BERNARDI, Giovanni Battista
Nacque a Lucca il 1° sett. 1507, da Tommaso di Iacopo e Chiara di Andrea di Poggio. Studiò legge a Padova con Mariano Sozzini il giovane, e si addottorò nell'anno 1533. Negli anni trascorsi presso lo studio patavino fece parte dei gruppo che si raccoglieva presso gli abati Cornaro; conobbe il Bembo, strinse amicizia con Giovanni Brevio, e soprattutto fu affascinato dalla figura di Pietro Aretino, che visitò a Venezia e coi quale ebbe un breve scambio epistolare di cui menò vanto. Il 7 dic. 1533, quando si era già stabilito a Roma, gli scrisse per offrirgli i propri servigi, dichiarandosi "più che mai acceso da una maggiore e più ardente voglia di dimostrare a V. S. quanto si possa prometter di me" (Lettere scritte a Pietro Aretino, I,1, pp. 157-160). Non si trattava solo di parole, perché, una volta eletto Paolo III, il B. si adoperò in vari modi per disporre favorevolmente il nuovo papa, nei confronti dell'Aretino.
Fin dal periodo degli studi era maturato nel B. il proposito di stabilirsi a Roma, concorrendo a questo effetto sia l'attrazione esercitata da quella città sui letterati dell'ambiente patavino, sia motivi più concreti che dovettero fin dall'inizio apparire predominanti all'amico e concittadino Giovanni Guidiccioni. Questi, che già meditava di lasciare la "Babilonia" romana, in una lunga lettera dell'aprile 1530 gli rappresentò, ad deterrendum, il "corrotto vivere di questi preti" e cercò di fargli cambiare idea consigliandolo a stabilirsi in Lucca per assumervi incarichi di governo o, meglio ancora, "seguitare la quiete, e dal reggimento pubblico rivolgersi alla notizia delle cose ". Ma era soprattutto sulla base della diretta esperienza della mentalità lucchese che il Guidiccioni si basava nel tentativo di scoraggiare l'" avarizia mercantesca" e il desiderio "d'acquistare infinite ricchezze" che spingeva verso Roma il B. (Guidiccioni, Opere, I, pp. 193 ss.).
La lettera del Guidiccioni non sortì alcun effetto: nel dic. 1533 il B. è a Roma, dove "dimora per ferma stanza" (Lettere scritte a Pietro Aretino, I, 1, p. 158). Familiare di Paolo III, seppe sfruttare a proprio vantaggio i buoni rapporti del papa con la famiglia Guidiccioni (nel cui ambito il B. si muoveva) e le sue favorevoli disposizioni verso Lucca. In Curia ottenne un ufficio di scrittore; a Lucca fu eletto canonico della cattedrale (5 nov. 1535),rinsaldando per questa via i suoi legami con la classe dirigente cittadina e qualificandosi per l'incarico di rappresentante della repubblica per trattare gli affari ecclesiastici. In questa veste lo troviamo attivo in Curia a partire dal 1537,ma è probabile che fin dall'inizio si fosse adoperato in questo senso, dato che in una lettera.agli Anziani del 10 genn. 1545 rivendicò come titolo di merito una "servitù de XII anni" (Archivio di Stato di Lucca, Anziani 548, reg. 26, c. 65 v).
Il suo credito si andò consolidando grazie al pronto assolvimento di incarichi peraltro di scarsa importanza. Fu così che gli Anziani si rivolsero a lui il 26 ott. 1537 fornendogli una credenziale per trattare coi papa l'esenzione "per le opere et le monache della città" dalle decime straordinarie imposte per la guerra coi Turchi. Gli "optimi mezzi" di cui, a giudizio dei Lucchesi, il B. disponeva in Curia gli permisero di comunicare il felice esito del negozio (8 nov. 1537); ma, avendo il collettore Agostino Sammarino colpito di interdetto la città per il mancato pagamento, il B. dovette nuovamente trattare la cosa con Paolo III insieme con Alessandro Guidiccioni e Gherardo Busdraghi. Infine, l'8 dicembre, poteva comunicare la conclusione positiva del negozio e il 20 dicembre il notaio G. B. Amadio, per ordine dei Sammarino, toglieva l'interdetto. Anche per quanto riguardava i difficili rapporti con Firenze si faceva affidamento da parte del governo lucchese sull'abilità dei B., al quale veniva testimoniata "grandissima fede" (Arch. di Stato di Lucca, Anziani 546, reg. 20, c. 42r); così, per una questione relativa ad Altopascio, fu richiesto a più riprese (febbraio-marzo 1539, agosto 1544, agosto-settembre 1545) il suo intervento presso il cardinal Farnese e il papa. Al B., come proprio agente in Roma, si rivolse spesso dalla Romagna, dove si era recato nel dicembre 1539, anche Giovanni Guidiccioni (e, per conto di questi, il Caro); a giudicare dalle frequenti frecciate che si trovano nelle sue lettere, è da credere che l'antica "avarizia mercantesca" del B. avesse trovato alimento nel sempre più stretto contatto con la vita lucchese.
