BERTONE, Giovanni Battista
Nacque a Mondovi (Cuneo) il 17 dic. 1874 da Agostino e da Teresa Alessio. Si laureò in giurisprudenza, approfondendo gli studi sui problemi economici. Esercitò quindi la professione forense, dedicandosi nel contempo alla propaganda cattolica.
Era stata - secondo quanto ebbe a dire egli stesso in età avanzata - la lettura della Rerum Novarum ad orientare il B. verso l'impegno politico in campo cattolico. Nel 1910 una lista dichiaratamente cattolica, da lui capeggiata, vinse per la prima volta le elezioni comunali a Mondovì. L'esito delle ume fu tuttavia invalidato in seguito ad un ricorso accolto dal Consiglio di Stato. L'anno successivo le nuove elezioni confermarono l'afférmazione della lista cattolica e il B. divenne sindaco di Mondovi. Ricoprì la carica di primo cittadino dal 1911 al 1917; sedette inoltre nel Consiglio provinciale di Cuneo, in rappresentanza dei mandamenti di Villanova e Frabosa, dal 1915 al 1925.
Nel 1918 fu tra i fondatori del Partito popolare italiano e firmatario dell'appello del 18 genn. 1919 "a tutti gli uomini liberi e forti" che richiedeva l'adesione al nuovo partito.
Nelle elezioni del 1919 fu eletto deputato in Parlamento, riportando a Cuneo più preferenze di quante ne aveva ottenute Giolitti in altra lista. Il B. veniva allora emergendo come uno dei più qualificati esponenti politici cattolici proprio nella zona in cui da anni dominava incontrastato Giolitti. Questi apprezzò subito le doti del B., tanto che lo volle nel suo governo, vincendo anche le resistenze in seno al partito popolare, che aveva stabilito di escludere dal governo i propri deputati di prima nomina. Il A giugno 1920 egli venne così nominato sottosegretario alle Finanze, rimanendo in carica fino alle dimissioni dell'ultimo governo Giolitti il 4 luglio 1921. Pur essendo sottosegretario svolse di fatto fino al 10 apr. 1921 le funzioni di ministro, poiché il titolare del dicastero, F. Tedesco, era molto ammalato e morì il 2 marzo 1921, sostituito poi da L. Facta. In tale veste diede un convinto apporto all'abolizione dei monopoli commerciali di Stato ed attuò la cessione dei dazi di consumo ai comuni. In quella fase politica la collaborazione dei popolari con Giolitti ebbe nel B. uno dei più attivi sostenitori e concreti realizzatori. Lo stesso B. fece da tramite nei rapporti tra Giolitti e don Sturzo ed organizzò, il 17 ag. 1920, un incontro tra i due esponenti politici.
In un'intervista a La Stampa del 16 apr. 1921 il B. descrisse il tipo di rapporto che si era instaurato tra Giolitti ed i popolari: "Posso ben parlare di vera cordialità e lealtà io che fui sempre vicino al Presidente e che molte volte fui come ambasciatore del mio gruppo presso di lui".
Al III congresso del partito popolare, nell'ottobre 1921, intervenne sulla relazione di Mario Cingolani a proposito dei limiti della collaborazione parlamentare dei popolari con gli altri partiti. Fautore della collaborazione, a patto che essa non significasse rinunzia alla libertà di atteggiamento e di opinione dei partito popolare, il B. individuava nell'"azione per la restaurazione finanziaria dello Stato" il terreno dove si poneva con maggior gravità ed urgenza la necessità di un'intesa parlamentare. In un emendamento proposto dal B. all'ordine dei giorno di Cingolani, accolto ed approvato dal congresso, si auspicava la "restatirazione della economia nazionale e della finanza statale al di sopra di qualsiasi demagogia, plutocratica o follaiola e nel rispetto delle prerogative parlamentari, guarentigia prima e fondamentale di una dignitosa ed efficace collaborazione" (Gli atti dei congressi del Partito popolare italiano, p. 279).
Nelle elezioni del 15 maggio 1921 il B. fu confermato nel seggio parlamentare sempre per il collegio di Cuneo. Il 26 febbr. 1922 fu chiamato a far parte del governo Facta come ministro delle Finanze, mantenendo tale carica anche nel successivo governo Facta, fino alla sua caduta, il 31 ott. 1922.
