BALIANI, Giovanni Battista
Nacque a Genova nel 1582. Il rango della sua famiglia lo costrinse a seguire le orme del padre, senatore della Repubblica genovese, avviandolo alla carriera politicoamministrativa, che percorse con onore raggiungendovi le più alte cariche. Di essa si conoscono momenti frammentari. Ricoprì nel 1611 a Savona la carica semestrale di prefetto della rocca. Nominato governatore di Sarzana nel 1623, entrò a far parte del Senato genovese nel luglio 1624. Procuratore insieme a G. S. Doria nel 1629, fu tra i promotori della costruzione del convento di S. Bernardo. Come governatore tornò a Savona nel 1647, segnalandosi per un deciso e abile intervento, in collaborazione con Giannettino Doria, che evitò uno scontro navale nel porto tra una squadra francese al comando del duca di Richelieu e una napoletana. Entrò a far parte infine dei dodici padri del Senato.
Pur assorbendo gran parte delle sue energie, questo impegno politico non esaurì tutta l'attività del B., lasciando anzi largo margine al dispiegarsi della sua più schietta e congeniale tendenza alla ricerca scientifica, che fu preceduta in età precoce da una inquieta e intensa dedizione agli studi filosofici e letterari. Conquistato presto dalla febbrile atmosfera scientifica degli inizi del sec. XVII, trovò nella metodologia sperimentalista delle nuove scienze il terreno naturale in cui mettere a frutto la sua ostinata indipendenza di giudizio, l'ansia di nuovi orizzonti sperimentali e la stanchezza per il dogmatismo peripatetico. Dedicatosi allo studio dei più difficili e dibattuti problemi teorici e operativi della fisica (equilibrio meccanico delle masse e moto naturalmente accelerato), vi diede soluzioni decisive, anche se controverse e macchiate da una vicenda piuttosto oscura di dissimulate appropriazioni che finì col trascinare il suo nome in una vasta polemica europea, mantenutasi viva per più di un secolo dopo la sua morte.
In tale vicenda il nome del B. è strettamente associato a quello di Galileo, col quale entrò indirettamente in contatto nel 1613 tramite F. Salviati. La presentazione epistolare che il Salviati fece del B. - "che si ride di Aristotile e di tutti i Peripatetici" e che "a molte cose mi ha date l'istesse ragioni che ho intese da lei" (Galilei, Opere, XII, p. 610) - impressionò Galileo, che scrisse direttamente al B. il 25 genn. 1614. Era l'inizio di un dialogo scientifico interrottosi solo con la morte del pisano. Di esso sono notevoli tra l'altro la discussione del 1614 in cui Galileo caldeggiava le ragioni del sistema copernicano a un B. propenso a dar credito all'ipotesi tychoniana (ibid., pp. 33-35), la lettera del B. del 4 apr. 1614 in cui comunicava a Galileo una sua invenzione di una tecnica per cuocere senza fuoco, che è la prima verifica sperimentale della trasformazione dell'energia in calore (ibid.,pp. 44 s.), e altre importanti notizie su intuizioni del B. circa le proprietà spaziali del ghiaccio rispetto a quelle dell'acqua, contro le ipotesi di S. Stevin, L. Froidmont e M. Mersenne (v. Correspondance du P. M. Mersenne, I, p. 524; III, p. 71). Ma il risultato più interessante di questi primi contatti, più che la singolare coincidenza su alcune esperienze, è la piena convergenza sul piano metodologico tra il B. e Galileo. Alla prima lettera di Galileo, affermante "... il Sig. Filippo ... mi scrive aver trovato gran conformità tra le sue speculazioni e le mie; di che non mi sono meravigliato, poiché studiamo sopra il medesimo libro e con i medesimi fondamenti", il B. fa eco con affermazioni di questa natura: "E invero io mi sono sempre riso di tutte le conclusioni filosofiche che non dipendano (oltre quelle che sappiamo essere vere per lume di fede) o da dimostrazioni matematiche o da esperienze infallibili; ... io conosco aver incartato più volte nell'istesse sue opinioni; il che ... non è per altro che per aver ambidue studiato nello stesso libro ..." (Galilei, Opere, XII 1, pp. 19 s.).