Non sempre però gli affari trattati dal B. per conto dei Lucchesi erano di ordinaria amministrazione.
La familiarità coi cardinale Bartolomeo Guidiccioni e, attraverso di lui, coi personaggi più potenti della Curia, gli permise negli ultimi mesi dei 1543di cogliere sul nascere un rincrudimento delle dicerie sull'eresia a Lucca, delle quali riferì in una lettera al cognato Vincenzo Bartolomei. Gli Anziani, avendone conosciuto il contenuto (come probabilmente il B. aveva previsto, nonostante le sue proteste in contrario: Arch. di Stato di Lucca, Offizio sopra la religione, 11, c. 153r), e deducendo da questa e da altre fonti che le accuse vertevano sulla diffusione di libri proibiti e sulla esistenza di rapporti epistolari fra cittadini lucchesi, e l'Ochino e il Vermigli, scrissero al B. il 9 genn. 1544 dandogli queste conunissioni: "cerchar d'intender quali siano li libri et opere reprobate dalla chiesa, et prohibiti a riceverli tenerli et leggerli et se li ditti fra Bernardino et don Pietro et altri anchora sono stati dichiarati ribelli et scommunicati di Sua Santità et se il commertio et praticha loro è prohibita et se costì s'èfatto ordine o provigione alcuna particular sopra queste tal nuove opinioni" (Ibid., Anziani 548, reg. 26, c. 34 v). Il timore del governo lucchese di essere coinvolto in quanto tale nelle accuse sul diffondersi dell'eresia fu compreso e condiviso dal B., che nella risposta del 17 gennaio alludeva ai rischi della "nostra dolcissima libertà" e invitava a non dare "ansa con questa occasione ai maligni et poco amici nostri" (Ibid., Offizio sopra la religione, II, cc. 153 r-154 v). Non gli fu però possibile né in questa né nella successiva lettera del 9 febbraio soddisfare la richiesta degli Anziani: per quanto riguardava i libri proibiti, li invitava a servirsi di un elenco mandato dal cardinale Guidiccioni al vicario del vescovo. Nel giugno seguente il cardinale Guidiccioni, col quale il B. collaborava ormai strettamente, acconsentì ad inviare agli Anziani un approssimativo elenco di libri proibiti (opere del Brucioli, dell'Ochino, del Vermigli, "non facta distinctione ante lapsum vel post ": Ibid., Anziani 548, reg. 26, c. 78 ). Il tentativo dei Lucchesi era quindi fallito, poiché il B, nel riportare le opinioni del cardinale Carafa e di altri, faceva intendere che, ben lungi dal fornire loro indicazioni chiare e precise, a Roma si era in attesa di loro iniziative per giudicare da queste il grado della loro fedeltà alla Chiesa. Comunque, per il momento la minaccia della nomina di un inquisitore era scongiurata.
Nell'ottobre 1549 il B. fu nuovamente impegnato per scongiurare il rischio, fattosi molto più urgente, dell'istituzione dell'Inquisizione a Lucca decisa da Paolo III; anche nelle sue lettere di questo periodo è facile constatare come il punto di vista del B. rimanga strettamente legato a quello della classe di governo della sua città. La diffusione dell'eresia non è mai considerata nei suoi caratteri oggettivi, ma è piuttosto vista come una calunnia pericolosa per la "libertà" della Repubblica, sorta come mormorazione fratesca nel quadro della tradizionale ostilità cittadina fra capitolo della cattedrale e domenicani. Tale fu l'interpretazione da lui ribadita nel dicembre 1550 contro le accuse che il vicario del vescovo aveva portato direttamente a Roma.
Con la nomina di Alessandro Guidiccioni a vescovo di Lucca il B., fino ad allora suo coadiutore per Aiaccio, gli era succeduto in questa diocesi (18 apr. 1548).