Il 15 marzo 1922 intervenne alla Camera per esporre le linee della politica finanziaria del governo. Tra le misure annunziate, e poi attuate, vi fu la presentazione di un nuovo disegno di legge sulla nominatività dei titoli azionari e delle obbligazioni. Tale provvedimento era ispirato a criteri tanto restrittivi da segnare in pratica l'abolizione della nominatività. Nella fase precedente la marcia su Roma il B. pose in atto vari tentativi alla ricerca di un accordo tra i maggiori esponenti liberali per scongiurare la vittoria del fascismo.
In particolare, fece da intermediario tra Giolitti e Facta, adoperandosi per convincere il primo a ritornare alla guida del governo. Di tale opportunità il B. aveva convinto Facta, che quindi lo incaricò di esprimere a Giolitti la propria disponibilità al riguardo. Dopo essersi mostrato restìo, Giolitti manifestò al B. l'intenzione di venire a Roma, rimandando ogni decisione a dopo l'adunata fascista di Napoli. Indeciso sull'opportunità di impedire questa manifestazione preannunciata dai fascisti, il Facta, si rivolse ancora una volta per tramite del B. a Giolitti, che sconsigliò di frapporre qualsiasi impedimento.
Anche dopo la formazione del governo Mussolini, il B. continuò a sostenere la necessità di una politica di rigore economico e fiscale (e in tal senso intervenne al IV congresso del partito popolare nell'aprile 1923). Sempre nel 1923 assunse la presidenza dell'Istituto nazionale di credito per la cooperazione, carica che mantenne anche nel 1924.
Nelle elezioni dell'aprile 1924 fu ancora confermato deputato per il Piemonte. Dopo il delitto Matteotti partecipò alla secessione dell'Aventino ed iniziò la sua collaborazione al Corriere, il quotidiano cattolico uscito nel 1925 a Torino e rimasto su posizioni democratiche fino al 1926.
Al V congresso dei partito popolare (Roma. giugno 1925), intervenne sulle questioni istituzionali e delle libertà democratiche rilevando come al Parlamento fosse stata sottratta gran parte delle sue facoltà.
Su sua proposta il congresso approvò due emendamenti, in cui si rivendicava che tutti i diritti fondamentali dei cittadino dovessero essere sempre regolati da leggi discusse ed approvate dai due rami del Parlamento e mai per decreto legge. Attraverso gli articoli per il Corriere muoveva intanto una serie di critiche alle scelte economiche del fascismo. Nel luglio 1925 si pronunciò contro la reintroduzione del dazio sul grano, sostenendo che il protezionismo fiscale non avrebbe fatto crescere di molto la produzione granaria, né avrebbe portato benefici per le finanze dello Stato. Inoltre sottolineò l'aspetto antipopolare del provvedimento che rappresentava un onere gravante pesantemente sulle classi non abbienti.
Successivamente le prese di posizione del quotidiano torinese nei confronti del fascismo si ammorbidirono, anche in seguito all'intervento del Vaticano e gli articoli dei B. abbandonarono ogni forma di polemica, divenendo sempre più tecnici, specie dopo che, nel novembre 1925, egli lasciò l'Aventino e fece ritorno nell'aula parlamentare. Con questa scelta si poneva in una difficile posizione di equilibrio tra il partito popolare ed i clericofascisti del Centro nazionale.
Nel novembre 1926 condusse la trattativa per la fusione del Corriere con il quotidiano clericofascista torinese Il Momento. Dopo il decreto del 9 nov. 1926, che scioglieva il partito popolare, il B. rimase deputato fino alle elezioni del 1929.
Ritiratosi completamente dall'attività politica si dedicò, durante il regime fascista, al lavoro professionale. Tornò nuovamente all'impegno politico nelle file della Democrazia cristiana dopo la caduta del fascismo.
Nel 1945 fu membro della Consulta nazionale e, nel 1946, eletto deputato all'Assémblea costituente. Il 18 sett. 1946 fu chiamato a sostituire Epicarmo Corbino al ministero del Tesoro nel governo De Gasperi, in carica fino al 2 febbr. 1947. Il programma economico che il B. espose alla Costituente rappresentava una correzione dell'indirizzo strettamente liberista di Corbino. Tale programma prevedeva il varo di un "prestito della ricostruzione", l'introduzione di un'imposta straordinaria sui beni mobili ed immobili collegata al cambio della moneta, più severi accertamenti del reddito delle grandi imprese, tasse più forti sui consumi di lusso.