Tutto ciò indusse Galileo a intavolare negli anni 1614-16 le trattative con F. Cesi per l'iscrizione del B. tra i Lincei.
La proposta ufficiale e l'elogio furono fatti da Galileo stesso nella seduta accademica del 26 genn. 1616, il cui verbale riporta "... maximopere laudavit animi candorem, ingenii sublimitatem, morum suavitatem et verum philosophandi modum" (ibid., XIX, p. 268).
Nei primi mesi del 1615 il B. andò a Firenze a conoscervi di persona il suo grande corrispondente, ed ebbe con lui decisivi colloqui in cui poté approfondire il problema del moto naturalmente accelerato, che doveva essergli ancora oscuro, seppur non ignoto, se da Genova poi scriveva a Galileo, il 17 giugno 1615, di essere rimasto curioso di conoscere "la vera cagione di quelle tante conclusioni, e così belle, delle velocità dei moti", e nella speranza di veder presto apparire il trattato che Galileo gli "disse haverne sbozzato" (ibid., XII, p. 186). Durante il viaggio di ritorno da Firenze il B. conobbe a Pisa B. Castelli, il quale ebbe di lui tanta stima da inviargli la celebre lettera di Galileo a lui diretta sui limiti dell'autorità della Bibbia in materia di scienza.
A Castelli molti anni dopo - il 20 febbr. 1627 - il B. comunicò di aver iniziato un trattato sul moto dei liquidi e già scritto uno sul moto dei solidi, nel quale aveva dimostrato "con principi molto diversi" la proposizione - già comunicatagli da Galileo senza addurne una ragione definitiva, ma solo quella probabile che "solo in questa proporzione più o meno spazi servano sempre l'istessa proporzione" - che l'incremento di velocità dei corpi nel moto naturalmente accelerato segue la ragione dei numeri dispari. Tuttavia alle immediate sollecitazioni di Castelli per vedere il trattato il B. rispose stranamente sulla negativa adducendo lo stato di semplice abbozzo e la mancanza di tempo per copiarlo! (ibid.,XIII, pp. 348, 360).
Nel 1630 è sul tappeto della scienza europea il problema della pressione atmosferica, e il B. dà un contributo decisivo alla sua giusta impostazione e soluzione. Applicandosi ad alcuni lavori di idraulica nel porto di Genova, si era trovato di fronte allo "strano" fenomeno della salita dell'acqua nel sifone. Ne chiese spiegazione a Galileo in una lettera del 17 luglio 1630. Insoddisfatto della sua risposta (Galileo riteneva ancora, secondo l'opinione di Erone e contro Aristotele che nel De Coelo aveva ammesso una densità relativa degli elementi, che né l'acqua né l'aria pesassero in proprio loco naturali e comunque non esercitassero una pressione in tutti i sensi), il B. giunse per proprio conto alle medesime conclusioni cui parallelamente, e ignorandosi reciprocamente, Beeckmann a Dordrecht e Cartesio ad Amsterdam giungevano sul problema del peso dell'aria e della pressione atmosferica: la salita dell'acqua dipendeva non dall'antico principio finalistico dell'horror vacuzi, ma dalla pressione uniforme dell'aria. Questi risultati il B. comunicò al "refrattario Galilei" nella lettera da Genova del 24 ott. 1630 (ibid., XIV, pp. 125, 127, 157-61), che inaugurò il dibattito tra "parigini" capeggiati da Mersenne e "italiani", conclusosi nelle universali conferme di Torricelli e Pascal. Su questi problemi il B. tornerà in due lettere a Mersenne del 1647 (De vacuo e Naturam a metu vacui vindicans),seguite ad un viaggio di costui in Italia nel 1642.