La rappresentanza degli interessi cittadini in materia giurisdizionale che egli era andato sempre più nettamente assumendo spiega la funzione da lui svolta nel contrasto apertosi fra il governo lucchese ed il nuovo vescovo. Rientrato in patria nell'estate del 1551, gli atti capitolari registrano la sua presenza a partire dall'8 luglio. Grazie alla dignità episcopale, ebbe, con atto notarile del 3 luglio, diritto di precedenza sugli altri canonici. Riaffermata la sua supremazia nel corso di una vittoriosa questione di precedenze col primicerio Domenico Menocchi (gennaio 1552), il B. poté assicurare al Consiglio cittadino l'acquiescenza del capitolo, e ne dette prova evidente nel corso di una inquisizione aperta per volontà del governo contro il medesimo Menocchi, canonico fra i più fedeli al vescovo (gennaio-febbraio 1552). Nella Congregazione capitolare del 12 febbr. 1552 gli venne concessa la più ampia autorità "pro conservanda libertate et iurisdictione capituli "; un breve del 27 febbr. 1553 testimonia la sua attività per rafforzare le prerogative dei canonici.
In questi anni continuò anche ad assumere incarichi a Roma per conto della città, come prova la commendatizia fornitagli per il cardinale Farnese il 1° dic. 1555 (Arch. di Stato di Lucca, Anziani 551, reg. 35, c. 143 v). All'interno del capitolo andava intanto maturando la reazione contro la subordinazione al potere civile da lui di fatto assicurata.
La controffensiva fu guidata da Silvestro Gigli, decano di S. Michele e arciprete, che insieme con il fratello Lorenzo interior sacrista e con il primicerio Menocchi riuscì a far espellere il Bernardi. Del contrasto aperto tra le due fazioni, esploso parallelamente a quello del governo col vescovo, resta testimonianza nel verbale della tumultuosa seduta capitolare del 17 luglio 1556 (Arch. Capitolare di Lucca, Manuali HH4, cc. 74r-75v). L'invio del B. come ambasciatore a Roma per ottenere la rimozione del vescovo (23 agosto) documenta la sua piena collaborazione con la politica degli Anziani e spiega i motivi reali del contrasto all'interno del capitolo al di là dei futili motivi addotti. Si capisce quindi perché i partigiani del B. rifiutarono la proposta di sottoporre a due auditori di Rota la questione della legittimità del procedimento seguito contro di lui e proposero che il fatto fosse sottoposto a cittadini eletti dal Consiglio (Arch. di Stato di Lucca, Officio sopra la giurisdizione 63, c. 5v). Questo intimò, con un decreto del 9 settembre, al capitolo di riaccettare al suo interno il B. e di sospendere la causa in corso a Roma; il giorno seguente il B. rilasciava solenne dichiarazione di assenso alla volontà del Consiglio (ibid., c. 34r), mentre alla stessa data i fratelli Gigli, il Menocchi e il Fatinelli protestavano contro il decreto e, in seguito a ciò, venivano espulsi dalla città per disobbedienza.
Il canonicato che era stato oggetto di tante manovre venne ceduto nel 1560 dal B. al nipote Lepido, in giovanissima età, e la cessione fu ratificata da un breve di Pio IV dell'8 aprile. Quanto all'episcopato di Aiaccio., le uniche preoccupazioni del B. furono per molto tempo relative soltanto alle difficoltà di poterne riscuotere i redditi, dato lo stato di guerra in cui si trovava allora la Corsica.
Anche sulla base di questi soli precedenti risulterebbe difficilmente credibile la notizia data dal Sarpi, secondo il quale il B. a Trento, nel dibattito sulla residenza, fu "tra quelli che credendo la residenza de iure divino reputavano che non fosse ben parlar di quella questione" (Istoria del Concilio tridentino, II, p. 357). In realtà, i legami del B. col cardinale Farnese e il fatto che egli arrivasse a Trento il 19 marzo 1562,poco prima di quel dibattito sul primo capitolo di riforma cosi temuto in Curia, spiegano abbastanza bene il significato del suo voto nella congregazione generale del 10 aprile. Secondo il B. si dovevano accantonare le questioni relative allo iusdivinum o positivum; era sufficiente che ognuno fosse consapevole della necessità di risiedere nella propria diocesi per esercitare l'ufficio pastorale. Quanto alle sanzioni per chi non ottemperasse all'obbligo della residenza erano sufficienti per il B. quelle stabilite nella prima sessione del concilio. Era Sostanzialmente una proposta liquidatoria; quanto alla sua presunta indifferenza di fronte alla questione dello iusdivinum, non ci sarebbe bisogno del suo esplicito voto negativo in proposito (20 aprile) per ritenerla fittizia. Anche il suo comportamento nei successivi dibattiti sugli altri capitoli di riforma l'eucaristia, la messa, la concessione del calice ai laici, è di stampo curiale; di personale il B. portò la sua esperienza in fatto di privilegi capitolari e di questioni beneficiarie. Ma non mancano accenni che rivelano in lui pratica e passione di vita politica cittadina: nella congregazione generale del 6giugno, attaccando violentemente l'arcivescovo di Granada Pedro Guerrero perché aveva ricordato che si doveva ancora trattare il problema della residenza, citò l'uso in vigore a Lucca, modello per lui di "res publica bene constituta ", di punire duramente chi spostava la discussione su altri argomenti, "egredientes materiam propositam et oblatam a maioribus" (Conc. Trid., VIII, p. 532).
