940, 1941, 1944; Atti parlamentari, Camera dei deputati, legisl. XXX (Camera dei Fasci e delle Corporazioni), ad Indices; Guida Monaci. Annuario generale di Roma e del Lazio, 1926-1943, ad Indices; Società italiane per azioni. Notizie statistiche, XV (1937), XVIII (1953), con indici alfabetici per azienda; Il Giornale d'Italia, 23 sett. 1950, 22 febbr. 1953; Artefici del lavoro italiano, Roma 1956, pp. 495; G. Mori, Il capitalismo industriale in Italia, Roma 1977, p. 410; P. Murialdi, La stampa quotidiana del regime fascista, in N. Tranfaglia-P. Murialdi-M. Legnani, La stampa italiana nell'età fascista, Roma-Bari 1980, p. 97; G. De Luna, I "Quarantacinque giorni" e la repubblica di Salò, in G. De Luna-N. Torcellan-P. Murialdi, La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Roma-Bari 1980, pp. 13, 69; P. Murialdi, Dalla Liberazione al centrosinistra, ibid., pp. 187, 199; G. Ciano, Diario 1937-1943, Milano 1980, pp. 592 s.; G. Bottai, Diario 1935-1944, Milano 1982, ad Indicem. Siringrazia il dott. Giuseppe Barillà, direttore dell'ufficio stampa della Banca nazionale dell'agricoltura, per la cortese collaborazione e per aver messo a disposizione le sentenze dei procedimenti processuali.