Nel 1638, quando in Italia si aspettavano ansiosamente dall'Olanda le copie delle Nuove Scienze (giàcircolanti clandestinamente ma in rari manoscritti) in cui Galileo concludeva le sue indagini sul problema del moto risalenti almeno al periodo padovano, il B., con un anticipo di alcuni mesi, pubblicava a Genova un breve trattato De motu naturali gravium solidorum,i cuienunciati fondamentali coincidevano con quelli galileiani. Senonché il B. mostrava di avanzare diritti sia sulla priorità della scoperta, sia sull'autonomia della ricerca, giacché nella prefazione al trattato affermava di aver scoperto fin dal 1611, in seguito ad esperimenti condotti nella rocca di Savona, l'indipendenza della velocità di caduta dei gravi dal loro peso; e la stessa enunciazione delle proposizioni sull'isocronismo delle oscillazioni pendolari e di quelle riguardanti le proprietà del moto uniformemente accelerato (la III: "Lineae descensus gravium, dum naturali motu perpendicolariter feruntur, sunt in duplicata ratione diuturnitatum"; la VI: "Gravia naturali motu descendunt semper velocior ea ratione, ut temporibus aequalibus descendant per spatia semper maiora, iuxta proportionem quam habent impares numeri ab unitate inter se") prescindeva del tutto dal nome di Galileo, citato soltanto una volta nella prefazione ma solo in riferimento al Trattato delle Meccaniche. Del trentennale carteggio con Galileo, che aveva permesso al B. di seguirne costantemente l'attività scientifica, e soprattutto dei colloqui del 1615 a Firenze proprio sui problemi del moto accelerato, nessun cenno.
L'eco del De motu negli ambienti scientifici ancora privi delle Nuove Scienze fu profonda, assumendo tra il 1638 e il 1639 toni drammatici di perplessità e talvolta di indignazione. Quattro lettere di B. Cavalieri nel giro di pochi mesi (tre a Galileo e una a Giannantonio Rocca) parlano con imbarazzo del trattato del B. e sempre: in relazione alle introvabili Nuove Scienze (ibid.,XVIII,pp. 21, 43, 50, 60). F. Micheiini lo trova complicato e attende con fiducia il trattato di Galileo (ibid., p. 24). A. Santini, più apertamente preoccupato, interpella il maestro sulla possibilità che il B. abbia conosciuto le sue opere o ne sia stato informato (ibid., p. 94). Daniele Spinola si indigna contro chi "sente minor gusto nel leggere il libro [di Galileo] per la lezione di quello del... Baliani" (ibid.,p. 79).
In tale occasione il B. tenne un atteggiamento sconcertante: mentre nel dicembre 1638 inviava il De motu a Galileo professandosi umilmente "autore che, ancorché di lontano, si ingegna di seguire le sue pedate" (ibid.,XVII,p. 413), nello stesso tempo confidava all'antigalileiano gesuita N. Cabeo - ma lo si saprà ufficialmente solo otto anni dopo - di aver dimostrato il teorema sull'incremento di velocità dei gravi molti anni prima di sentir parlare di Galileo! E così, dopo aver ricevuto nel giugno 1639 da Galileo stesso una copia delle Nuove Scienze,a G. Bardi riferiva di essersi "incontrato" con l'opera di Galileo, che però diceva introvabile (ibid.,XVIII, p. 91), sì da indurre il Bardi ad interpellare Gassendi sulla questione.
Galileo da parte sua reagì impartendo al B. un'alta lezione di metodo con la celebre lettera del 7 genn. 1639 (ibid., pp.11-13), nella quale proprio dalla lettura del De motu traeva lo spunto per fissare i canoni specifici del proprio metodo ex suppositione,e però intanto rinviava seccamente il suo autore alle proprie cose,"già scritte" e "già stampate", e al "Dialogo di tal materia, già due anni fa stampato in Amsterdam", i cui esemplari - aggiungeva con una risentita ironia - "so che.... sono stati sparsi per tutte le provincie settentrionali, e quello che è più, intendo che in Roma ve ne sono capitati e che si vendono tre scudi l'uno". Ma un risentimento più esplicito doveva esserci nell'altra lettera di Galileo al B. del 20 giugno 1639 (stranamente scomparsa!) che accompagnava l'invio delle Nuove Scienze,se il B. fu costretto a replicare con tono impacciato di non aver conosciuto, sul problema dell'isocronismo dei pendoli e della caduta dei gravi, altro che i "Dialoghi del Sistema" (cfr. ibid.,pp. 68s.). Altri due documenti chiarificatori del risentimento di Galileo sono andati purtroppo smarriti: un messaggio a D. Spinola del 12 marzo 1639,latore V. Renieri, in cui evidentemente Galileo concordava con la accusa di plagio espressa dallo Spinola sul conto del B., e una lettera di tono analogo al Renieri stesso anteriore al 25 marzo dello stesso anno.