Il prestito della ricostruzione, lanciato nello stesso autunno del 1946, incontrò l'ostilità dei grandi gruppi economici e finanziari ed anche per questo ebbe modesto successo mentre gli altri provvedimenti annunciati rimasero sulla carta.
Senatore di diritto per la prima legislatura repubblicana, nel 1948 fu anche nominato presidente della delegazione per l'Unione doganale italo-francese. Nel 1949 venne ancora chiamato al governo: nel quinto governo De Gasperi sostituì dal 1°aprile Cesare Merzagora al ministero dei Commercio con l'estero e, dal 7 novembre, assunse anche l'interim dei ministero dell'Industria e Commercio al posto di Ivan Matteo Lombardo. Ricoprì i due incarichi ministeriali fino alla caduta del governo, il 27 genn. 1950. Nel luglio di quello stesso anno venne eletto vicepresidente dei Senato e nel 1952 presidente della commissione Finanze e Tesoro.
Nelle elezioni politiche del 1953 fu eletto al Senato nel collegio di Mondovì, e fu confermato nel suo seggio nelle successive tornate elettorali del 1958 e del 1963. Mantenne altresì la presidenza della commissione Finanze e Tesoro fino al 1968, allorché, conclusa la quarta legislatura repubblicana, non si ripresentò alle elezioni.
Ormai novantaquattrenne si ritirò nella sua casa di campagna di Mondovi, dove morì il 15 sett. 1969.
Fonti e Bibl.: Necrol. in La Stampa, 16 sett. 1969. Vedi inoltre: E. Ferraris, La marcia su Roma veduta dal Viminale, Roma 1946, pp. 99, 103; L. Sturzo, Il Partito popolare italiano, I-II, Bologna 1956, ad Indicem; G. De Rosa, Storia dei Partito Popolare, Bari 1958, ad Indicem; G. Spadolini, Giolitti e i cattolici (1901-1914), Firenze 1960, p. 451; M. G. Rossi, F. L. Ferrari. Dalle leghe bianche al partito popolare, Rorna 1965, p. 54; D. Bartoli, L'ultimo giolittiano, in Corriere della sera, 4 maggio 1965; L. Sturzo, La politica di questi anni, Bologna 1966, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, Torino 1966, ad Indicem; D. Veneruso, La vigilia dei fascismo. Il primo ministero Facta nella crisi dello Stato liberale in Italia, Bologna 1968, ad Indicem; Gli atti dei congressi del Partito popolare italiano, a cura di F. Malgeri, Brescia 1969, ad Indicem; A. Repaci, La marcia su Roma, Milano 1972, ad Indicem; N. Valeri, La lotta politica in Italia dall'Unità al 1925, Firenze 1973, ad Indicem; A. Tasca, Nascita e avvento dei fascismo, Bari 1976, pp. 431, 527; B. Gariglio, Cattolici democratici e cierico-fascisti. Il mondo cattolico torinese alla prova del fascismo (1922-1927), Bologna 1976, ad Indicem; AA.VV., L'Italia dalla Liberazione alla Repubblica, Milano s. d., pp. 294, 343; V. Castronovo, Il Piemonte, Torino 1977, ad Indicem; A. Gambino, Storia dei dopoguerra, Bari 1978, pp. 280, 355; M. Reineri, Cattolici e fascismo a Torino 1925-1943, Milano 1978, pp. 86, 228; G. Galli, Storia della DC, Bari 1978, pp. 37, 86, G. Candeloro, Storia dell'Itaha moderna, VIII, Milano 1978, ad Indicem. Si vedano anche: Argo (L. G. Agirò), I deputati popolari della XXV legislatura, Bologna 1920, p. 95; I deputati per la XXV, XXVI, XXVII legislatura, Milano 1920, 1922, 1924, s.v.; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, I, p. 108; 1556 deputati alla Costituente, Roma 1946, p. 81; I deputati e i senatori del quarto Parlamento repubblicano, Roma 1965, ad vocem; F. Bartolotta, Parlamenti e governi d'Italia dal 1848 al 1970, I-II, Roma 1971, ad Indicem; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, ad Indicem; Diz. stor. dei movimento cattolico in Italia 1860-1980, II, Casale Monferrato 1982, ad vocem.