Finito il concilio, il B. non poté sottrarsi più a lungo ai suoi doveri verso la diocesi di Aiaccio. Già il 28 febbr. 1560 i protettori del Banco di S. Giorgio avevano inviato ai vescovi corsi un'indirizzo di protesta per il pessimo stato in cui si trovava il clero dell'isola. Passata la Corsica sotto il governo di Genova. le insistenze della Repubblica spinsero Pio IV a indirizzare al B. un breve (20 maggio 1564) col quale lo invitava a risiedere nella diocesi sotto pena di privarlo delle rendite e di usarle per riparare le chiese.
La presenza del B. nell'isola è documentata per il periodo 1569-1576, e nelle lettere scritte in questi anni al cardinale Farnese, i termini impiegati per descrivere la sua nuova sede non lasciano dubbi sull'animo con cui fu da lui assolto "il debbito della residentia tra queste genti selvatiche" (G. Micheli, Lettere di mons. B., p. 196). Trovandosi, come scriveva il 1° dic. 1569, "rilegato tra questi populi tanto diversi dal mio genio", il B. si sforzò di applicare i decreti tridentini, come gli richiedeva la "hortatio ad officium pastorale" di Pio V (4 maggio 1569);ma soprattutto cercò di non esser del tutto "scancellato dal registro della memoria" dei suoi protettori a Roma. Nemmeno con Lucca i suoi rapporti si interruppero; quando fu eletto Gregorio XIII, il B. fu mandato con un'ambasceria lucchese a porgere le felicitazioni della Repubblica, e il discorso da lui pronunziato in questa occasione (3 luglio 1572)venne più tardi dato alle stampe.
Resignò in favore di Cristoforo Guidiccioni il 13 maggio 1578 e si ritirò a Lucca, dove morì l'11 sett. 1580.
Fonti e Bibl.: Lucca, Archivio Capitolare, Atti capitolari, Manuali, HH1, c. 47; HH2, c. 47r; HH3, cc. 71v, 74v-132v; HH4, cc. 74r-75v; Archivio di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà,copiari lettere 546, reg. 20; copiari lettere 548, reg. 26; copiari lettere 551, reg. 35; Consiglio generale. Riformagioni pubbliche 46, c. 12v; 48, cc. 122, 131r; Offizio sopra la giurisdizione 63, cc. 1r-7v, 34r; Offizio sopra la religione 11; Lucca, Biblioteca governativa, ms. 926, fasc. Vd: Memorie di Gio. Battista Bernardi vescovo di Aiaccio in Corsica descritte dal sig.r Tommaso Francesco Bernardi;Archivio Segreto Vaticano; Reg. Vat. 1798, c. 179; 1799, cc. 512r-514r; 1853, cc. 310r-311v; 1865, cc. 57r-59v; 1930, cc. 222r-223v; 1981, cc. 6r-7v; Arm. 44, vol. 14, cc. 104r-105v; Arm. 42, vol. 20, c. 348; Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, et eccellentissimi ingegni, scritte in diverse materie…,Vinegia 1545, I, cc. 145v-147v; C.Cartari, Advocatorum Sacri Consistorti Syllabum, Romae 1656, p. 37; F. Ughelli-N. Coleti, Italia Sacra,III,Venetiis 1718, coll. 496-497; G. Guidiccioni, Opere…,Firenze 1867, I, pp. 187-189, 193-197, 199 s.;II, ad nomen; Lettere scritte a P. Aretino,a c. di T. Landoni, I, 1, Bologna 1873, pp. 155-162; G. Micheli, Lettere di mons. Bernardi, vescovo di Ajaccio, al cardinale Farnese,in Arch. stor. di Corsica, II(1926), pp. 195-199; G. Guidiccioni, Orazione ai nobili di Lucca,a c. di C. Dionisotti, Roma 1945, p. 35; Concilium Tridentinum…,VIII,Freiburg in B. 1919, ad nomen;A. Caro, Lettere fam., I, Firenze 1957, pp. 169-171, 176 s., 193 s., 202 s., e v. anche pp. 94, 160, 197, 200 s., 234, 248; P. Aretino, Lettere. Il primo e il secondo libro, Milano 1960, p. 54; P. Sforza Pallavicino, Istoria del Concilio di Trento, IV, Milano 1844, p. 280; P. Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, II, Bari 1935, p. 357; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, ad nomen, ma v. tutto il cap. VI (La vita religiosa); Dictionnaire d'Histoire et de Géographie Ecclés., VIII, col. 780.