Morto il Galileo, il B. rinnovò apertamente le sue pretese di indipendenza nel riguardi del pensiero di lui. Nel 1646 ripubblicò il suo trattato a Genova continuando a tacere dei debiti scientifici contratti con Galileo e persino del breve ma importante carteggio seguito alla prima edizione, del quale avrebbe dovuto almeno rendere nota la lettera del 16 sett. 1639 (ibid.,pp. 102 s.), nella quale, indotto da Galileo, aveva dovuto fare ammenda e correggere un errore circa la natura dei gradi di velocità dei corpi.
La nuova edizione si presenta accresciuta in sei libri, con l'aggiunta cioè di un secondo e di un terzo sui solidi -rispettivamente De impetu e De motu super pluribus planis diversimode inclinatis -, e di tre sui liquidi, donde il nuovo titolo De motu naturali gravium solidorum et liquidorum. Da notare che in questa edizione, che si fonda senz'altro sulle ormai conosciute Nuove Scienze,il B. tuttavia modifica, ma erroneamente, la sesta proposizione già esattamente stabilita nell'ediz. 1638,in quanto dice di essersi convinto che, avuto riguardo agli spazi insensibili, l'accelerazione si compie secondo la progressione dei numeri naturali e non più secondo quella dei numeri dispari. Le pretese del B. erano contemporaneamente appoggiate dal Cabeo, che rivelava pubblicamente la confidenza fattagli dal B. nel '38,e dal Mersenne, con una strana lettera del 25 ott. 1647,evidentemente sollecitata dal B. stesso ("Ho gran gusto che V. S. mi habbia imparato per l'ultima sua, che Galileo non sia il primo che ha osservato la proporzione del moto dei corpi gravi che cadono giù, perché io pubblicherò a tutti quanti che in ciò siete stato il primo osservatore, come l'ha confermato il padre Cabeo nel luogo citato da voi nelle sue meteore"). Ce n'era abbastanza per generare quella polemica che non tarderà a scoppiare attorno al nome del B. dopo la sua morte.La restante produzione scientifica del B. è meno importante, anche se rivelatrice della vastità dei suoi interessi. Nel 1647 pubblicò a Savona un Trattato della pestilenza, ove si adducono pensieri nuovi in più materie,poi riapparso ampliato in due libri a Genova nel 1653. In esso il B. si propone di determinare il valore causale del contagio nelle epidemie di peste; la conclusione è problematicamente negativa, ma più che altro desunta da un bilancio delle opinioni della scienza medica antica e moderna in materia. Nell'edizione del 1653 il B. ripropone nell'introduzione le sue avances sulla scoperta delle leggi del moto. Nel 1666 curò personalmente e fece pubblicare a Genova la raccolta dei suoi scritti "minori" di scienza e di filosofia intitolandoli Opere diverse (comprendenti 5 dialoghi filosofico-scientifici; tre trattati, di cui uno Sulle lettere di cambio;diciassette scritti vari di logica, ottica, geometria, meccanica, ecc.). La raccolta è preceduta dalle lettere elogiative del De motu,tra cui quella citata del Mersenne e una (l'unica!) di Galileo del 18 marzo 1639 al p. Francesco delle Scuole Pie. Alla fine della raccolta (p. 31 il B. dà notizia della "occupazione di testa" che lo ha colpito procurandogli una paralisi parziale alla mano destra, che gli impedirà di rendere noti altri scritti sulla febbre, su questioni giuridiche, sull'arte poetica, di ingegneria e di teologia. Ribadisce infine le due direttive complementari che lo hanno guidato nella sua vita di scienziato: appello all'esperienza e indipendenza di giudizio.
Il B. morì qualche mese dopo nello stesso anno 1666.
Paradossalmente, dopo la sua morte, il nome del B. fu circondato da una fama negativa non per il suo tentativo di appropriazione delle teorie galileiane, bensì per il motivo opposto di averle contrastate con una diversa ed erronea, anche se il primo motivo finì col raffiorare inasprendo la polemica. A partire dal primo decennio del '700infatti egli fu accusato di essere autore della falsa teoria che gli incrementi di velocità acquisiti da un corpo spinto da gravità costante sono proporzionali agli spazi passati. In realtà il vero autore ne era il padre Cazrée, contro cui polemizzarono, a favore di Galileo, prima Gassendi, nelle tre lettere De proportione qua gravia decidentia accelerantur,e poi P. Fermat; mentre sul B. lo stesso Gassendi nella risposta a G. Bardi dell'ottobre 1640 aveva espresso l'opinione che egli fosse giunto per proprio conto e per altra via alla scoperta delle leggi del moto, la cui paternità tuttavia spettava a Galileo (ma stranamente Gassendi invertiva le posizioni attribuendo al B. la via soloratiocinio e a Galileo la via experiundo). Forse a quella falsa accusa aveva contribuito lo stesso B. con la correzione alla sesta proposizione nell'edizione del 1646.Comunque nel 1716J. Hermann nella sua Phoronomia (p. 65)oppugnava l'errata teoria chiamandola senz'altro "Baliani hypothesis". Probabilmente da Hermann fu influenzato Cristiano Wolff, che nei suoi corsi del 1713aveva detto soltanto del B. "inventa Gallilaei... immutavi" segnalandone gli utili contributi apportati all'idraulica, ma nella posteriore edizione accresciuta di Ginevra (1732ss.) aggiunse un "parum feliciter" e prese anch'egli a combattere la "hypothesis Baliani". A difendere pubblicamente il B. contro Wolff scese in campo il matematico gesuita Vincenzo Riccati, in una lettera del 1752 a S. Corticelli, nella quale, risollevando tutta la questione del rapporto Galileo-B., si pronunciava più decisamente di Gassendi a favore della tesi del parallelismo delle scoperte nella reciproca ignoranza e per la diversità di metodo, attribuendo però la priorità al B. per la ragione importante che Galileo solo dopo l'edizione olandese delle Nuove Scienze,in seguito alla nota obiezione di V. Viviani, aveva raggiunto la corretta definizione geometrico-meccanica del moto accelerato che si legge nelle successive edizioni. A sua volta il domenicano Ottaviano Cametti con la sua Lettera critico-meccanica del 1758 difese il B. dall'accusa infondata, ne chiarì le origini, ma accusò il B. di avere disonestamente sfruttato Galileo. Sulla stessa falsariga si muoveva anche G. Targioni-Tozzetti. E tuttavia negli ultimi anni del '700 la polemica si riaccendeva per l'intervento degli storici francesi delle scienze M. Savérien e J.-F. Montucla (quest'ultimo appoggiandosi a sua volta ad un giudizio di p. Frisi nel suo Elogiodel Galileo),che ribadirono le accuse contro il B. addossandogli la paternità della falsa teoria. Ad essi questa volta risposero Bonaventura Andres, di nuovo il Riccati, e G. Tiraboschi. Fu in questo clima di accuse tanto aspre quanto poco documentate che si pensò ad una polemica e chiarificatrice riedizione delle opere principali del B., curata poi, per impulso dell'abate Ximenes, da G. Franchelli. L'edizione, apparsa a Genova nel 1792,è preceduta da tutti gli attestati favorevoli al Baliani. Malgrado ciò ancora W. Whewell e J. C. Poggendorf rimangono schiavi della vecchia tesi accusatoria. Infine, a parte l'acritico elogio di L. Grillo che ripete il Riccati, vanno segnalate le due valutazioni contemporanee del contributo del B. alla scienza moderna, quella più problematica di E.Wohlwil e quella più esplicitamente positiva di G. Vailati, che mette in risalto l'importante distinzione tra i concetti di "peso" e "massa" già chiaramente scorta dal B. prima di Newton a cui la si attribuisce.
Fonti e Bibl.: N. Cabeo, Commentarius in Meteorologica Aristotelis,Romae 1646, I, p. 88; J. Hermann, Phoronomia sive de viribus et motibus corporum solidorum et fluidorum libri duo,Amsterdam 1716, p. 65; C. Wolff, Elementa matheseos universae,Halae Magdeburgicae, Il, 1715, pp. 1039, 1043; cfr. anche l'edizione di Ginevra, II, 1733, pp. 17, 115; V, 1741, p. 60; V. Riccati, Lettera al sig. conte Giordano suo fratello in difesa di G. B. B. cavalier genovese,in A. Calogerà, Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filosofici,XXI, Venezia 1771, n. VI; G. Galilei, Le Opere,Firenze 1890-1909, Passim; R. Soprani, Li scrittori della Liguria,Genova 1667, p. 144; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri,Roma 1667, I,p. 317; A. Oldoini, Atheneum ligusticum,Perusiae 1680, p. 311; p. Gassendi, Opere,Firenze 1727, VI, pp. 88, 300; S. Corticelli, Della toscana eloquenza,Bologna 1752, pp. 238-42; G. M. Mazzucchelli, Gli Scrittori d'Italia, Il, 1,Brescia 1758, p. 171; O. Cametti, Lettera critico-meccanica al sig. Foucier de Pétteville,Roma 1758; G. Targioni-Tozzetti, Atti e memorie inedite dell'Accademia del Cimento,Firenze 1770, I, pp. 146, 364; P. Frisi, Elogio del Galileo, Milano 1775, p. 88; M. Savérien, Histoire des progrés de l'esprit humain dans les sciences exactes,Paris 1776, III, p. 297; J. F. Montucla, Histoire des mathématiques,Paris 1799, II, pp. 194-200, 217-220; IV, p. 284; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,Milano 1833, IV, pp. 448 s.; L. Grillo, Elogi di liguri illustri,Genova 1846, pp. 264-72; G. B. Pescetto, Biografia medica ligure,Genova 1846, I, p. 300; W. Whewell, History of the Inductive Sciences,London 1857, II, p. 24; J. C. Poggendorff, Biographisch-literarisches Handwörterbuch Leipzig Berlin 1863, ad vocem;E. Wohlwill, Die Entdeckung des Beharrungsgesetzes,in Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenchaft, XV (1884), pp. 134 s., 359-64; G. V. Verzellino, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona,Savona 1891, II, p. 318; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana,Modena 1893, p. 70; G. Vailati, Scritti,LeipzigFirenze 1911, pp. 804, 835, 904; Correspondance du P. M. Mersenne,a cura di P. Tannery e C. De Waard, I, Paris 1932, pp. 524, 596, 620; II, ibid. 1937, pp. 58, 212, 321, 478; III, ibid. 1946, pp. 71, 90, 304, 388, 434, 633; IV, ibid. 1955, p. 454; R. Lenoble, Mersenne ou la naissance du mécanisme,Paris 1943, pp. 425-434; D. Cinti, Biblioteca galileiana,Firenze 1957, pp. 233-41; L. Thorndike, A History of Magic and Experimental science, VII,New York 1958, p. 61; VIII, ibid., 1958, p. 203; A. Natucci, G. B. B. letterato e scienziato genovese del sec. XVII,in Atti d. Accad. ligure di scienze e lettere, XV (1960), pp. 13-27; p. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubb. di Genova,in Atti d. Soc. ligure di storia patria,Genova 1960, I, p. 204.